Identità nazionale ed identità di classe in Palestina

di Martin Sanchez (Partido Obrero Tendencia – Argentina)

A qualche settimana dalla sospensione delle ennesime assassine operazioni militari messe in atto dal sionismo contro Gaza (ma continuano come sempre microazioni, arresti e persecuzioni in tutta la Palestina occupata), ripubblichiamo, tradotto in italiano dalle compagne di Rivoluzionaria – Organizzazione delle donne lavoratrici, un articolo di qualche anno fa del compagno argentino Martin Sanchez sulla questione di classe in quei territori.
Al fine di una corretta conoscenza delle vicende storiche e politiche di quei territori, contro lo sterile pacifismo piccolo-borghese e l’approccio semplicistico di chi tace la responsabilità delle dirigenze arabe e in particolar modo dell’ANP complice del sionismo, ci auguriamo di mettere a disposizione una utile lettura.
Prospettiva Operaia

PALESTINA] Donne e ragazze in prima linea: una lotta parte della lotta  degli oppressi e degli sfruttati del mondo - "TOCCANO UNO TOCCANO TUTTI"

  1. Lo sviluppo capitalista nel mondo arabo è caratterizzato da una paralisi dell’espansione economica e sociale all’ingresso nella modernità. La penetrazione capitalista ha rafforzato fin dall’inizio il predominio delle strutture tribali. Sia l’impresa coloniale che i capi tribù trovarono un interesse comune nel mantenere e rafforzare le gerarchie stabilite, il che permise a entrambi di avanzare nell’appropriazione delle terre collettive, trasformando i loro occupanti in mezzadri o lavoratori agricoli e stabilendo una minoranza autoctona e straniera che si appropriò improvvisamente dei mezzi di produzione senza la necessità delle grandi trasformazioni e rivoluzioni produttive che caratterizzarono il lento sviluppo della borghesia europea. Paradossalmente, lo sviluppo economico aveva conosciuto il suo splendore con l’introduzione dell’Islam, che si tradusse in una profonda trasformazione delle strutture prevalentemente tribali e nomadi esistenti nella regione. Il nuovo codice sociale islamico tendeva a promuovere gli elementi sedentari e urbani presenti nella penisola in quel momento, in opposizione ai beduini, il cui stile di vita mobile, frammentato e bellicoso rallentava l’espansione commerciale nella regione. La penetrazione economica europea si è cristallizzata in un controllo militare diretto con la sconfitta del decadente impero ottomano nella Grande Guerra. Con la ripartizione delle aree di influenza tra gli alleati, principalmente Gran Bretagna e Francia, l’Europa estese il suo controllo sullo sviluppo commerciale e produttivo regionale, principalmente come fonte di materie prime, investendo nella creazione di condizioni che favorissero l’estrazione e l’esportazione (miniere, irrigazione, raffinerie, ferrovie, strade, porti come Haifa in Palestina, e un incipiente sviluppo industriale leggero legato all’economia di esportazione). Nel caso della Palestina, l’immigrazione e l’acquisizione di terre, propugnate dal sionismo, furono apertamente incoraggiate dall’amministrazione britannica.
