La truffa dell’IPCA. Metalmeccanici più poveri nel 2022.

Il 7 giugno l’Istat ha reso pubblico l’indice IPCA [1]  medio relativo all’anno 2021 pari a 2,6%. Tale indice depurato dall’aumento dell’energia risulta dello 0,8%. L’esiguità di quest’ultima percentuale ha influito sul mancato riadeguamento (anche minimo) al tasso d’inflazione degli aumenti salariali contenuti nei contratti nazionali firmati tra il 2020 e il 2021, che relazionavano l’aumento di stipendio a tale indice. Per esempio, il contratto dei metalmeccanici approvato dai lavoratori e dalle lavoratrici del settore nell’Aprile 2021 prevedeva per il 2022 un aumento dell’1,36%. Nel caso in cui l’indice IPCA (sempre al netto degli aumenti energetici) fosse risultato superiore a quella percentuale, si sarebbe applicata una clausola di salvaguardia che avrebbe aumentato il salario di una percentuale pari all’indice IPCA.

Quindi, i metalmeccanici che “vantano” uno dei contratti nazionali “migliori” saranno più poveri nel 2022. Da giugno 2021 infatti è stata prevista una crescita media dell’inflazione del 5,8% sull’anno corrente [2], ma l’unico aumento che verrà percepito sarà dell’1,36%. In pratica, secondo questi dati, quest’anno per il potere d’acquisto dei metalmeccanici è prevista una contrazione del 4,44% (su uno stipendio di 1500 euro si perdono 67 euro di potere d’acquisto al mese e sulle tredici mensilità annuali 865 euro).

Per un primo adeguamento all’IPCA bisognerà aspettare un anno. L’ISTAT per l’anno corrente prevede una crescita dell’indice del 4.7%, che farebbe scattare la clausola di salvaguardia e coinciderebbe con l’aumento in busta paga di Giugno 2023. Anche se questo dovesse verificarsi, il riadeguamento sarebbe comunque inferiore all’inflazione risultante al netto degli aumenti energetici dell’indice stesso, che stanno influendo fortemente sul caro vita.

Il “contratto migliore dei contratti possibili” è invecchiato malissimo.

Soltanto un anno fa i segretari nazionali di FIOM, FIM e UILM dipingevano questo come il “contratto migliore dei contratti possibili” e l’adeguamento all’IPCA come “una piccola scala mobile”, mettendo in moto una fitta rete di propaganda tramite le assemblee nei luoghi di lavoro, che ha consentito l’approvazione quasi unanime (oltre il 99%) da parte dei lavoratori e delle lavoratrici attraverso referendum, vantandosi anche della democraticità del percorso.

Prima del referendum, noi denunciavamo il nuovo CCNL 4.0 come un contratto filopadronale, dove si scambiava una riforma dell’inquadramento voluta fortemente dai padroni con miseri aumenti salariali, che rischiavano di essere annullati dall’inflazione (di cui già si parlava dall’inizio del 2021) [3]. La realtà odierna ha confermato il nostro “catastrofismo” e i metalmeccanici, così come tutti gli altri lavoratori, sono più poveri rispetto ad un anno fa.

La truffa dell’IPCA è stata preparata nel tempo, trovando sempre d’accordo con Confindustria Fim e Uilm e vedendo capitolare definitivamente la Fiom con la firma nel 2017 del peggior CCNL della storia approvato dal più grande sindacato metalmeccanico italiano fino a quelmomento, una mossa per permettere a Landini la scalata in CGIL e la stesura del Patto per la Fabbrica tra le parti sociali del 2018. 

Il contratto vigente alla luce del contesto attuale è addirittura peggiore di quello del 2017, perché contempla un arretramento più profondo delle condizioni operaie. Il fallimento della politica sindacale che ha diretto il proletariato negli ultimi anni è sempre più evidente. Come era prevedibile il Patto per la Fabbrica, che ha dato il via libera alle “politiche IPCA” sui salari, si è dimostrato essere una concertazione a solo uso e consumo dei padroni. Di fronte alla realtà cadono, inoltre, tutte le giustificazioni dei sindacati, che da trent’anni collegano la crescente precarietà del lavoro in Italia con il problema della mancata estensione e rinnovo dei contratti nazionali, alludendo al fatto che i lavoratori poveri si trovino esclusivamente tra quelli che non hanno accesso a un contratto nazionale che non è stato rinnovato. L’impoverimento generale, invece, passa anche dalle recenti contrattazioni e soprattutto dalle politiche di contenimento delle lotte, adottate dai confederali.

Sebbene sia difficile costruire un’opposizione alle dirigenze in assenza di lotta di classe e in condizioni di isolamento nei luoghi di lavoro, per di più in un sindacato dove la burocrazia pesa come un macigno inamovibile, la capitolazione sul CCNL ha riguardato anche le varie opposizioni CGIL. Queste hanno finito per reggere il moccolo a sindacati e Federmeccanica nella prima parte della trattativa, senza riuscire neanche a porre le basi per un dissenso, titubando persino di fronte a qualche briciola di aumento salariale sventolata nella piattaforma di trattativa, votata anch’essa attraverso un referendum all’inizio dell’Autunno del 2019. Ricordiamo che “Riconquistiamo Tutto” non si schierò per votare contro la piattaforma, ma per l’astensione. Una parte dell’opposizione che poi formò “Le Giornate Di Marzo” indicò persino il “voto critico” a favore, perché la piattaforma era in discontinuità dal punto di vista salariale con il contratto precedente. Ma è proprio da quella piattaforma in cui si rivendicava un aumento dell’8% in 3 anni (che poi diventò del 6% in 4 anni) che si è sviluppata la trattativa che ha portato a questo contratto. La sua approvazione lasciò nelle mani delle dirigenze il percorso successivo, in cui il proletariato è stato relegato a spettatore sullo sfondo ad un’altra inesorabile sconfitta concertata.

Nel contesto di una imminente fase di stagflazione (inflazione elevata, scarsa crescita economica e alto livello di disoccupazione) e di una  guerra imperialista che incombe sul destino del proletariato, si alza il livello di scontro tra capitale e lavoro. Per non soccombere in questo conflitto e per superare l’inadeguatezza dei CCNL in vigore, crediamo che sia necessario ripartire oggi da una lotta generalizzata per i salari che veda come protagonisti i metalmeccanici e tutti i lavoratori e le lavoratrici. Una lotta che metta al centro la reintroduzione di una scala mobile vera, non basata sull’indice truffaldino IPCA, e un salario minimo che sia ben oltre la soglia di povertà relativa, aggiornata all’aumento attuale del caro vita; che estenda il conflitto ai disoccupati e preveda anche la riduzione dell’orario di lavoro e un vero salario di disoccupazione

Note:

[1] 

L’IPCA è un indicatore dell’inflazione supplementare elaborato sulla base di una metodologia comune dai Paesi membri dell’Unione Europea e dell’Associazione europea di libero scambio, che consente di raffrontare il rincaro registrato in Svizzera a livello internazionale.

[2]  

https://www.ilsole24ore.com/art/istat-pil-28percento-2022-elevati-rischi-ribasso-AEFePGeB

[3]

https://prospettivaoperaia.org/2021/04/07/metalmeccanici-il-ccnl-4-0-che-guarda-al-futuro-dei-padroni/

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