Traduzione dell’articolo di Jorge Altamira pubblicato il 25 Agosto su Polìtica Obrera (https://politicaobrera.com/internacionales/2470-bielorrusia-una-situacion-revolucionaria)
Secondo quanto emerge da alcuni blog, circa 150 fabbriche sono ancora in sciopero e stanno organizzando manifestazioni ai cancelli delle fabbriche, nello stesso momento in cui il governo schiera forze speciali di repressione e invia l’esercito al confine occidentale della Bielorussia, dove da una parte ci sono scioperi molto importanti e dall’altra c’è una potenza ostile come la Polonia, molto attiva nella crisi. Oggettivamente, o come direbbe Lenin, indipendentemente da ciò che pensano le classi in conflitto, si è creata una situazione rivoluzionaria.
L’opposizione democratizzante filo-occidentale ha formato un Comitato di Coordinamento; si sono formati anche due comitati di sciopero, uno legato al Coordinamento dell’opposizione, che comprende anche dirigenti d’azienda. Un altro comitato, che si definisce indipendente, è nelle mani di leader a favore di una restaurazione capitalista fino alle estreme conseguenze. Avremmo un principio di duplice potere tra i comitati di sciopero nelle imprese, da un lato, e coloro che invocano la loro rappresentanza politica, dall’altro. L’Unione Europea e gli Stati Uniti, cioè l’imperialismo, tengono le redini della coalizione di opposizione: i comitati di fabbrica mancano di leadership politica. Le contraddizioni insite in questa situazione hanno portato il Comitato di coordinamento a sostenere a parole gli scioperi, quando in precedenza ne aveva chiesto la revoca.
La crisi bielorussa, come quelle che l’hanno preceduta in Ucraina, Georgia, Serbia e Armenia, è di carattere internazionale. Il catalano Joseph Borrel, capo degli esteri dell’UE, ha spiegato in un lungo rapporto a El País che l’UE vuole una via d’uscita “alla armena”, riferendosi alla eliminazione della vecchia “nomenclatura” pro-Mosca in Armenia, col consenso della stessa Mosca, cioè, con la garanzia che la dipendenza dell’Armenia dal Cremlino non sarebbe cambiata. Qualcosa di simile è stato sollevato da Carl Bildt, un diplomatico internazionale dell’UE di lungo corso.
Putin non sembra essere d’accordo con questo criterio, semplicemente perché la Bielorussia occupa un posto internazionale differente rispetto all’Armenia, cioè si trova nel cortile europeo. Un governo democratizzante sarebbe intrappolato tra la pressione per una controriforma capitalista, da un lato, e il malcontento popolare, dall’altro. Ciò suggerisce che, se Lukashenko non risolverà la crisi con i suoi metodi, la Russia dovrebbe intervenire militarmente. Questo intervento militare estenderebbe oltre le sue forze il raggio d’azione della tutela russa – in parte la Georgia, l’Ucraina orientale, parte della Moldavia più la partecipazione alla guerra in corso in Siria. L’avvelenamento dell’avversario Navalny, ora ricoverato in Germania, era dovuto al fatto che stava fomentando la ribellione regionale nelle province orientali della Russia. La stagnazione internazionale si aggiunge al crollo del regime di Lukashenko, creando una forte impasse per “quelli dei piani alti”. Se continuasse, tale ristagno accentuerebbe l’attività delle masse e la loro deliberazione politica. La rivoluzione è un processo di maturazione; il suo destino non è determinato dallo schema che gestisce un burocrate o un piccione di tal fatta (n.d.r. In Argentina il termine “piccione” si utilizza per indicare una persona giovane e inesperta).
Lo sviluppo della crisi rivoluzionaria in Bielorussia illustra molto adeguatamente cosa farebbe (e quindi dovrebbe fare) una Quarta Internazionale in azione, intervenendo come terza potenza internazionale in campo. Caratterizzerebbe la situazione nel suo complesso; denuncerebbe la repressione, da un lato, e gli interessi di classe e l’ipocrisia dell’opposizione democratizzante e dei suoi mandanti, dall’altro; inviterebbe i lavoratori a guidare il rovesciamento di Lukashenko; richiederebbe l’indipendenza dei comitati di sciopero dall’opposizione borghese; insisterebbe sulla necessità che i lavoratori si armino; invierebbe brigate di militanti internazionali di lingua russa per collaborare alla formazione di un partito rivoluzionario.