di Jorge Altamira
Una breve panoramica del compagno argentino Jorge Altamira (Partido Obrero – Tendencia) a seguito delle recenti elezioni in Ecuador e in Perù sugli scenari politici in America Latina, il continente più colpito dalla pandemia e dal successivo innesco della crisi economica. Le crisi delle esperienze indigeniste, bonapartiste, giustizialiste e della destra sono da inquadrare in un contesto più ampio della crisi di potere della borghesia e si sviluppano anche in questo continente in una tendenza verso governi di unità nazionale.
La vittoria elettorale di Guillermo Lasso in Ecuador ha scatenato, naturalmente, l’entusiasmo dei governi di destra dell’America Latina. I primi a congratularsi con lui sono stati il colombiano Duque, l’uruguaiano Lacalle e il cileno Piñera. Oltre al suo status di banchiere, Lasso è un noto leader dell’Opus Dei. Secondo il corrispondente di Caracas de La Nación, un recalcitrante anti-Chavista, Lasso ha vinto contro il suo rivale, il correista Andrés Arauz, perché “si è aperto ai gruppi femministi, ecologisti, LGBT e ai movimenti sociali”. Lasso si è scusato per questi scivoloni, sostenendo che “non posso imporre le mie convinzioni”. Questa manifestazione di liberalismo scolastico implica che i movimenti citati dovrebbero fare lo stesso. In altre parole, non ci sarà nessun diritto all’aborto, nessun matrimonio egualitario, nessun divieto alle miniere a cielo aperto, nessun aumento dei salari o della spesa sociale. Per la cronaca, ricordiamo che l’ex presidente Rafael Correa condivideva le posizioni di Lasso da una tendenza diversa dal clericalismo – il cristianesimo sociale.
Un’insolita maggioranza di commentatori, allineati con il lato destro della spaccatura, hanno concordato che il risultato dell’Ecuador non può necessariamente essere proiettato come una nuova tendenza in America Latina, forse intimoriti dalla prospettiva di una sconfitta della destra in Cile quest’anno e in Brasile, l’anno prossimo, se Bolsonaro uscirà indenne dalla catastrofe sanitaria di cui è responsabile e dal rapido deterioramento dell’economia (brusco aumento dei prezzi, accelerazione del deficit fiscale e straordinaria crescita della povertà, in un paese caratterizzato da colossali disuguaglianze di reddito).
Va notato che, per il momento, Lasso non ha vinto con il 52,5% dei voti, come ripetono i giornali, né Arauz ha perso con il restante 47,5%. Tra i voti non validi e, in misura molto minore, le schede bianche, si è raggiunto il 18% dei voti; “ha superato il voto di Arauz in cinque province ed è arrivato vicino in altre quattro”, riferisce La Nación. Questo, oltre a ridurre la performance di Lasso al 43% e quella di Arauz al 39%, dimostra che il correismo ha influenzato appena il secondo turno di domenica scorsa, dato che Arauz aveva ottenuto qualche punto in meno al primo turno. Il promotore del ‘ni,ni’, lo pseudo-indigenista Yacu Pérez, terzo al primo turno, non ha mai smesso di flirtare con Lasso. Pérez è un oppositore delle miniere a cielo aperto promosse da Correa, ma non della dollarizzazione dell’economia o dei recenti accordi con il FMI. L’indigenismo ecuadoriano ha guadagnato qualche punto apprezzabile di voti, quando però la sua capacità di leadership nazionale è diminuita – da quando ha guidato le insurrezioni del 2000, in cui si è battuto per la formazione di un governo indigenista con mezzi rivoluzionari. Nelle grandi mobilitazioni dell’ottobre 2019, si affrettò doverosamente ad un accordo con Lenin Moreno. L’incapacità dell’indigenismo di guidare una rivoluzione sociale è stata in evidenza, con più forza, in Bolivia, dove il MAS ha governato in alleanza strategica con il capitale internazionale (“il capitalismo andino” di García Linera). Nel secondo turno delle elezioni dipartimentali di domenica scorsa, il MAS ha perso contro gli avversari locali a causa della crisi interna che sta attraversando, che minaccia di dissolversi. Secondo quanto riportato da Clarín, Alberto Fernández ha avuto un ruolo decisivo nel portare ad un avvicinamento tra Biden e Luis Arce.
