Riapertura delle scuole e pandemia

di Rivoluzionaria

Il tema dell’istruzione quest’anno ha assunto nel dibattito politico un valore nuovo rispetto al passato. Se nel susseguirsi dei diversi governi la scuola e l’università hanno subito ingenti tagli, quest’anno si tenta di mettere delle toppe troppo striminzite rispetto all’ampiezza dei buchi. Sarebbe bello poter affermare che questo rinnovato interesse nei confronti dell’istruzione scaturisca dalla consapevolezza dell’intrinseco valore che quest’ultima assume per la formazione dei cittadini e le cittadine del futuro, ma, purtroppo, non è così. La scuola è diventata una questione importante perchè, tanto per cambiare, ha a che fare con l’economia del Paese e la sua stabilità.

Il periodo di lockdown ha causato, come noto, una serie di problemi a cui è stata trovata una (efficace o meno) soluzione: da marzo le scuole e le università sono state chiuse e gli studenti e le studentesse, insieme ai loro docenti, hanno dovuto arrangiarsi con la – va detto, necessaria – “Didattica a Distanza” (da ora “DaD”).

Poiché si ritiene che sia “passato” il periodo di piena emergenza, a metà/fine settembre più di 50.000 scuole (delle cui 40.000 sono statali)[1] di ogni ordine e grado accoglieranno circa 8 milioni di studentesse e studenti in una modalità inedita: dai 6 anni in su e tutti gli adulti dovranno indossare le mascherine che lo Stato provvederà a distribuire: si parla di circa 11 milioni di mascherine al giorno. Oltre ai dispositivi di protezione, è necessario mantenere la distanza di sicurezza nelle aule, sia tra gli studenti e le studentesse, sia tra quest’ultimi e i loro docenti. Gli enti locali, però, si sono accorti solo adesso che le scuole non hanno gli spazi necessari per garantire almeno un metro di distanza tra gli utenti e, perciò, è necessario affittare degli spazi appositi. L’Unione delle Province d’Italia ha stimato che servirebbero all’incirca 300 milioni di euro per affittare gli spazi necessari, a confronto dei 70 milioni previsti dal decreto Agosto.

Il problema dell’edilizia scolastica, però, non si limita solo alla mancanza di aule: sono tanti gli edifici che versano in condizioni vergognose, in quanto non a norma di legge per via dei tagli al budget che puntualmente colpiscono le scuole. A ciò si aggiunge che dal 2009, con il D.M. 81/09 (la cosiddetta “Riforma Gelmini”) il numero di alunni per aula è stato aumentato: fino a 27 per la scuola primaria, 30 per la secondaria di primo grado e 27 per la secondaria di secondo grado. Nonostante i vademecum per i presidi, le linee guida e le raccomandazioni del Ministero della Salute, la realtà dei fatti è che la distanza di sicurezza tra le persone non potrà essere garantita.

Un altro spinoso dubbio riguarda l’identificazione dei casi di positività al virus. L’unico test certo è il “test PRC”, anche detto tampone, che, però, ha dei tempi di attesa dell’esito che vanno dalle 48 ore in su: sono ore di attesa che coinvolgono soprattutto i genitori che dovranno mettersi in isolamento fiduciario insieme ai figli e alle figlie e che, quindi, non potranno andare a lavoro. Test più rapidi esistono, ma sono meno accurati e ogni Regione può decidere di avvalersi della tipologia che preferisce; il Ministero della Salute ha il compito di individuare le esigenze di ogni territorio e di commissionare l’acquisto alla Protezione Civile. In poche parole, anche quest’altra misura di sicurezza non potrà essere sicura affatto. A ciò si aggiunge lo scoglio del consenso da parte dei genitori per procedere con il test sui e sulle minorenni.

L’ulteriore incresciosa problematica riguarda la situazione dei e delle docenti e del personale ATA. I docenti precari sono attualmente 200.000, dei quali 70.000 hanno all’attivo 3 anni di servizio. Il ministero ha paventato la possibilità di concorsi per l’assunzione sia di nuovi docenti, sia dei precari ma nè dell’uno nè dell’altro si hanno alla fine notizie.