  1. La situazione prevalente in Palestina tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo era desolante. Scarsamente popolata, con un commercio limitato, un ridotto sviluppo industriale e una struttura agricola arcaica. L’abolizione tardiva del sistema dei feudi fu completata nel 1858 con la promulgazione del “Codice della Proprietà Agraria” con il quale si rafforzano i suoi diritti sulla terra a scapito delle comunità. Diverse correnti colonizzatrici (ecclesiastici, tedeschi, ebrei) posero le basi dello sviluppo capitalista attraverso importanti acquisizioni di terre, sviluppando le prime vie di comunicazione, perfezionando le tecniche agricole e generando un incipiente sviluppo urbano. La proprietà collettiva della terra era una tradizione agricola di lunga data. Il pesante fardello del sistema fiscale, l’introduzione forzata dell’economia monetaria e il conseguente indebitamento degli abitanti delle comunità favorirono la colonizzazione e la concentrazione delle terre e spinsero i fellah all’ipersfruttamento, formando un proletariato agricolo e a sua volta una classe di contadini senza terra, che costituì una riserva indispensabile al mantenimento dei bassi salari coloniali. Le riforme del regime di proprietà della terra aprirono la strada a un processo speculativo al quale parteciparono non solo le borghesie e le istituzioni coloniali ma anche le aristocrazie locali e regionali. L’incompetenza dei governanti arabi, la loro mancanza di scopo e di coesione nazionale costituirono per tutto il tempo un alleato cruciale dell’impresa sionista. La disorganizzazione, la mancanza di leadership e di coesione della società palestinese si combinò con la volontà delle sue élite di collaborare con l’impresa coloniale britannica e sionista.
  1. La costituzione del movimento nazionale ebraico. Se per diciotto secoli gli ebrei erano rimasti indifferenti al ritorno in Terra d’Israele, per quale motivo nell’atmosfera secolarizzata del XIX e XX secolo un legame originariamente religioso si è trasformato in una potente forza d’azione? Come abbiamo visto, questa non era una regione con grandi risorse che potevano servire da incentivo per la colonizzazione. Certo, l’esplosione antisemita fu una delle cause principali dello spostamento degli ebrei, ma non in Palestina. L’emigrazione della popolazione ebraica dall’Europa orientale tra il 1880-1929 ebbe come principale destinazione gli Stati Uniti (2.855.000), poi la Gran Bretagna (210.000), l’Argentina (180.000), il Canada (125.000), la Palestina (120.000), la Germania (100.000), la Francia (100.000), per un totale di 4 milioni di migranti ebrei. Sia l’ascesa del sionismo che lo stesso antisemitismo devono essere interpretati alla luce dell’espansione dei movimenti nazionalisti europei, con una trasformazione dell’identità religiosa ebraica in un’identità laica degli ebrei come nazione. In questo senso ciò non sarebbe potuto sorgere in un periodo precedente ai secoli XIX e XX, poiché fu la modernità a far nascere un nuovo tipo d’identità caratterizzato dalla coesione nazionale (etnia, lingua, storia comune, reale o immaginaria). Paradossalmente, il sionismo è figlio di questo processo di costituzione del nazionalismo, così come l’antisemitismo. Tuttavia, il sionismo, come movimento nazionale, dovette farsi strada attraverso una serie di resistenze di cui la difficoltà ad emigrare in Palestina costituiva un aspetto importante ma non il più importante (ancor meno l’unico). Tutta la storia successiva del movimento sionista fu determinata da una preoccupazione: ottenere influenza e sostegno tra gli ebrei di vari paesi e classi sociali, i quali adottarono un atteggiamento attendista, ostile o indifferente nei suoi confronti. In questa lotta per conquistare gli ebrei alla sua causa, la tradizione socialista e in generale l’identità operaia tra gli ebrei era un chiaro ostacolo. La denuncia e l’opposizione militante del movimento socialista e comunista all’antisemitismo attirò molti ebrei nel movimento riformista e rivoluzionario. Anche all’interno del sionismo si svilupparono correnti che tentavano di conciliare la causa nazionale ebraica e il socialismo. La “Lega Generale dei Lavoratori Ebrei di Lituania, Polonia e Russia” era la corrente non sionista più influente nel movimento nazionale ebraico. La sezione russa di tale corrente, espulsa al Secondo Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (1902), si unì al partito bolscevico al potere nell’aprile 1920. D’altra parte, il pensiero socialista ebbe una forte influenza sul movimento sionista: gran parte della colonizzazione attraverso insediamenti collettivi (kibbutzim) fu realizzata con l’idea di creare una nazione ebraica socialista in Palestina. Infine, la consapevolezza della situazione degli arabi non era rara nei circoli politici e intellettuali ebraici… Alcuni collettivi, come il marxista Hashomer Hatzair, predicavano l’integrazione tra ebrei e arabi basata sulla classe sociale.
