di RdB
La crisi permanente di sistema, tra recessione economica, scenari di guerra e pantano pandemico, sta producendo crisi di consenso per i governi delle maggiori economie a livello mondiale. Tali crisi lasciano sul terreno o esecutivi estremamente indeboliti, come in USA, Germania e Spagna, o esecutivi senza più maggioranza, come in Francia, o infine esecutivi crollati del tutto come in Inghilterra e Italia.
Le immagini del G20 in Spagna, del G7 in Germania, nonché quelle dei treni dei capi di Stato e di governo verso Kiev, che volevano mostrare un imperialismo forte e determinato nella conquista dello spazio ex-sovietico e del Pacifico, restano soltanto foto impietose di un occidente in crisi verticale.
La fine di Johnson, la quasi fine di Macron
Il governo conservatore di Boris Johnson è collassato su sé stesso dopo dimissioni di massa (una cinquantina) di ministri e altri membri del governo, che cogliendo l’occasione di scandali personali dell’ormai ex primo ministro hanno deciso di metter fine alla sua disastrosa esperienza. Secondo un sondagio dell’inglese YouGov (https://yougov.co.uk/topics/politics/articles-reports/2022/07/05/snap-poll-most-conservative-voters-now-want-boris-) il 69% dei votanti chiedeva le dimissioni del primo ministro, così come la maggioranza (54%) degli stessi elettori conservatori. Le politiche di minimizzazione della pandemia da Covid, che lo hanno accomunato ai più importanti leader della destra mondiale (con buona pace dei no-vax di sinistra) come Trump e Bolsonaro, con interventi e misure ridotte al minimo, e con un sistema sanitario nazionale praticamente smantellato. non sono servite allo scopo di non danneggiare l’economia costringendo il governo ad aiuti economici a fondo perduto nei confronti delle imprese e cassa integrazione per lavoratori dipendenti ed autonomi. Con un’inflazione all’11%, tutto ciò ha aggravato il debito pubblico ancor prima dell’ulteriore pesante colpo fornito dalla guerra in Ucraina, nella quale il governo inglese ha investito pesanti mezzi economici e militari. Il carovita ha raggiunto livelli insopportabili, con una previsione di aumento delle tariffe di elettricità e gas del 40% prima della fine dell’estate. Il rapporto debito/pil ha poi ormai superato il 100%, per la prima volta da oltre 70 anni.
Non è certamente più stabile la situazione politica ed economica in Francia. Alle recenti elezioni legislative più di un elettore su due ha disertato le urne (54% di astensionismo), anche in questo caso record storico per la V Repubblica (senza considerare che nei quartieri popolari e nelle periferie dove predominano miseria e disoccupazione l’affluenza al voto raramente ha superato il 33%, quindi un terzo degli aventi diritto). Le elezioni legislative, che si tengono a poca distanza dalle presidenziali, hanno poi anche solitamente consegnato stabili maggioranze ai neo-eletti presidenti. Invece stavolta la coalizione Ensemble di Macron si è fermata ben lontana dai 289 seggi che garantiscono la maggioranza assoluta, perdendone un terzo rispetto alla precedente Assemblea Nazionale (da 350 a 245). È la più piccola maggioranza (relativa) mai ottenuta dalla nascita della V Repubblica, Le Monde ha dichiarato che per l’enfant prodrige della politica francese è “un fallimento enorme, […] uno scenario da incubo per il presidente”. Le feroci “riforme” antisindacali, antipopolari, antioperaie degli ultimi 5 anni (e per il prossimo quinquennio già si prospetta nuovamente prima di tutto quella sull’innalzamento dell’età pensionabile) Macron le ha gestite con l’arroganza di chi era stato osannato come la punta di lancia del capitalismo europeo (oggi insieme a Draghi) e legittimato da un successo elettorale nel 2017 che però aveva pilastri tutt’altro che solidi e duraturi. In un Paese travolto anch’esso da crisi inflazionistica e atavica crescita di prezzi e costo della vita, le cicliche proteste delle banlieue, dei Jilets Jaunes, degli studenti e soprattutto della classe lavoratrice francese (scioperi dei ferrovieri, il maggiore durato ben tre mesi nel 2018, lotte operaie continue nel settore dell’automotive in Renault, Peugeot-Citroen, Dacia, movimento contro la riforma delle pensioni nel 2020, ecc…), sono tutt’altro che un ricordo del passato. E Macron lo sa.
