Lunedì 20 giugno il presidente di Confindustria Carlo Bonomi è volato a Kiev, dove ha assicurato al presidente ucraino Volodymir Zelensky l’impegno delle imprese italiane nella ricostruzione dell’Ucraina.
Al termine dell’incontro è stato firmato un accordo con il governo ucraino, in cui è stato sancito che verranno messe a disposizione le filiere italiane per la ricostruzione del paese e si è convenuto anche l’apertura di un ufficio, con una delegazione permanente di Confindustria presso l’ambasciata italiana per accompagnare le imprese italiane in questo percorso di “avvicinamento” all’Ucraina e alla sua ricostruzione.
Zelensky ha dichiarato che: «In questo momento è fondamentale, è un segnale potente per tutti gli investitori stranieri, l’aiuto di Confindustria per avviare le produzione sul territorio ucraino, creando nuovi posti di lavoro, è estremamente importante per l’occupazione degli ucraini che hanno perso il lavoro a causa delle ostilità».
All’incontro con Zelensky ne è seguito un altro con il ministro degli esteri Dmytro Kuleba. Con un post su Twitter intriso di cinismo borghese ai limiti del grottesco, Kuleba ha sottolineato, senza giri di parole, che tale incontro è stato «utile. La guerra è tempo di sfide, ma anche tempo di opportunità. Daremo il benvenuto a più imprese italiane e le incoraggeremo a esplorare nuove opportunità che l’Ucraina ha da offrire».
Dopo essere stata una delle nazioni più “generose” nella fornitura di armi all’Ucraina e nella partecipazione attiva al conflitto (seppur non diretta dal punto di vista militare), adesso, l’Italia è in prima linea anche per gli investimenti in un paese dove, tra l’altro, si potrà sfruttare manodopera a un costo ancora più basso grazie alla recente riforma del lavoro “lacrime e sangue” del governo Zelensky [1].
Alla luce di quanto successo negli ultimi mesi, da questa riforma del lavoro fino agli appelli per l’ingresso dell’Ucraina nella UE (spinta da Draghi e dallo stesso Bonomi) e alla sua apertura totale al capitale internazionale, dovrebbe risultare sempre più chiara la natura imperialista della guerra in atto su ogni fronte, che si eleva a conflitto di classe dell’imperialismo mondiale contro il proletariato internazionale.
Ogni giorno che passa, si affievoliscono sempre più i miti dell’indipendenza politica e della resistenza ucraina, nonché della riduzione del conflitto a semplice guerra “locale” d’invasione di Kiev da parte del Cremlino (che resta un governo reazionario al servizio dell’oligarchia russa). Questi cavalli di battaglia sono stati utili per giustificare l’invio di armi e l’utilizzo del proletariato ucraino come carne da cannone in una guerra preparata negli anni dalla NATO (USA in testa), da parte di pennivendoli venduti alla causa della guerra della borghesia e in cui sono inciampati e continuano a inciampare anche sindacalisti, organizzazioni di sinistra e perfino sedicenti rivoluzionarie, che negli anni hanno consolidato seppur involontariamente le loro posizioni dalla parte della reazione.
Le posizioni pacifiste espresse dalla CGIL sono anch’esse funzionali alla causa dell’imperialismo. Anche se ha continuato a schierarsi (a parole) contro l’invio di armi all’Ucraina, il segretario Maurizio Landini dal palco di Piazza del Popolo di sabato 18 giugno si è limitato a puntare il dito contro l’invasione criminale di Putin, che implicitamente esclude una reazione da parte dei lavoratori e delle lavoratrici che “rappresenta”, in quanto italiani e italiane e quindi, nella sua narrazione, appartenenti a uno stato estraneo alle cause del conflitto. Questo è stato un assist perfetto a Confindustria, al governo Draghi, all’imperialismo e alla sua guerra contro il proletariato.
Questa guerra segna l’inizio di un’escalation del processo di controrivoluzione sanguinaria, inquadrata storicamente nel contesto dell’epoca catastrofica di guerre e rivoluzioni, cominciata con la prima guerra mondiale e con l’Ottobre ’17. Un’epoca che ora sta entrando in una nuova fase di aggravamento segnata irrimediabilmente dal picco più alto mai raggiunto dalla decadenza capitalista. Tale processo di controrivoluzione vede anche la partecipazione attiva della borghesia italiana, del suo governo d’unità nazionale e dell’Unione Europea, un progetto politico reazionario nato nel contesto dei processi di avvitamento burocratico e poi di scioglimento dell’Unione Sovietica.
Questi primi mesi di guerra mostrano chiaramente come, lontano da ogni illusione sulla pacificità di tali processi, una maggiore integrazione nel mercato mondiale degli ex-stati operai e un possibile ingresso dell’Ucraina nell’UE necessitano della distruzione delle forze produttive e di un altissimo prezzo di sangue proletario da sacrificare all’altare del capitale.
Fonti:
Note:
[1] https://prospettivaoperaia.org/2022/06/21/ucraina-la-riforma-del-lavoro-di-zelensky/
Concordo pienamente e segnalo che a cascata dalla caduta dell”URSS c’è stato un peggioramento costante delle condizioni di vita e lavoro culminato in Italia con il Jobs Act e la Buona Scuola che proprio mentre si rendecsno più complicate le assunzioni nella scuola si apriva la strada a Confindustria attraverso l’alternanza scuola lavoro e la ghettizzazione delle insegnanti sindacskizzati .
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Come in ogni ciclo di accomulazione dopo la distruzione c’è la ricostruzione che porta lauti profitti agli imperialismi così fu dopo la Prima guerra mondiali l,così fu dopo la seconda e così è a guerra non ancora conclusa nella semicolonia Ucraina.
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