  1. In Palestina la forza lavoro araba esercitava i lavori manuali più pesanti e i lavoratori ebrei (minoranza) occupavano le posizioni più alte e meglio pagate, inoltre avevano l’appoggio delle istituzioni sioniste e, in molti casi, inglesi. Con la terza aliyah (ondata di immigrazione ebraica 1919-1923), fu fondato l’Histadrut, il sindacato ebraico, basato sulla difesa del lavoro ebraico in concorrenza con quello arabo, che sarebbe presto diventato la principale istituzione sionista, responsabile dell’organizzazione di boicottaggi e picchetti contro i prodotti realizzati dalla popolazione araba. Nelle situazioni in cui non era possibile avere una manodopera esclusivamente ebraica, come nel caso degli impieghi governativi, l’Histadrut fece una campagna per ottenere salari più alti per i lavoratori ebrei. Anche se gli inglesi rifiutarono questa richiesta, in pratica furono sviluppate quattro tariffe salariali per i lavoratori non qualificati, a seconda che il lavoratore fosse ebreo o arabo. Il sindacato divenne rapidamente una delle istituzioni chiave dell’impresa colonialista. I lavoratori arabi, trovandosi nel pieno della transizione dal lavoro contadino al lavoro salariato e al proletariato urbano, si trovarono in un momento di massima vulnerabilità. Dovevano affrontare non solo i loro sfruttatori, ma anche l’immigrazione sionista con l’appoggio strategico britannico. Se la solidarietà di classe avesse avuto un peso nel socialsionsimo, l’unione di immigrati e lavoratori nativi avrebbe dato loro una forza significativa di fronte al capitale. Tuttavia, si è verificato il contrario, poiché la colonizzazione sionista e il suo progetto di nazionalismo e di separazione razziale hanno costituito un ulteriore fattore di indebolimento dei palestinesi. Il primo tentativo di creare un movimento sindacale palestinese risale al 1920 ad Haifa, il principale centro industriale, sotto il nome di “Associazione dei lavoratori arabi”. Alla fine del 1923 i leader del Club dei lavoratori ferroviari arabi presentarono una petizione al governo del Mandato britannico per istituire un’organizzazione dei lavoratori, la “Società dei lavoratori arabi palestinesi” (PAWS); l’Histadrut si oppose e fece pressione contro il suo riconoscimento. L’incentivo all’immigrazione e alla concentrazione ebraica in Palestina, nel contesto della persecuzione degli ebrei europei, portò anche un numero non trascurabile di rivoluzionari ebrei non sionisti nella regione. Questo nucleo fondò il “Partito Socialista Operaio” (MOPS) nel 1920. Il 1 maggio dell’anno successivo tentò di organizzare una manifestazione operaia congiunta arabo-ebraica per una Palestina sovietica, ma fu pesantemente represso e 15 dei suoi leader furono deportati. Nel 1922 fu fondato clandestinamente il “Partito Comunista di Palestina” (CPP). Nonostante i molteplici tentativi di raggiungere i lavoratori arabi, i comunisti rimasero un partito in gran parte ebraico, ma nel 1929, le purghe staliniane portarono un cambiamento nella composizione del partito, imponendo una leadership con una maggioranza di membri arabi. Il PC si scisse prima nel 1939 con una minoranza ebraica che aderì al sionismo (Communist Educational Association) e poi un gruppo di giovani comunisti arabi che fondò la “Lega di Liberazione Nazionale”. Nel 1924, un gruppo di comunisti espulsi dall’Histadrut organizzò una lega sindacale congiunta di lavoratori arabi