Come se non bastasse, circa 50.000 lavoratori e lavoratrici – tra personale ATA e personale docente – grazie al Decreto Rilancio, in caso di lockdown possono essere licenziati per giusta causa. La situazione dei docenti è, poi, paradossale: alle cattedre delle scuole italiane mancheranno all’incirca 250.000 docenti; in realtà, il Ministero ha le risorse per assumere più di 80.000 insegnanti, ma mancano sia i docenti delle materie scientifiche e sia i docenti per le regioni del Nord. I concorsi previsti per diventare insegnanti, permetteranno ai vincitori di entrare in classe per il prossimo anno scolastico.

Anche la situazione del personale ATA (amministrativi, tecnici e ausiliari) è tragica: per quest’anno sono stati autorizzati più di 11.000 posti di ruolo, ma ne sarebbero necessari altri 6.000 per fare in modo che le scuole funzionino come dovrebbero. Le risorse messe in campo con il decreto Rilancio e il decreto di Agosto permetterebbero ai presidi di reclutare circa 20.000 ausiliari solo per il tempo necessario: una volta esaurita la mansione questi 20.000 lavoratori e lavoratrici si troveranno senza impiego.

Chi reclama la necessità del ritorno a scuola per i ragazzi e le ragazze si trincera dietro a principi (importantissimi!) quali il diritto alla socialità e allo studio: viene spontaneo chiedersi se in queste condizioni la scuola può realmente garantirli.

Una disamina dei comunicati e delle dichiarazioni dei movimenti femministi e transfemministi, nazionali e locali, al momento non fa della ripresa della scuola un argomento di discussione da affrontare o discutere. Anonima femministe, con oltre 3000 seguaci non ne fa voce, impegnata, soprattutto nelle precedenti settimane, in una rivendicazione contro la narrazione tossica del corpo femminile nei campi della moda e della pubblicità, e in larga parte dei social.

Sul territorio nazionale, dove ad oggi, 7 settembre, la ripresa di scuola dell’infanzia, di primo grado, secondo grado e università è nel caos (in tal senso il resto d’Europa sembra altrettanto confusa, ma più operativa), si combatte anche la battaglia dei docenti, precari e non, in attesa di concorso ordinario e straordinario da diversi mesi. La ministra Azzolina fa sapere che avrebbe voluto tenerli in estate, ma che non saranno procrastinati oltre ottobre. Il problema non è solo dei lavoratori che ad oggi non sono inquadrati, ma anche di quelli che non sanno come e se riprenderà la didattica.

Non una di meno, movimento politico internazionale, che raccoglie adesioni trasversali di diverse associazioni e collettivi, non ha ancora preso posizione, neanche attraverso le assemblee cittadine presenti sul territorio nazionale. Una mancanza grave, che vorremmo, insieme alle compagne dei vari movimenti e dei collettivi sottoporre a giusta luce.

Come detto, il problema della scuola è cruciale, sotto molteplici aspetti e per le donne e per la classe lavoratrice. La scuola ad oggi è luogo di socializzazione, incontro e possibilità di emancipazione per quelle ragazze, quei ragazzi, quelle bambine e bambini, che non hanno altre possibilità, per le loro condizioni economiche e socioculturali svantaggiate, il vivere in periferia o in piccoli centri. Il loro diritto all’istruzione dove è finito? Chi sta tutelando questi minori e le loro famiglie? Altro diritto violato, quello della parità dei coniugi: le donne ad oggi sono maggiormente chiamate ad adempiere quel lavoro di cura già oneroso in situazioni non pandemiche. E i docenti “fragili”, lavoratori dell’amministrazione scolastica, personale ATA con patologie? Cosa faranno? Altra domanda, il dibattito sul diritto delle studentesse e degli studenti disabili (fisici e mentali) all’istruzione, al trasporto e a alla tutela da parte dello Stato, dove è finito? Ad oggi il problema del servizio di trasporto pubblico e privato è affrontato da giornali e trasmissioni televisive, animando l’opinione pubblica, ma poco a quanto pare nei movimenti, e le soluzioni sono ben lontane. Saranno ancora una volta le famiglie a supplire alle mancanze della struttura statale della scuola pubblica?

