100 anni dalla marcia su Roma: la nascita del fascismo (II)

di El Be

Pubblichiamo la seconda parte del documento sulle origini e lo sviluppo del fascismo, 100 anni dopo la marcia su Roma. Per leggere la prima parte: https://prospettivaoperaia.org/2022/11/02/100-anni-dalla-marcia-su-roma-la-nascita-del-fascismo-i/

Parte seconda: La sconfitta della rivoluzione.

“Ricordate il 1919? Era l’anno in cui l’intera struttura dell’imperialismo europeo vacillava sotto l’impatto della più grande lotta di massa della storia del proletariato, e in cui ogni giorno attendevamo la notizia della proclamazione della Repubblica Sovietica in Germania, Francia, Inghilterra, Italia. Il termine “soviet” era diventato molto popolare, i soviet furono organizzati ovunque. La borghesia era sconvolta. Il 1919 è stato l’anno più critico nella storia della borghesia europea”.

Leon Trotsky, “Sulla rivoluzione fallita del settembre 1920”, 20 ottobre 1922.

La Prima Guerra Mondiale ha lasciato dietro di sé un’Europa devastata, un’enorme destabilizzazione politica e una classe operaia in rivolta. In Europa crollano diversi regimi politici, a partire dall’impero zarista russo, detronizzato dalla rivoluzione bolscevica. L’Impero tedesco cadde con l’abdicazione dell’imperatore Guglielmo II. L’Impero austro-ungarico si dissolse e si frammentò in numerosi Stati. Lo stesso successe con l’Impero Ottomano, culminato con la dichiarazione della Repubblica di Turchia. In Ungheria fu proclamata la Repubblica Popolare, seguita dalla Repubblica Sovietica. Il primo ministro italiano si dimise nel bel mezzo della guerra e ne seguì un periodo di duratura instabilità politica.

In tutto il continente scoppiò un’ondata di scioperi e manifestazioni contro la guerra, guidate da operai, contadini, soldati e marinai. In Gran Bretagna, il movimento degli Shop Stewards (“Delegati Sindacali”), organizzazioni operaie di base nate nelle fabbriche di armi, prese piede e nel 1917 organizzò uno sciopero di 200.000 lavoratori in 48 città. Di fronte alla forza dello sciopero, il governo britannico fu costretto a esentare dal servizio militare una serie di settori di lavoratori di vari rami. Lo stesso movimento fondò in seguito “Giù le mani dalla Russia”, contro l’invasione di nazioni straniere per soffocare la rivoluzione bolscevica. Guidò grandi scioperi, come quello dei portuali, che si rifiutarono di caricare le armi dirette contro la rivoluzione.

Un movimento simile nacque in Germania, chiamato Revolutionäre Obleute, un’organizzazione di delegati sindacali di base. Questa ha svolto un ruolo fondamentale negli scioperi che hanno posto fine alla guerra e poi nella Rivoluzione di novembre del 1919.

In Italia, che era dalla parte dei vincitori, la situazione economica era catastrofica. La guerra aveva lasciato povertà estrema, gravi carenze (c’erano difficoltà a importare carbone e materie prime), un deficit della bilancia dei pagamenti e un debito pubblico impagabile. Il valore della lira italiana crollò e iniziò un processo di iperinflazione. Ciò innescò una nuova ondata di scioperi per ottenere aumenti salariali. Nel 1919 più di 1,5 milioni di lavoratori scioperarono e fu ottenuta la giornata lavorativa di otto ore.

Il governo di Vittorio Orlando, subentrato dopo la caduta di Paolo Boselli nel disastro di Caporetto, crollò nel giugno 1919. Il suo successore fu Francesco Nitti, che si dimise più volte in meno di un anno, per poi tornare in carica in assenza di un successore. Il suo governo non durò un anno, e lo stesso accadde ai tre governi successivi, che caddero nel 1921 (Giovanni Giolitti), nel 1922 (Ivanoe Bonomi) e con l’ultimo governo democratico (Luigi Facta) per la “marcia su Roma” che portò Mussolini al potere.