ed ebrei, l’Ichud. Nel 1925, il Consiglio dei Ferrovieri votò per aprire “l’Unione dei Lavoratori Ferroviari, Postali e Telegrafici” (URPTW), affiliata all’Histadrut, a tutti i lavoratori senza distinzione di razza, religione e nazionalità, eleggendo un esecutivo con un numero uguale di arabi ed ebrei. Anche se l’iniziativa non è durata, fu stabilita una cooperazione permanente tra PAWS (Società dei lavoratori arabi palestinesi, n.d.t.) e URPTW (Unione dei Lavoratori Ferroviari, Postali e Telegrafici, n.d.t.). Nel novembre 1931 gli scioperi congiunti dei tassisti, dei conducenti di autobus e dei camionisti, paralizzarono i trasporti per nove giorni. Nell’aprile 1932, i marinai arabi di Haifa entrarono in sciopero e furono seguiti dai portuali ebrei, formando un consiglio di sciopero comune nonostante la resistenza dell’Histadrut e dell’esecutivo arabo. Tra febbraio e marzo 1935 i lavoratori arabi ed ebrei tennero uno sciopero congiunto di tre settimane alla raffineria di Haifa e al terminal degli oleodotti della Iraqi Oil Company. Poco dopo, assemblee di massa di lavoratori ferroviari arabi ed ebrei portarono ad uno sciopero di un giorno ad Haifa (maggio 1935). Quando nel 1936 scoppiò la ribellione delle masse arabe e lo sciopero generale, l’Histadrut si oppose allo sciopero con ogni mezzo, usando ogni mezzo a sua disposizione per spezzarlo. Alla fine della guerra, di fronte alla minaccia di licenziamenti di massa nei campi militari britannici, i lavoratori arabi ed ebrei si unirono in una marcia comune per le strade di Tel Aviv cantando in arabo ed ebraico. Nel 1946 i sindacati arabi ed ebrei si unirono in tutto il paese in uno sciopero di 12 giorni alla compagnia petrolifera Socony Vacuum. Nello stesso anno ci furono manifestazioni congiunte della compagnia postale, telegrafica e telefonica che si svilupparono in uno sciopero generale di tutti i dipendenti pubblici. Nel 1947 scioperarono di nuovo insieme nelle raffinerie e nei campi militari.

La questione palestinese in 10 punti: come Israele ha derubato la Palestina

  1. Nel 1947, con il voto favorevole dell’Unione Sovietica (un tempo alleata del movimento nazionale palestinese), le Nazioni Unite votarono la spartizione della Palestina. Una rivolta della popolazione araba ed uno sciopero generale scoppiarono in poco tempo. L’Irgun (estremisti sionisti) si vendicò contro la popolazione civile araba, vendetta culminata in un attacco bomba contro una folla di lavoratori arabi, riuniti, prima di recarsi al lavoro, al cancello principale della raffineria di petrolio di Haifa. Sei persone restarono uccise e decine furono i feriti. I lavoratori arabi infuriati entrarono nella raffineria e massacrarono 41 lavoratori ebrei. Fu il calcio d’inizio per una spirale di violenza spronata dallo Stato. Il ritiro del Mandato britannico e la proclamazione dello Stato d’Israele mostrarono tutte le debolezze del popolo palestinese, inoltre la sconfitta nella guerra civile mise in luce la mancanza di leadership e di unità politica nella società palestinese. La maggior parte delle funzioni di governo erano sotto il controllo britannico, e quando i britannici si ritirarono venne a crearsi un vuoto nella comunità. Non esisteva un corpo arabo organizzato per sostituire i servizi essenziali. Alla fine della guerra l’80% di quegli arabi che vivevano nel territorio controllato da Israele fuggì in preda alla paura e al panico.