Agli appuntamenti elettorali del 20 e 21 manca molto poco, tra schermaglie e campagne social, solo una certa destra sovranista e piaciona cavalca l’argomento “scuola”, lo fa a suo modo: slogan e nessuna proposta.

A noi il compito di porre l’attenzione sul problema, dialogando con le studentesse e gli studenti, le figure parentali, i lavoratori della scuola per capire come creare una rete di informazione capillare ed estesa.

La scuola solleva le donne di una parte del lavoro di cura (educazione e accudimento) per alcuni momenti della giornata e la maggiore esternalizzazione possibile dello stesso al di fuori delle mura domestiche è una delle nostre rivendicazioni chiave. D’altra però, la riapertura delle scuole in nome del mantenimento di livelli di produttività e consumo accettabili per il capitalismo, adatti a contrastare la tendenza recessiva del PIL, rappresenta un serio pericolo per la popolazione italiana e mondiale. Le misure che sono state prese per il distanziamento sociale a scuola sono assolutamente insufficienti in quanto la prima misura che doveva esser messa in campo, se proprio si voleva garantire una riapertura in sicurezza, è la moltiplicazione degli edifici (e quindi delle classi) e del personale insegnante. Tali provvedimenti vengono ipotizzati come “da mettere in cantiere”, ma di fatto non sono stati realizzati. Lo stesso vale per il miglioramento della sanità pubblica che, a parte qualche posto letto più in terapia intensiva, non è pronta ad affrontare una impennata dei contagi. Impennata che stiamo già conoscendo e che, costante, sta dimostrando che non siamo assolutamente fuori pericolo. È assurdo che si parli di mantenere i livelli attuali di produttività e di intensificarli per minimizzare la recessione economica. La riapertura delle scuole di per sé, con i livelli di contagi in ascesa, che raggiungono i dati di aprile-maggio in Italia, è una follia. Ma nella gestione della pandemia ai tempi del capitalismo viene presentata come una misura necessaria perché i genitori devono poter essere “liberi” di lavorare, essere produttivi, consumare e far crescere il PIL. La cosa vergognosa è che gli stessi che affermavano che il lockdown era necessario a marzo, ora sostengono che è “improponibile” (es. Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). Improponibile per ragioni economiche relative all’indebitamento pubblico e privato, alla perdita di profitti e di posti di lavoro. E gli effetti negativi del lockdown sono stati evidenti, non c’è dubbio. Ma sono gli effetti generati dalle contraddizioni del capitalismo, che, anche nel contrasto alla pandemia, emergono drammaticamente. Una economia non pianificata non è capace di fermare per davvero la produzione nei settori non indispensabili, che costringe i genitori lavoratori a occuparsi da un giorno all’altro dei figli negli orari in cui normalmente erano a scuola, che trasforma lo smart working in uno strumento per pretendere dai lavoratori straordinari non retribuiti. Il che ha reso una esperienza di per sé difficile ancora più drammatica e stressante. Cercano di distrarci dalle vere cause della ripresa dei contagi, ovvero le attività lavorative a pieno regime, facendoci credere che se assumiamo una gestione “responsabile” del tempo libero e delle vacanze i contagi diminuiranno. Ma i casi che derivano da questo genere di attività non sembrano superare 1/3 dei contagi totali. Nel frattempo, appaiono qua e là focolai in diverse aziende produttive e queste ricevono un’attenzione del tutto marginale nei media, e quindi nel dibattito tra le persone. Nessuna forza politica in campo sta dicendo la verità: abbiamo bisogno di rallentare. Abbiamo bisogno di chiudere piuttosto che aprire, e di tutelarci, per stare sicuri, per limitare i contagi, per non morire.


[1] Dati del Ministero dell’Istruzione Ministero dell’Università e della Ricerca

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