Biennio Rosso: 1919

Il periodo che in Italia va dal 1919 al 1920 è noto come “Biennio Rosso”. Nel luglio 1919 fu lanciato uno sciopero generale. Fu sabotato dalla CGL e dall’ala destra del PSI. A sinistra c’erano i “massimalisti” e i comunisti.

In questo contesto, il PSI tenne il suo 16° Congresso in ottobre. Il partito si divise in tre tendenze: la destra di Filippo Turati, il centro di Serrati e Lazzari e la sinistra di Bordiga. Il Congresso segnò una svolta a sinistra del partito: il vecchio riformismo espresso da Turati, che aveva guidato il partito praticamente dalla sua fondazione, fu sconfitto; il Congresso si identificò con la Rivoluzione d’Ottobre, adottò un nuovo programma che sosteneva la dittatura del proletariato e votò l’adesione alla Terza Internazionale (già in marzo aveva deciso la sua definitiva secessione dalla Seconda Internazionale).

La posizione di maggioranza del partito rimase nelle mani dell’ala centrista. L’ala sinistra di Bordiga propose l’espulsione dal partito degli elementi di destra che avevano sabotato gli scioperi. Il centro di Serrati e Lazzari decise di “difendere l’unità” del partito e votò contro le espulsioni. Bordiga fondò la cosiddetta fazione “astensionista”, che si opponeva alla partecipazione alle elezioni.

Lenin criticò la posizione astensionista di Bordiga nel suo testo “L’Estremismo, malattia infantile del comunismo”, pur lodando la lotta della fazione di Bordiga contro l’ala destra del partito e denunciando il centrismo di Serrati e Lazzari. “Non c’è dubbio che il compagno Bordiga e la sua fazione di ‘comunisti boicottatori’ (comunisti astensionisti) non abbiano ragione nel sostenere la non partecipazione al Parlamento. Ma c’è un punto su cui, secondo me, ha ragione (…) quando attacca Turati e i suoi sostenitori, che sono in un partito che riconosce il potere dei soviet e la dittatura del proletariato, (ma) continuano a essere deputati e a portare avanti la loro vecchia e dannosa politica opportunista. È naturale che, tollerando questo, il compagno Serrati e tutto il Partito Socialista Italiano commettano un errore gravido di grandi danni e pericoli come in Ungheria, dove i Turati ungheresi hanno sabotato il partito e il potere dei soviet dall’interno. Un atteggiamento così errato, incoerente o privo di spina dorsale nei confronti dei parlamentari opportunisti, da un lato, alimenta il comunismo di “sinistra” e, dall’altro, ne giustifica in qualche modo l’esistenza. È evidente che il compagno Serrati non ha ragione nell’accusare il deputato Turati di ‘incoerenza’, perché è proprio il Partito Socialista Italiano, che tollera al suo interno opportunisti parlamentari come Turati e compagnia, a essere incoerente” (Lenin, “L’estremismo,, malattia infantile del comunismo”, 1919).

Le elezioni del 1919

Nelle elezioni del novembre 1919, il PSI ottenne 1.800.000 voti (più del 30%), diventando la forza con il maggior numero di seggi in parlamento (più di 150). La seconda forza elettorale era il Partito Popolare (PP), che era il partito della Chiesa cattolica e, come il PSI, era un partito di massa.

Nel 1919 fu applicato per la prima volta un sistema proporzionale. L’obiettivo principale della riforma era quello di controbilanciare il primato elettorale del PSI con un’alleanza delle altre forze politiche. In questo contesto, la gerarchia cattolica decise di revocare la disposizione Non éxpedit (non conveniente) promulgata da Papa Pio IX nel 1874, che vietava ai cattolici italiani di partecipare alle elezioni. Il Partito Popolare conteneva diverse tendenze. La sua ala più radicale aveva un approccio democratico e di riforma sociale, compresa la riforma agraria. Il loro approccio portò a un forte ascendente tra i contadini, dove il socialismo vantava uno scarso lavoro. La gerarchia cattolica tollerava la sua ala radicale, che arrivava a organizzare rivolte contadine su larga scala, considerandola un importante blocco all’influenza socialista. Anche la centrale sindacale fondata dal cattolicesimo, l’Unione Italiana del Lavoro, divenne importante in quel periodo.

