Il bonus bebè e il lavoro riproduttivo delle donne

di IN

In Italia si fanno sempre meno figli e il cosiddetto tasso di fecondità delle donne si sta “pericolosamente” abbassando. Nel 2017 infatti il numero medio di figli per donna era pari a 1,32, il che vuol dire che non tutte generano un figlio e che, chi lo fa, raramente ne fa più di due, con ripercussioni sulla crescita economica. La situazione è tale che in Italia le persone anziane sono oggi più di quelle giovani. Secondo l’Istat, il nostro Paese sta subendo un vero e proprio declino demografico poiché dal 2014 al 2018 la popolazione è diminuita di 677mila persone; dal 2008, invece, il numero di nati ogni anno non arriva alle 500.000 unità. Ciò significa che la popolazione in età lavorativa – e quindi la forza lavoro del capitalismo italiano – è in forte calo e chiaramente questo preoccupa per gli scenari futuri le imprese, le banche, lo Stato e perfino l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (INPS). Il ruolo riproduttivo della donna, per il capitalismo italiano, è cruciale e irrinunciabile.

Il bonus bebè e gli incentivi alla riproduzione

Da anni i governi che si susseguono provano ad incentivare le famiglie – in particolar modo le donne! – a procreare per far fronte all’ “emergenza” della (ri)produttività insufficiente delle donne, ricorrendo a diversi mezzi. Tra questi, l’escamotage più famoso e imbarazzante fu quello del “Fertility day” del 2016, promosso dell’allora ministra della salute Beatrice Lorenzin.

La soluzione a questa problematica è, secondo la vulgata comune, convincere le donne a rimanere incinte e regalare alla nazione nuovi figli; ma dal momento che gli spot motivazionali del 2016 non sono (ovviamente) bastati, si è pensato di virare verso i sussidi economici. Il “Bonus bebè”, ad esempio, è il nome dell’assegno di natalità erogato nel nostro Paese. Il beneficio spetta alle famiglie con bambini nati o adottati durante l’anno. I genitori richiedenti devono avere un ISEE non superiore ai 25.000 euro e l’assegno ammonta a circa 80 euro al mese per 1 anno.

La Ministra per le pari opportunità e la famiglia Elena Bonetti ha, invece, intenzione di dotare i genitori della cosiddetta “Carta Bimbi”, una carta del valore di 400 euro con la quale le famiglie italiane potranno pagare diversi servizi utili alla crescita della propria prole, come la retta dell’asilo o il/la baby sitter. È previsto dalla manovra finanziaria uno stanziamento di circa 500 milioni di euro – inizialmente si parlava di 100 milioni in più – ed è contemplata una proroga ai servizi previsti che sono, per quest’anno, in scadenza. Nella manovra del prossimo anno sono stati programmati, poi, sussidi mensili per le famiglie con bambini fino a tre anni di età, che vanno dagli 80 ai 160 euro. Si ignorano le soglie di reddito previste dalla manovra, quindi non si sa ancora quali famiglie potranno beneficiare del sussidio e se quest’ultimo verrà ostacolato dal Reddito di Cittadinanza (ma, visto il percorso ad ostacoli creato per accedere a questa miseria di reddito, è probabile che uno finirà col tagliare l’altro).

Queste misure portano con sé sostanziali interrogativi e pesanti critiche. In Italia sono presenti 13.147 servizi socio-educativi per l’infanzia che coprono solo il 24% del potenziale bacino di utenza (bambini sotto i 3 anni). La soglia minima, già di per sé ridicola per una società civile, indicata dall’UE è del 33% (dati Istat). Sia la diffusione degli istituti che le spese previste dai Comuni per gestire gli asili varia da regione a regione, ma una cosa è certa: gli asili sono pochi e non sono minimamente sufficienti ad accogliere tutti i bambini le cui famiglie dovrebbero poter accedere a questo servizio. Le conseguenze sono due: o i bambini vengono iscritti a degli istituti privati (per le poche famiglie che possono permetterselo) o uno dei genitori deve rimanere a casa per poter accudire il bambino o la bambina e, molto spesso, questo genitore è ovviamente la madre. Gli incentivi previsti, che è bene ricordarlo coprono appena 12 mesi di vita della prole, non consentono certo di sostenere un’eventuale retta annuale per un asilo privato! La società capitalista come sempre si prende gioco di noi: 80, 160 euro al mese o 400 euro l’anno potranno mai seriamente permettere ad una famiglia proletaria di crescere in maniera dignitosa la propria figlia o il proprio figlio? La decisione di sostenere una gravidanza – perché, se non fosse ancora abbastanza chiaro è una scelta e non un favore obbligato che si fa alla nazione – può forse essere influenzata dall’elemosina che viene elargita alle coppie di genitori?

Tutelare e aiutare le coppie che DECIDONO di avere dei figli significa garantire posti di lavoro non precari e remunerati sufficientemente, assicurare asili e scuole gratuite per tutti e per tutte, senza cercare di avvantaggiare servizi privati sempre più costosi ed elitari; contribuire alla genitorialità vuol dire sostenere i servizi educativi e sociali pubblici, permettendo ai genitori, in particolare alle madri, di lavorare, senza essere obbligate a scegliere tra il posto di lavoro e la prole: perché se rimanere incinta è una scelta, il diritto al lavoro e all’indipendenza economica non dovrebbe esserlo!

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