Karl Marx ha chiarito, in una frase diventata famosa, che la curva della storia non torna al suo precedente punto di partenza, anche se procede per mezzo di avanzamenti e inversioni. I Fernandez, per esempio, sono arrivati al governo senza l’epopea e il respiro di un decennio e mezzo fa, o anche di cinque anni fa. Il governo, nel suo insieme, è un incrocio genetico con il Macrismo, in proporzioni variabili. I rapporti del FMI evidenziano che l’America Latina è la regione più colpita dalla pandemia, dalla crisi umanitaria e dal collasso economico – mentre tutti i suoi governi sono venuti in soccorso con sussidi ai grandi capitalisti. Avverte anche che una ripresa economica internazionale influenzerebbe negativamente l’America Latina a causa del doppio impatto dell’aumento dei prezzi degli alimenti e dei tassi d’interesse internazionali, in un momento in cui nessuno dei suoi paesi è in grado di rifinanziare il suo debito estero, pubblico e privato, in termini adeguati alla crisi. Si tratta quindi di una crisi storica. Anche se i fanatici del kirchnerismo sostengono che la vittoria di Lasso accentuerebbe le guerre giudiziarie tra i due lati della spaccatura, il banchiere avrebbe detto, secondo Página/12, “non ho una lista di persone che voglio perseguire o vedere in prigione”: un’offerta di grazia in cambio di concessioni politiche. Lo slogan della campagna di Lasso era “riunificazione”. Il Brasile ha aperto la strada a un indulto generalizzata al fine di invalidare le procedure processuali; la stessa cosa che il kirchnerismo sta cercando di ottenere con le accuse di spionaggio o le sentenze emesse da giudici che hanno giocato a tennis nella tenuta di Olivos. Sotto l’ombrello di Biden, che osserva nel “cortile” l’ingresso nell’anarchia, si sviluppa una tendenza all’ “unità nazionale”, se ci sono accordi, o al bonapartismo, due forme di governi eccezionali.
L’editorialista di Clarín Marcelo Cantelmi osserva che negli alti e bassi delle elezioni ecuadoriane “l’elettorato è sempre meno manipolabile. È vero il contrario – se l’elettorato deve destituire il governo che ha precedentemente votato, a causa del tradimento dei mandati elettorali o del fallimento politico e sociale, sta confessando di essere stato politicamente ed elettoralmente truffato – il che si manifesterà ben prima delle successive elezioni. Cantelmi trascura il fatto che i brogli elettorali hanno portato a tassi di astensione enormi – ora in Ecuador e da più di un decennio in Cile – e, soprattutto, al voto “eterodiretto” della ribellione popolare. Dire, per esempio, che il Perù, anche domenica scorsa, ha dimostrato che l’elettorato ha guadagnato in autonomia di decisione sarebbe una sciocchezza, perché l’astensione è stata alta e il voto è stato suddiviso equamente tra dieci liste senza autorità politica. Il passaggio al secondo turno in Perù promette di essere un lussuoso scenario di crisi e intrighi politici. Pedro Castillo, che ha ottenuto il primo posto con il 16% dei voti e risultati massicci nell’interno del Perù, ha proposto, per il momento, un’Assemblea Costituente accompagnata dallo scioglimento del parlamento appena eletto, in un ‘replay’ del chavismo della prima ora, sebbene senza il volume di voti che Chavez ha ottenuto per raggiungere la presidenza. È chiaro che Castillo, descritto dalla stampa come un nemico marxista dei diritti delle donne, non ha ancora preso nota dei risultati fatali del bonapartismo bolivariano.