I “Fasci di Combattimento”, creati da Mussolini, fecero il loro debutto in queste elezioni. Dopo la fondazione in piazza del Santo Sepolcro, che riuscì a raccogliere solo circa 300 persone, le bande paramilitari di Mussolini continuarono ad agire contro le organizzazioni operaie e socialiste. Nell’aprile 1919, a Milano, fecero irruzione nella sede dell’Avanti, il giornale socialista che Mussolini era riuscito a dirigere cinque anni prima. L’edificio fu sequestrato da una di queste bande armate, poi saccheggiato e dato alle fiamme. La città di Milano era allora governata da un sindaco socialista. La polizia municipale, a cui era stato ordinato di difendere la sede e di prevenire gli incidenti, lasciò fare. Secondo alcune testimonianze, la decisione di non reprimere la banda di Mussolini fu una scelta autonoma delle forze di polizia presenti, perché i fascisti erano composti da veterani di guerra ed ex ufficiali per i quali provavano “rispetto” e “subordinazione”.

La risposta del PSI all’avanzata fascista fu di “mantenere la calma”, non di inasprire il conflitto. L’Avanti! lanciò una campagna di sottoscrizione che ricevette un massiccio sostegno da parte dei lavoratori milanesi e, in sole tre settimane, il giornale tornò in circolazione.

Nell’ottobre 1919, i Fasci di combattimento tennero il loro primo Congresso. Mentre il PSI raccolse circa 70.000 delegati al suo XVI Congresso di Bologna, i Fasci ne raccolsero poche centinaia al loro Congresso di Firenze, che decise di partecipare alle elezioni senza un’alleanza con i liberali. I Fasci di Combattimento non riuscirono a mettere insieme una lista nazionale e poterono candidarsi solo nella circoscrizione di Milano. Lì, lo stesso Mussolini capeggiò la lista che ottenne lo 0,08% dei voti (poco più di 4000 voti). I gruppi violenti guidati da Mussolini avevano l’appoggio delle forze di polizia e il finanziamento di alcuni padroni, ma erano ancora in completa marginalità politica

Biennio Rosso: 1920

Nel 1920 continuarono gli scioperi e i conflitti operai. In quell’anno furono registrati più di 2.000 scioperi e circa 2.300.000 scioperanti. Gli iscritti ai sindacati erano aumentati, soprattutto nella CGL. La borghesia chiedeva un’azione più decisa da parte di un governo indebolito e impotente. La potente Federazione dei metalmeccanici (che raggruppava gli operai dei grandi stabilimenti automobilistici) condusse un’intensa lotta in quelli che divennero noti come “scioperi dell’orologio”, i quali ebbero origine nella fabbrica FIAT di Torino.

La protesta dei lavoratori riguardava l’anticipo di un’ora dell’ora legale, imposto durante la guerra per risparmiare energia. Quando arrivò l’inverno, gli operai dovettero uscire di casa al buio e con il freddo estremo, quindi chiesero ai padroni di spostare l’orario di lavoro di un’ora. I capi risposero con un rifiuto, così i delegati di fabbrica decisero, di propria iniziativa, di rimandare l’orologio della fabbrica avanti di un’ora. La posta in gioco dietro il conflitto dell’orologio era il potere delle commissioni interne di decidere il regime di lavoro contro i padroni. I padroni dello stabilimento FIAT risposero con tre licenziamenti e gli operai entrarono in sciopero, coinvolgendo tutte le officine metalliche di Torino. Di fronte a ciò, i padroni decisero di chiudere l’impianto; i lavoratori risposero con un’occupazione. Lo sciopero generale e le occupazioni si estesero a tutta la provincia di Torino e coinvolsero più di 100.000 lavoratori, che diedero vita a numerosi consigli e collegamenti intersindacali. Sia la leadership del PSI sia quella della CGL decisero di non sostenere il conflitto, che finì per perdere slancio.

