Volodymyr Chemerys, la pecora nera della politica ucraina

Libertà per Volodymyr Chemerys! Giù le mani dagli antifascisti e dai socialisti ucraini!

Il servizio di intelligence ucraino SBU ha perquisito e picchiato, provocandogli la rottura di una costola, Volodymyr Chemerys, riconosciuto attivista ucraino per i diritti civili e membro del gruppo socialista “Rossi”. L’accusa che gli viene fatta, priva di ogni fondamento, è la “negazione dell’aggressione armata della Federazione Russa contro l’Ucraina” e la “glorificazione dei suoi partecipanti”. E’ una accusa gravissima, oltre che falsa, poiché in circostanze aggravanti implica fino a 8 anni di carcere. L’altra accusa della SBU è di aver gestito il canale Telegram di repressione in Ucraina https://t.me/repressionoftheleft dove sono state denunciate le persecuzioni politiche nel Paese e l’arresto arbitrario degli oppositori. Prospettiva Operaia solidarizza con gli antifascisti e i socialisti arrestati e ne reclama la scarcerazione e la caduta delle accuse di tradimento e collaborazione col nemico.

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Pubblichiamo, a proposito della repressione nei confronti di Chemeris, la traduzione di un articolo del giornalista ucraino Oleg Yasinsky.

Volodymyr Chemerys, la pecora nera della politica ucraina

21.07.22 – Kiev, Ucraina – Oleg Yasinsky

Queste parole sono per un amico e compagno la cui vita è in pericolo. Nel panorama politico ucraino, sempre più povero, decadente e prevedibile tra tanti burattini e tanti fanatici, sono rimaste poche personalità politiche. Le fiamme che ora si alzano sul Paese, più chiare che mai, illuminano la terra nera bruciata, senza idee, senza pensiero, senza sguardi, un territorio che molto prima di questa guerra, era stato spogliato di ogni possibilità di futuro, generosamente seminato solo con i semi velenosi dell’odio nazionalista.

di Oleg Yasinsky

In mezzo a questo paesaggio desolato, nonostante e contro tutte le leggi della logica e della natura, sopravvivono grandi persone e la loro grandezza è limitata da questi tempi fottuti. Le pecore nere in realtà sono gli elefanti o le balene che sostengono il mondo. Il nome di uno di loro è Volodymyr (in ucraino) o Vladimir (in russo, come preferite) Chemerys. Pensando a lui, mi viene sempre in mente questa canzone di Silvio (Rodriguez, musicista cubano Ndr.) sulla pecora nera:

“…È la stessa pecora scura che di notte

Non si vede sotto i raggi della luna.

È lo stessa che si blocca nei burroni.

È lo stessa che l’altro ieri il prete ha maledetto…”.

La prima volta che l’ho visto sullo schermo televisivo, a Kiev, nell’ottobre del 1990, era uno dei principali leader studenteschi, protagonisti della “rivoluzione granitica”, un ampio movimento di studenti ucraini che, tra le varie richieste, chiedeva nuove elezioni parlamentari, il servizio militare degli ucraini solo sul territorio dell’Ucraina, una nuova costituzione, il rinvio della ratifica dell’adesione dell’Ucraina all’URSS fino a “uno Stato costituzionale indipendente, politicamente ed economicamente stabile” e le dimissioni del Primo Ministro.

La caduta del primo ministro e l’accettazione  della maggior parte delle sue richieste da parte del governo fu un evento decisivo per la proclamazione dell’indipendenza ucraina in meno di un anno.

Volodymyr aveva un aspetto magro, era uno degli oltre cento studenti che stavano facendo uno sciopero della fame di 15 giorni nelle tende della piazza centrale di Kiev, quando la parola “Maidan” non era ancora nota al mondo. Ricordo un’organizzazione esemplare della sicurezza durante la protesta. Tra i manifestanti c’erano gli incaricati di prevenire qualsiasi espressione violenta, erano molto disciplinati e mantenevano un contatto informale permanente con la polizia, che anch’essa non voleva reprimere.

Nelle tre settimane di marce quotidiane, con centinaia di migliaia di partecipanti, non c’è stato un solo episodio di violenza. Come gran parte della nostra generazione di allora, era delusa dai doppi standard del socialismo burocratico, credeva nei valori della democrazia liberale, ne condivideva il grande idealismo con l’enorme ingenuità tipica della nostra società senza una tradizione di dibattito politico.

Si trattava di un ampio movimento nazionalista democratico (ancora abbastanza democratico e non molto nazionalista), molto inclusivo e che credeva molto nell’assurdità allora popolare di pensare che ci potesse essere una convergenza tra il meglio del socialismo e del capitalismo per progredire come società. Nonostante la nostra totale incomprensione del mondo reale, in mezzo a questi movimenti abbiamo avuto delle discussioni molto interessanti e profonde. La politica non ci sembrava ancora qualcosa di sporco, tanto meno un affare, pensavamo che fosse una questione per idealisti e rivoluzionari. Non avevamo idea di nulla.