Crisi totale in Italia
Crollo del PIL, inflazione ormai sopra l’8%, previsione stagflazionistica, tasso di disoccupazione anch’esso sopra l’8% (20,5% quella giovanile), continue crisi aziendali, chiusure e licenziamenti, emergenza sanitaria permanente (in un Paese tra quelli con più morti per Covid in Europa, 170.000), crisi energetica, debito pubblico in crescita perenne (al momento 152% del PIL), carovita fuori controllo a causa anche delle conseguenze su costi e prezzi della guerra imperialista in cui l’Italia è pienamente coinvolta. Questo è lo scenario catastrofico del nostro Paese, da tempo definito dalla stessa stampa borghese il “malato d’Europa”, non a caso il Paese che ha richiesto il maggiore sostegno economico (209 miliardi di euro) all’Unione Europea all’interno del piano Next Generation UE, circostanza che aumenterà ulteriormente nei prossimi anni l’indebitamento pubblico. Questo è lo scenario catastrofico che non poteva non portare ad una nuova impasse politica (la quarta in quattro anni di questa legislatura). Solo una lettura superficiale e filoborghese può attribuire la crisi in corso alle beghe di palazzo e agli squallidi personaggi di gruppi parlamentari, partiti e partitini italiani. La crisi politica è frutto della crisi economica del capitale, della crisi di sistema e del regime politico della borghesia. Sotto i colpi di tale crisi, la classe politica italiana ha perso da tempo legittimità e, in un Paese storicamente ad alto coinvolgimento politico ed elettorale si registra ad ogni tornata elettorale una sempre minore partecipazione: alle regionali 2020 il 57%, alle amministrative 2021 il 54,4%, alle amministrative 2022 il 54,7% al primo turno e il 42,2% al secondo turno. Con un elettore su due che ormai diserta stabilmente le urne va da sé che nessuna forza politica può festeggiare alcun tipo di risultato. Il regime politico italiano poggia su piedi di argilla! Quando nel 2019 la Lega di Salvini conquistava il 34% alle elezioni europee, tutte le sinistre, da quella riformista a quella di movimento, da quella sindacale a quella di classe (compresa la quasi totalità del sedicente trotskismo italiano), urlavano al pericolo della reazione alle porte, di un fascismo in salsa verde inarrestabile, mentre noi, quasi in solitaria denunciavamo i limiti e le contraddizioni (https://prospettivaoperaia.org/2020/10/08/le-elezioni-confermano-linstabilita-politica-di-una-borghesia-in-crisi-e-linutilita-del-populismo-piccolo-borghese/) di quel momentaneo successo della Lega, del Movimento 5 Stelle e del loro governo populista (https://prospettivaoperaia.org/2019/05/29/la-vittoria-di-pirro-di-capitan-salvini-il-crollo-delle-illusioni-a-5-stelle-e-il-fallimento-di-nuove-e-vecchie-sinistre-riformiste/). Tre mesi dopo quel governo non esisteva più, tre anni dopo non esiste più neanche il principale animatore di quella esperienza e di tutte quelle successive nell’attuale legislatura, il M5S. Quanto alla Lega, le contraddizioni interne da noi segnalate negli anni hanno lacerato quel partito, diviso nel partito dei governatori di regione del nord (Lombardia, Veneto, Piemonte), il partito di governo rappresentante delle istanze di padroni e padroncini del Nord produttivo rappresentato da Giorgetti, il partito della demenziale propaganda e del doppio gioco rappresentato da Salvini. Per entrambi i partiti, i risultati elettorali sono disastrosi, il 32% dei 5 Stelle del 2018 e il 34% della Lega del 2019 sono diventati ormai risultati ad una cifra. Il populismo interclassista, e “responsabile”, del Movimento 5 Stelle si è squagliato come neve al sole, sparendo dai territori (per quel poco che c’era ai tempi dei Meet up), ridotto all’osso e con un ruolo sempre più marginale sul web e infine distrutto in parlamento (dove è passato da 334 a 166 parlamentari… per ora!). Le riforme già all’acqua di rose, Reddito di cittadinanza, Quota 100, sono state svuotate o cancellate del tutto. Il governo di unità nazionale del super-banchiere, indipendentemente da quali saranno eventuali nuovi accordicchi di palazzo (anche in favore dello stesso Draghi), non ha potuto far fronte al momento di caduta libera di quegli stessi partiti che gli hanno dato vita, compreso i partiti “non-populisti”, come si può facilmente osservare dal terrore, palese (Partito Democratico e galassia di centro, che adesso comprende anche il nuovo parassita per eccellenza della politica italiana, il ministro degli Esteri Di Maio) o celato (Fratelli d’Italia), di andare alle urne.
Quelle stesse urne che oggi o domani non salveranno né i suddetti partiti della borghesia né le organizzazioni della sinistra riformista o centrista, che già organizzano la propria presenza alla competizione elettorale. La situazione di estrema crisi del regime borghese potrà essere affrontata, in Italia e in tutto il mondo, soltanto dalla classe lavoratrice sul terreno politico della rivoluzione socialista. A partire dai prossimi “autunni caldi” e indipendentemente dal governo che ci si troverà davanti, tutti i sinceri comunisti rivoluzionari e militanti della sinistra di classe devono porsi al servizio di tale costruzione e di tale obiettivo, non dei rituali elettorali e parlamentari del teatrino politico borghese.