Poche settimane dopo, ad Ancona scoppiò la Rivolta dei Bersaglieri. A differenza dei conflitti precedenti, la rivolta di Ancona fu guidata dai soldati e si trasformò in una rivolta popolare armata. I Bersaglieri erano un particolare tipo di fanti italiani. Il motivo scatenante della rivolta fu il rifiuto di partire per l’Albania, dove il porto di Valona era occupato dal governo italiano. La resistenza era dovuta alle cattive condizioni di vita nel luogo di destinazione e alla solidarietà con la popolazione albanese che resisteva eroicamente all’invasione italiana. L’ammutinamento comportò l’assalto alle caserme e il sequestro di munizioni, mitragliatrici e autoblindo. In poche ore la rivolta si diffuse e tutte le installazioni militari della città furono saccheggiate, disarmando le forze fedeli al governo. Le strade della città divennero veri e propri campi di battaglia. La rivolta si estese a tutta la provincia, poi ad altre province e a diverse decine di città, dove fu proclamato uno sciopero generale alla notizia della sommossa. I ferrovieri scioperarono per impedire al governo di inviare truppe di rinforzo nelle città in rivolta. A Roma scoppiarono immediatamente uno sciopero generale a tempo indeterminato e manifestazioni di piazza di massa, cui si opposero il PSI e la CGL. Lo stesso accadde a Milano. Il governo riuscì a sedare la rivolta di Ancona alcuni giorni dopo, bombardando la città. Una settimana dopo la repressione della rivolta, il governo dichiarò il ritiro completo delle forze italiane dall’Albania.

In agosto, il sindacato dei metalmeccanici avanzò richieste salariali nel bel mezzo di una carestia generalizzata e adottò misure sul lavoro a chiamata. Alla fine del mese i padroni decisero di rispondere con la chiusura dei grandi stabilimenti Alfa Romeo di Milano e gli operai con l’occupazione di fabbrica. Le occupazioni di fabbrica iniziarono a diffondersi in altri stabilimenti e in altre città, coinvolgendo ben 400.000 lavoratori e raggiungendo i 500.000 quando si estesero ad altri mestieri. Gli espropri furono effettuati mantenendo la produzione con gli impianti sotto il controllo dei lavoratori. Il controllo degli impianti e della produzione richiedeva di assicurare il trasporto, le materie prime, la commercializzazione, ecc. Fu a Torino che la gestione operaia ottenne il maggior successo, grazie alla creazione di comitati di fabbrica che controllavano la produzione, il commercio e l’approvvigionamento a livello dell’intera città. Contemporaneamente si formò un comitato di soldati per la sicurezza, chiamato Guardie Rosse, con un proprio inno. La FIAT, sotto la gestione dei suoi operai, raggiunse un livello di produzione pari al 70% di quello precedente al conflitto. I ferrovieri, ancora una volta, organizzarono il blocco dei binari per impedire al governo di intervenire in città.

La CGL strettamente legata all’ala destra del socialismo, ha isolato il più possibile il movimento degli occupanti. Il PSI, plasmato da anni di parlamentarismo, si orientò per la richiesta di una riunione del Parlamento (che era in pausa) per votare misure favorevoli ai lavoratori. Il sindacato raggiunse un compromesso con il governo, in modo che le occupazioni venissero revocate e le fabbriche restituite ai padroni. Alla fine di settembre le occupazioni furono revocate con alcune concessioni, in quella che fu una chiara sconfitta. Da quel momento in poi, il movimento operaio cominciò ad arretrare precipitosamente.

L’ascesa del fascismo

La sconfitta della rivoluzione italiana nel settembre 1920 fu un colpo da cui la classe operaia avrebbe impiegato decenni per riprendersi. Il tradimento del PSI provocò spaccature al suo interno e pochi mesi dopo si formò il Partito Comunista Italiano. Alle elezioni di quell’anno, il PSI subì un notevole calo di voti. La sconfitta della rivoluzione italiana è avvenuta quasi contemporaneamente alla sconfitta della classe operaia tedesca. La guerra civile in Russia si stava concludendo e la Russia si stava consolidando sul proprio territorio, ma era tagliata fuori dal resto del mondo. Fu allora che i gruppi fascisti in Italia cominciarono ad alzare la testa.