Per la seconda volta, l’ho incontrato di nuovo circa 15 anni dopo. Vivevo già in Cile e quando occasionalmente mi recavo in Ucraina, i miei amici di sinistra mi invitavano a parlare dell’America Latina, poiché si registrava sempre un grande interesse ma poche informazioni dirette.

Ricordo che una volta lo facemmo nella sede dell’Instituto República, da lui fondato e diretto. Era uno strano progetto di costruzione di un pensiero civico aperto a tutti (quando era ancora possibile). Alla nostra conversazione sull’America Latina parteciparono comunisti, anarchici, trotzkisti e nazionalisti ucraini. Discutevamo per ore di vari argomenti. Riuscivamo ancora a parlarci e, nonostante le divergenze molto evidenti, quasi su tutto, e le battute politiche tra tutti noi, potevamo ancora stringerci la mano e andare a bere qualcosa insieme per continuare la discussione. Mi chiedevano spesso degli zapatisti. Quando poi rimanevamo soli con Volodymyr per un po’, mi raccontava della sua ammirazione di sempre per la Rivoluzione cubana, i sandinisti e di Allende. Era la sinistra in cui credeva. L’Ucraina era ancora un luogo molto pacifico e le guerre sembravano essere una questione di altri mondi esotici e lontani.

Alcuni ricorderanno che durante l’invasione statunitense dell’Iraq, l’8 aprile 2002, due giornalisti stranieri furono uccisi dal fuoco dei carri armati all’hotel “Palestine” di Baghdad: lo spagnolo José Couso e l’ucraino Taras Protsiuk. Taras era un amico di Volodymyr. Negli anni successivi Chemerys, di fronte alla totale indifferenza del suo governo, organizzò una campagna in Ucraina per chiedere al governo statunitense di riconoscere le proprie responsabilità e di risarcire la sua famiglia. Ovviamente, senza ottenere alcuna risposta.

Pochi mesi dopo il colpo di Stato, mediaticamente noto come “rivoluzione di Maidan”, nel maggio 2014, mi ha raccontato in un’intervista:

“Quella che oggi è conosciuta come Euromaidan ha avuto origine dalla protesta di una parte della classe media istruita (“classe creativa”), a causa del rifiuto del governo di firmare l’accordo di integrazione con l’Unione Europea. È iniziato il 21 novembre 2013 e si è praticamente esaurito alla fine del mese. Le manifestazioni stavano per spegnersi, ma la notte del 30 novembre, in violazione della Costituzione e con insolita crudeltà, sono state represse dalle forze speciali di polizia, il Berkut, e il giorno dopo, il 1° dicembre, diverse centinaia di migliaia di ucraini indignati sono scesi in piazza a Kiev. Ma non si trattava più dell’Euromaidan vero e proprio”.

La raccolta “Iniziative democratiche” sottolinea che la richiesta di un sodalizio con l’Europa era appoggiata solo da una minoranza di coloro che protestavano; la maggioranza (più del 70%) voleva, innanzitutto, un miglioramento della vita in Ucraina e le dimissioni del corrotto presidente Yanukovych. Le parole “cambiamento del sistema” sono state le più popolari nel Maidan, ma la loro voce è stata dirottata dai rappresentanti dell’opposizione borghese, due partiti liberali e un partito nazionalista. Erano loro ad avere le risorse per imporre il loro programma, mentre l’estrema destra era impegnata a distruggere monumenti a Lenin, a marciare con le torce e ad attaccare fisicamente i sindacalisti.

Le persone che hanno protestato lo hanno fatto per esigenze sociali e volevano innanzitutto porre fine al potere degli oligarchi; ma queste richieste non sono diventate le richieste del Maidan. Questo è accaduto perché la sinistra si è letteralmente atomizzata e la società civile non era abbastanza forte o organizzata per resistere alla valanga di risorse economiche dei partiti. Alla fine, i leader dell’opposizione politica, ripetutamente fischiati dal Maidan, sono stati gli unici che sono riusciti a capitalizzare la caduta del regime di Yanukovych formando il loro governo di transizione.