  1. Diaspora. I rifugiati rappresentano diverse generazioni impantanate nell’incertezza politica, nel collasso economico e nell’instabilità sociale. Nella misura in cui sono stati strappati alla terra rappresentano un proletariato “traslocato” e non qualificato costituendo una riserva di manodopera a basso costo. Lo status giuridico e i diritti civili dei rifugiati variano da paese a paese, ma l’organizzazione sindacale è praticamente inesistente tra tutti loro, dato che il sindacato dei lavoratori palestinesi affiliato all’OLP (“Organizzazione per la Liberazione della Palestina”, n.d.t.) non è riconosciuto da nessun paese ed è più concentrato sulla difesa della direzione politica del nazionalismo palestinese che sulla difesa dei veri interessi dei lavoratori palestinesi nella diaspora. Mentre i palestinesi residenti in Giordania hanno potuto accedere alla piena cittadinanza, essendo il paese con il maggior numero di palestinesi (2.117.361), in Libano ci sono numerose denunce, tra le altre, di mancato rispetto dei diritti di ingresso, residenza, sicurezza sociale, alloggio e libertà civili. Un esempio tangibile di discriminazione è la concessione dei permessi di lavoro: nel 1994 il Ministero del Lavoro libanese ha concesso 250 permessi di lavoro a circa 200.000 lavoratori palestinesi, mentre nello stesso anno tali permessi sono stati concessi a 10.184 srilankesi, 7.984 egiziani, 5.093 siriani, 3.292 indiani e 3.009 filippini. Fino a qualche anno fa, la legge proibiva ai palestinesi di esercitare 52 professioni. Anche se si ottiene un permesso di lavoro si è esclusi da qualsiasi beneficio di sicurezza sociale. Un sondaggio delle ONG libanesi del 1988 ha rilevato che il 75% delle famiglie palestinesi sono state sfollate più di una volta e il 19,7% più di tre volte. Mentre in Giordania il tasso di disoccupazione della popolazione palestinese è del 18,8%, in Libano la cifra sale al 40%. La formazione di nazionalismi popolari pan-arabi, soprattutto per il suo discorso anti-imperialista, antisionista e conflittuale, e la sua pretesa di guidare la difesa della causa palestinese, sono un precedente inevitabile nel consolidamento dell’identità nazionale palestinese. Infatti, è stata la Lega Araba a promuovere la formazione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina. La sconfitta contro Israele nella guerra del 1967 ha cambiato l’equilibrio di potere in Medio Oriente e ha fatto sì che più palestinesi diventassero rifugiati o passassero sotto il dominio israeliano. Tuttavia, lungi dall’essere una battuta d’arresto per la coscienza nazionale palestinese, questa sconfitta rafforzò i gruppi che avevano mantenuto una posizione indipendente nei confronti dei regimi arabi, con la leadership di Al-Fatah e Arafat che si mise rapidamente in evidenza. A sua volta, la sconfitta ha scatenato un’ondata di profonda autocritica in tutto il mondo arabo e una rinascita del pensiero critico radicale. Il nazionalismo palestinese è stato forgiato sulla base dell’unità imposta dalla conquista sionista. Il senso di “ripristino dell’onore nazionale” unificò il mondo arabo e permise un riavvicinamento tra i palestinesi, compresi gli arabi in Israele, la cui qualità di vita era di gran lunga superiore a quella di coloro che vivevano nei territori, sebbene sentissero sempre più sulla propria pelle la segregazione e la discriminazione come minoranza araba israeliana.