Anni dopo, alla luce dell’ascesa del nazismo in Germania, Trotsky avrebbe ripreso la lezione di questa esperienza italiana: “Il fascismo italiano è sorto direttamente dall’insurrezione del proletariato italiano, tradito dai riformisti. Dopo la fine della guerra, il movimento rivoluzionario in Italia continuò a crescere e, nel settembre 1920, condusse alla presa delle fabbriche e delle officine da parte degli operai. La dittatura del proletariato era una realtà, restava solo da organizzarla e da essere coerenti fino in fondo. La socialdemocrazia ha avuto paura e si è tirata indietro. Dopo sforzi coraggiosi ed eroici, il proletariato si è trovato nel vuoto. Il crollo del movimento rivoluzionario è stato il presupposto più importante per la crescita del fascismo. A settembre l’offensiva rivoluzionaria del proletariato fu fermata; a novembre ebbe luogo il primo importante attacco dei fascisti (la presa di Bologna)”. (Trotsky, “E adesso? Problemi vitali del proletariato tedesco”, 25 gennaio 1932).

Trotsky si riferisce al massacro di Palazzo d’Accursio, avvenuto il 21 novembre nella città di Bologna. L’evento è considerato un punto di svolta a favore dell’ascesa del fascismo al potere. L’amministrazione della città era stata recentemente conquistata dal PSI. Nel giorno della cerimonia ufficiale di insediamento del socialista Enio Gnudi come sindaco, bande fasciste armate attaccarono la folla riunita per l’evento. Nell’attacco furono uccisi undici socialisti, tra cui un consigliere comunale. L’attacco fu condotto con l’ostentata complicità della polizia locale, che fu presente in aperta simpatia con i fascisti. Il giuramento di Gnudi non poté avere luogo e fu emesso un comunicato in cui chiedeva “la pacificazione degli animi” condannando la violenza. Gnudi si dimise e il Consiglio decise di sciogliersi, lasciando l’amministrazione del comune in un vuoto di potere (il che, di fatto, significava lasciarlo nelle mani di bande armate fasciste, nonostante il socialismo avesse vinto le elezioni con una comoda maggioranza).

Gli eventi di Bologna servono a descrivere la politica della dirigenza PSI di fronte all’ascesa del fascismo, che di lì a poco avrebbe aperto intensi dibattiti nella Terza Internazionale. Trotsky, ancora una volta in relazione alla questione tedesca, riprenderà le conclusioni politiche italiane di quegli anni: “A dire il vero, dopo la catastrofe di settembre (1920), il proletariato era ancora capace di condurre lotte difensive. Ma la socialdemocrazia aveva una sola preoccupazione: ritirare i lavoratori dalla battaglia al prezzo di continue concessioni. I socialdemocratici confidavano che un atteggiamento remissivo da parte dei lavoratori avrebbe messo l’opinione pubblica borghese contro i fascisti. Inoltre, i riformisti contavano persino sull’aiuto di (Re) Vittorio Emanuele. Fino all’ultimo momento dissuasero con tutte le loro forze gli operai dal combattere contro le bande di Mussolini. Ma tutto questo non servì a nulla. Seguendo lo strato superiore della borghesia, la corona si schierò con i fascisti. Convinti all’ultimo momento dell’impossibilità di fermare il fascismo con la docilità, i socialdemocratici invitarono i lavoratori allo sciopero generale. Ma questa chiamata fu un fiasco. I riformisti avevano così a lungo annaffiato la polvere da sparo, temendo che prendesse fuoco, che, quando finalmente con mano tremante avvicinarono un fiammifero acceso, la polvere da sparo non si accese”.

Con la sconfitta della rivoluzione italiana e il tradimento delle leadership socialiste, il fascismo, che si esprimeva in bande ben organizzate e determinate ma politicamente marginali, avrebbe vissuto in soli due anni una sfrenata ascesa al potere.

Testo originale: https://politicaobrera.com/8201-a-100-anos-de-la-marcha-sobre-roma-el-nacimiento-del-fascismo-ii

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