Nella parte orientale dell’Ucraina il potenziale di protesta era forse ancora maggiore che nella parte occidentale; nella primavera del 2013, ad esempio, nella regione di Lugansk, i minatori hanno preso d’assalto l’edificio dell’amministrazione mineraria per chiedere il soddisfacimento delle loro richieste sociali al noto oligarca Rinat Akhmetov. Ma l’Est non ha sostenuto la ribellione di Maidan: innanzitutto perché non ha visto espresse le sue richieste sociali, e poi perché aveva respinto le azioni aggressive dell’estrema destra. Un’altra ragione fu che gli operai non erano quasi rappresentati: secondo le informazioni della stessa organizzazione “Iniziative Democratiche”, gli operai nel Maidan erano solo il 7%”.

È stato uno dei pochissimi protagonisti della lotta per l’indipendenza ucraina che ha condannato in modo inequivocabile e categorico l’attacco militare del governo ucraino alle repubbliche filo-indipendentiste del Donbass, accusando il potere di crimini militari e chiedendo un dialogo urgente con i ribelli. Essendo uno degli autori dell’attuale Costituzione ucraina, è stato tra i primi a denunciarne la sistematica violazione, prima da parte del governo di Petro Poroshenko e ora da quello di Volodymyr Zelensky. Ha parlato in modo chiaro e netto degli enormi rischi dell’interferenza del FMI, della NATO e degli Stati Uniti negli affari interni dell’Ucraina, chiamando per nome i loro governi fantoccio.

Quando mi trovavo a Kiev nell’ottobre dello scorso anno, e le organizzazioni di sinistra e indipendenti dal potere, così come i media, erano già praticamente banditi dal governo, ci hanno invitato, circa 20 o 30 amici e conoscenti fidati, a piantare un boschetto per la libertà di stampa davanti all’ambasciata statunitense. Avevamo paura di un attacco nazista o della polizia, ma non è successo nulla. È stato divertente che una guardia ucraina dell’ambasciata ci abbia aiutato a piantare gli alberi. A differenza nostra, lui proveniva da un ambiente contadino e sapeva come si faceva. Il primo albero è stato piantato in nome di Taras Protsiuk, il cameraman ucraino ucciso dagli americani a Baghdad, altri in memoria di giornalisti e comunicatori uccisi dai paramilitari in Ucraina e con nomi di giornali e canali televisivi chiusi. Un altro è stato dedicato ad Assange. Tra questi alberi, ce n’era uno in omaggio ai comunicatori e agli attivisti sociali uccisi in America Latina.

Quando il 24 febbraio è iniziata la guerra e con essa una brutale repressione da parte del governo ucraino contro tutti i non conformisti, i sospetti e i critici, e molti dei nostri compagni sono stati arrestati, rapiti, fatti sparire e, in caso di fortuna, condannati a lunghe pene per crimini mai commessi, Volodymyr, nonostante le continue minacce, ha aperto il suo canale su Telegram “https://t.me/repressionoftheleft” dove ha denunciato le persecuzioni politiche nel suo Paese.

Il 19 luglio, agenti dei servizi segreti ucraini dell’SBU, accompagnati da attivisti nazisti come testimoni, hanno fatto irruzione nella sua casa e, dopo percosse, insulti e scherni, hanno confiscato tutti i suoi dispositivi elettronici. È accusato ai sensi dell’articolo 436-2 del Codice penale ucraino per “Giustificazione, legittimazione, negazione dell’aggressione armata della Federazione Russa contro l’Ucraina e glorificazione dei suoi partecipanti” che, se giudicato “colpevole”, comporterebbe fino a 8 anni di carcere con l’esproprio di tutte le sue proprietà.

L’interrogatorio è previsto per il 26 luglio. Poiché il suo computer e i suoi telefoni sono nelle mani dell’SBU, non sarebbe sorprendente se l’accusa presentasse come “prova” qualcosa di stupido come “lettere di Putin” o Lavrov, cose che normalmente sono fabbricate. L’altro rischio permanente per lui è quello di essere preso di mira dai gruppi paramilitari che lo hanno sempre minacciato.

Sono già arrivate molte parole di incoraggiamento e proposte di sostegno dall’Ucraina, dal Donbass, dalla Russia e da altre parti d’Europa, da brave persone di diverse convinzioni politiche e con diverse opinioni sulla guerra in corso. Poi ci sono gli altri: alcuni, che celebrano il fatto che “gli torna indietro come un boomerang” per essere uno dei “colpevoli dell’indipendenza dell’Ucraina” e altri, i nazisti ucraini, che lo considerano un “traditore della loro causa”. Gli estremi e le stupidità, come sempre, si toccano e si abbracciano.

Abbiamo bisogno di tutta la diffusione e la solidarietà possibile.

Testo originale: https://www.pressenza.com/es/2022/07/volodymyr-chemerysla-oveja-negra-de-la-politica-ucraniana/?fbclid=IwAR2QPmMz3EblUzbzUv2S8dj2MEjCKKjG0rhUTCS8e9IMxpC92e5ulE3L5Do

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