  1. Le trasformazioni avvenute negli anni ’80 e ’90 approfondirono il declino dei nazionalismi arabi che mutavano uno dopo l’altro in regimi “neoliberali”. Ovviamente la Palestina e l’OLP non fecero eccezione e cominciarono ad essere messi in discussione e a suscitare sospetti da parte di diverse aree, soprattutto prima delle concessioni alla “Pax Americana” e degli accordi di Oslo firmati da Arafat, i quali approfondirono la dispersione geografica, confessionale, etnica e politica dei palestinesi. Si può dire che la Cisgiordania non fu più un territorio palestinese con enclavi di coloni israeliani, ma fu trasformata in un territorio israelizzato con enclavi palestinesi, mentre Gaza – trasformata in un non luogo – diventa un’enclave occupata dall’esterno, una prigione a cielo aperto per un milione e mezzo di persone. D’altra parte, erano anni di grandi difficoltà economiche per le masse. Lo sviluppo di Hamas nel caso palestinese, e in generale le nuove correnti dell’Islam politico, non possono essere viste come semplici entità religiose. Non si tratta di continuità con il passato, ma di reazioni contro fenomeni che sono nuovi. Tanta somiglianza con il fenomeno del nazionalismo è dovuta al fatto che in realtà l’islamismo, come il primo, implica anche un programma politico. L’Islam è effettivamente stato quello che la maggior parte dei musulmani creda debba essere. Quindi sono in realtà gli islamisti che fanno l’islamismo, non il contrario. È una ricerca di emancipazione culturale e un rifiuto di ciò che è visto come modernità importata. Anche Israele non era estraneo a questo fenomeno, l’espansione geografica trasformò l’israelicità di Israele in ebraicità, passando da secolare a religiosa. Mentre in Palestina il fallimento degli accordi di Oslo significò un nuovo impulso per Hamas, che poteva anche vantarsi di essere l’unico grande partito che difendeva l’essenza della causa nazionale resistendo all’occupazione con la forza e il confronto militare, nel campo israeliano, il fallimento della pace finì in una costante deriva dell’elettorato israeliano verso destra, cosa che favorì infine il Likud. Da parte sua, il nazionalismo islamico di Hamas offrì anche una reinterpretazione dell’Islam secondo le esigenze imposte dalla realtà che lo circonda. Allo stesso modo, esso ha modificato le sue tattiche e si è adattato a una plasticità pragmatica nei suoi rapporti con Israele, riconoscendo Israele senza riconoscerlo. Partecipando alle elezioni, Hamas sta anche modificando la sua strategia, accettando mezzi politici per raggiungere i suoi obiettivi, abbandonando la politica del “parlano solo le armi”. La degenerazione politica che ha caratterizzato l’OLP è stata estesa ad Hamas, compreso il suo adattamento allo status quo internazionale e la corruzione personale dei suoi leader.
  1. Il movimento operaio è stato un fattore rilevante in quasi tutti i paesi arabi dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia, il nazionalismo era il fattore dominante nella scena politica regionale dell’epoca, e, a causa della sua forte impronta corporativista, il destino dei sindacati fu segnato dalla irreggimentazione e dalla tutela statale: le divisioni tra le classi dovevano essere risolte nel quadro dell’unità nazionale. Anche se ci sono stati momenti di scontro con il potere, il modello dominante era l’integrazione con lo Stato e il partito al potere. Che fosse l’Unione Socialista Araba in Egitto o l’UGTT tunisina, sindacati forti e centralizzati sotto l’ombrello dello Stato erano un pilastro fondamentale dei regimi corporativisti. Il corporativismo si opponeva dall’apice alla lotta di classe e all’indipendenza di classe, integrando i sindacati come se fossero istituzioni di governo o strumenti di controllo. Gli anni ottanta e novanta hanno generato una crisi di legittimità del sindacalismo ufficiale integrato allo Stato, il sindacalismo che ha accettato le misure di flessibilizzazione senza un lamento. Per esempio, la Federazione sindacale egiziana (ETUF) ha sostenuto il nuovo codice del lavoro del 1996, il quale ha ridotto la rappresentanza sindacale nelle aziende. Tuttavia, il primo decennio del XXI secolo è stato