Assalto al Campidoglio: fine del trumpismo o prodomi di una guerra civile?

di GA e Rdb

In un clima surreale, ma non inaspettato, lo scorso 6 gennaio è stata messa in scena una delle migliori performance hollywoodiane con l’assalto, non alla dirigenza, ma ai palazzi, del potere da parte delle forze trumpiste di estrema destra. Il regista di questa rappresentazione è stato senza ombra di dubbio Donald Trump, che ha anche in tale frangente tenuto il proprio show fuori il Congresso degli Stati Uniti d’America.

Sembra incredibile, ma la più grande potenza militare mondiale è stata messa sotto scacco da parte di qualche manipolo di estremisti armati. Le “tenerezza” con cui la polizia ha contenuto qualche migliaio di trumpisti (in alcuni casi anche in aperta complicità con gli stessi) sembra irriconoscibile se confrontata con la brutale forza adottata contro le proteste dello scorso anno nei confronti del movimento Black Lives Matter. Lo stesso numero irrisorio di arresti (ad oggi circa una cinquantina) sentenzia l’impunità da parte delle autorità verso i settori suprematisti e reazionari che hanno devastato gli uffici governativi.

La pianificazione del raduno dinanzi Capitol Hill a Washington, sebbene non fosse quantitativamente rilevante, ha avuto l’obiettivo di aizzare la folla reazionaria contro l’establishment corrotto, colpevole di “aver rubato le elezioni”. Non a caso il leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell, insieme ad altri senatori repubblicani, ha prestato il fianco alla rivolta programmata dei trumpisti insistendo anche in quel momento nella denuncia dei brogli elettorali. La autorità di Trump, riconosciuta dallo stesso Biden quando ha dovuto pregarlo di contenere le forze che lo stesso Trump ha generato, si è manifestata sia quando si è trattato di agitare la folla (“Non ci arrenderemo mai”, “Marceremo sul Campidoglio”) sia quando si è trattato di richiamare alla calma e di reindirizzare le bande fasciste verso casa. Tutto ciò dimostra il chiaro tentativo, da parte di Trump, di aprire una crisi all’interno dell’ordine politico americano, approfittando di una crisi di regime della borghesia che, se è presente in tutto il mondo, negli Stati Uniti raggiunge il suo naturale apice.

La risposta del Partito Democratico contro Trump è stata praticamente inesistente e penosa. La richiesta di impeachment invocata dalla deputata Ocasio-Cortez mostra ancora una volta come la sinistra radicale americana (sinistri agenti dell’imperialismo), insieme ai deputati milionari dei democratici, si sforzi solo di convogliare la lotta (perdente) contro il trumpismo nelle “sacre” istituzioni borghesi e mai nello sviluppo di un movimento di massa in cui la classe lavoratrice assuma la direzione di una lotta contro la classe dominante e contro un sistema politico ed economico affamatore.

Quanto accaduto ieri non è e non sarà un episodio isolato. I prossimi mesi saranno sicuramente decisivi per comprendere quanto la forza propulsiva del trumpismo (indipendentemente dallo stesso Trump) sia realmente in grado di far evolvere le proprie forze sociali verso una guerra civile. Una cosa è certa: la presidenza Biden si presenta come un campo minato per il capitalismo yankee, con una società polarizzata come mai prima, dove la reazione delle truppe fascistoidi si contrappone all’escalation dei movimenti sociali che nell’ultimo anno hanno raggiunto dimensioni di massa.

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