caratterizzato da un inasprimento delle agitazioni sindacali nella maggior parte dei paesi arabi. Le lotte sociali e gli scioperi si sono moltiplicati in Tunisia, Marocco, Algeria ed Egitto, per gli aumenti salariali, contro le privatizzazioni, per miglioramenti sociali e libertà di associazione. Per l’UGTT gli ultimi decenni hanno significato una continua tensione con il potere, con una leadership nazionale sottomessa e vacillante, ma sotto la pressione di una base militante. L’Egitto ha sperimentato agitazioni sindacali senza precedenti. Nello scoppio della primavera araba, i sindacati e le organizzazioni di base hanno giocato un ruolo senza precedenti. In Palestina, dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948, l’Associazione dei lavoratori arabi dovette trasferirsi da Haifa a Nablus. Tuttavia, fino al 1967 i sindacati della Cisgiordania operavano sotto la legge giordana e quelli di Gaza sotto quella egiziana. Nel 1967, dopo l’occupazione israeliana, le attività sindacali furono vietate fino al 1979. Da questo momento in poi il movimento sindacale ha iniziato a dividersi in diverse fazioni dell’OLP. Nel 1990 i partiti decisero di unire i sindacati sotto la guida di Fatah, creando la PGFTU (Federazione Generale Palestinese dei Sindacati). Nel 2002 la PGFTU ha accettato il nuovo codice del lavoro, anche se limita il diritto di sciopero e ha poche disposizioni sulla salute e la sicurezza sul lavoro. In termini generali, la PGFTU funziona come un’appendice di Fatah, più legata a funzioni politiche che a funzioni sindacali vere e proprie. Al di fuori delle federazioni sindacali, ci sono organizzazioni sindacali autonome che dal 2007 hanno formato una federazione comune, la FIUP, Federation of Independent Trade Unions of Palestine, tutte strettamente legate a organizzazioni internazionali e istituzioni caritatevoli promosse dall’ONU. Le condizioni di lavoro in Palestina, secondo i dati dell’ILO, sono segnate dalle conseguenze del blocco economico: con un tasso di disoccupazione tra il 35% e il 40%. Molti lavoratori sono impiegati in Israele nell’industria agricola, edile, manifatturiera e dei servizi, o nell’industria tessile in subappalto o in laboratori produttivi clandestini. Per passare i controlli alle frontiere, i lavoratori devono trascorrere lunghe ore di attesa, il che triplica la durata del viaggio per recarsi al lavoro. Solo il 28,7% dei lavoratori palestinesi ha un contratto di lavoro. Nonostante il fatto che alcuni diritti stiano cominciando ad essere inclusi nei codici e nelle sentenze israeliane, resta il fatto che per la maggior parte dei lavoratori palestinesi “il contenzioso” in un tribunale israeliano è inaccessibile. Con l’avvento della primavera araba, si è riaperto un processo di mobilitazione. È molto indicativo della portata e dello slancio delle mobilitazioni il fatto che Israele ha vissuto nell’estate del 2011 le più grandi manifestazioni dalle rivendicazioni sociali che abbia mai vissuto nella sua storia. Le organizzazioni preesistenti del movimento sociale e sindacale hanno giocato un ruolo fondamentale nel convocare e proiettare le mobilitazioni, gli scioperi, le occupazioni di fabbriche e ministeri, la formazione di federazioni e sindacati indipendenti, ecc. È possibile che queste rivolte di massa siano il quadro da cui nascerà una nuova identità e una nuova leadership, basata sull’unità come lavoratori, come sfruttati, tra israeliani e palestinesi? L’ampiezza dell’attuale crisi capitalista e l’impasse storica del regime sociale e politico nel suo insieme solleveranno ancora una volta questa prospettiva che non nascerà sotto il cavolo. In Palestina si concentrano e si annodano le contraddizioni più profonde e strazianti che l’umanità ha attraversato durante il secolo scorso. Le forze liberatrici che irromperanno con lo scioglimento di questo nodo gordiano saranno una fonte inesauribile di creatività ed energia per tutti i combattenti del mondo.

APPELLO] I sindacati palestinesi ai sindacati internazionali: sostegno alla  lotta per la libertà e la giustizia del popolo palestinese - "TOCCANO UNO  TOCCANO TUTTI"

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