di Jorge Altamira
14/08/2020
La crisi politica internazionale è affiorata nelle ultime settimane in diversi scenari, come il Libano, il Mediterraneo orientale, la Palestina, la Bolivia, l’OSA, persino gli Stati Uniti, dove si discute apertamente di una destituzione anticipata di Donald Trump per le elezioni presidenziali del prossimo novembre. Tuttavia, uno dei punti più caldi è la Bielorussia.
La validità delle elezioni presidenziali di domenica scorsa è stata attaccata da tutte le parti, portando a numerose manifestazioni di piazza e all’aumento della repressione. Il governo guidato da Alexander Lukashenko per ventisei anni aveva messo al bando i tre candidati che rappresentavano l’opposizione politica, i quali non hanno trovato altra via d’uscita se non quella di andare spontaneamente in esilio. La moglie di uno di loro ha assunto lo status di candidata, nonostante la sua distanza dalle questioni politiche, accompagnata da un trio di donne. Questo riassetto singolare ha suscitato un crescente sostegno tra la popolazione, che si è espresso nella relativa imponenza degli eventi della campagna. Attraverso i brogli da parte di una cricca che domina tutti gli apparati maggiori e minori dello Stato, il partito di governo ha ottenuto l’80% dei voti – un’esagerazione che ha cercato di accantonare uno scontro che è senza via d’uscita. La candidata dell’opposizione ha immediatamente lasciato il paese, adducendo minacce ai suoi figli, ma la mobilitazione contro i brogli si incrementata. Dando prova di moderazione, l’opposizione chiede ora nuove elezioni, ovviamente sotto controllo internazionale. Al di là delle numerose differenze, si disegna in Bielorussia lo scenario dell’Ucraina nel febbraio 2014, quando è stato rovesciato il governo filorusso dell’epoca, con il passaggio del Paese al campo dell’Unione Europea e della NATO, la separazione dell’Ucraina orientale, una guerra civile e l’occupazione della penisola di Crimea da parte della Russia. L’opposizione bielorussa è sostenuta dagli stessi attori occidentali.
A partire da martedì scorso, in questo contesto, è scoppiata una serie di scioperi operai nelle grandi fabbriche, in risposta all’appello dei blog dell’opposizione per uno sciopero generale. Chiedono nuove elezioni e il rilascio degli arrestati dalla repressione politica. Hanno interrotto il lavoro diversi stabilimenti sidurergici della RIA Novosti e Steel Works, l’Istituto statale di metallurgia, la centrale elettrica di Kozlov, la fabbrica di zucchero di Zhabinska, la fabbrica di trattori MTZ e l’impianto di margarina – tutti nella capitale Minsk. Nella città di Brobuisk i gommisti hanno aderito allo sciopero (informazioni dal sito marx21.net).
Lo sviluppo degli eventi indica che quanto sta accadendo in Bielorussia non è una copia dell’Ucraina e che l’opposizione alla dittatura personale di Lukashenko ha un carattere di massa, compresa la classe operaia che lavora nelle grandi aziende controllate e gestite dallo Stato. Per quanto riguarda il regime politico, la Bielorussia non è governata da un’oligarchia che avrebbe preso il controllo delle imprese statali, come è avvenuto in Russia sotto Eltsin, né è il risultato di un patto tra i servizi di sicurezza e quell’oligarchia, come è stato dimostrato, con oscillazioni, sotto Putin. Lukashenko ha imposto un regime di potere personale a tutti i settori che godono di una posizione dominante. Le tre persone che hanno visto le loro candidature all’opposizione osteggiate da Lukashenko rivestirono per un certo tempo ruoli nelle fila ufficiali. Gli osservatori della realtà bielorussa sostengono che la crescita dell’opposizione popolare, già indignata da un tenore di vita in declino, sia dovuta alla mancanza di attenzione da parte del governo alla diffusione della pandemia, tanto nell’assistenza personale quanto nel sistema sanitario pubblico.
Lukashenko ha tentato in diverse occasioni di sbloccare la situazione di impasse economica in Bielorussia avvicinandosi all’Unione Europea, utilizzando la mediazione della Repubblica Ceca o della Lituania, e persino della Polonia e del regime ucraino. L’ostacolo posto a questo approccio è semplice: il capitale internazionale chiede lo smantellamento della tutela dello Stato sull’economia e la società bielorussa. L’approccio “neoliberale”, nel caso dell’Ucraina, ha portato ad un impoverimento senza precedenti dei lavoratori e al saccheggio dell’economia, senza offrire cioè l’instaurazione di un regime stabile di accumulazione capitalistica.
Naturalmente, l’ostacolo più grande è il vicino di Lukashenko, la Russia – che non ha lasciato dubbi sul fatto che un passaggio dalla Bielorussia alla NATO equivarrebbe a una dichiarazione di guerra. Putin ha sovvenzionato la Bielorussia con il permesso di raffinare ed esportare il petrolio che la Russia vende loro a prezzi interni. Ma questo meccanismo è solo un rimedio provvisorio: Putin ha apertamente sostenuto che la Bielorussia dovrebbe essere integrata nella Russia su base federale o confederale – con l’Ucraina, la Bielorussia è la più russa delle nazioni che si sono staccate dalla Russia dal 1991. Sulla base di ciò, non solo Putin ha tagliato i sussidi petroliferi, ma tre settimane prima delle elezioni i servizi bielorussi hanno arrestato un commando di mercenari russi, già attivi in Ucraina. La scusa utilizzata da Putin è che si trattasse di guardie private per proteggere le aziende di origine russa. Lukashenko, da parte sua, ha minacciato di chiudere il rubinetto dei gasdotti che trasportano il carburante dalla Russia all’Unione Europea.
In questo scenario, Trump si è fatto avanti per offrire tutti gli aiuti economici necessari, soprattutto il petrolio, per “sbloccare” la Bielorussia dalla Russia. Putin, Xi Jinping e il cubano Díaz Canel hanno salutato la “vittoria” elettorale di Lukashenko. L’UE si riunisce per intervenire come “mediatore” nella crisi elettorale. Angela Merkel guida la crociata, seguendo il percorso storico dell’imperialismo tedesco contro la Russia e i suoi possedimenti, prima e dopo l’Unione Sovietica. Finora non si sa bene se l’UE stia negoziando con Putin dietro le quinte. Né si sa se Putin stia pianificando un colpo di Stato in Bielorussia, a seguito dello straordinario deterioramento delle relazioni con il regime di Lukashenko. Uno scenario esplosivo sta emergendo nell’Europa dell’Est e nei Balcani.
Putin, inoltre, si trova ad affrontare due problemi non trascurabili. Il primo è una ribellione delle regioni russe contro la burocrazia di Mosca; c’è già un governatore in carcere e manifestazioni di opposizione nelle strade del territorio asiatico. La restaurazione capitalista ha portato in superficie la questione dell’unità nazionale russa quando la solidità dello Stato russo per far fronte alle pressioni imperialiste è notevolmente più debole che in epoca sovietica. L’altro problema è il pericolo di uno scontro militare nel Mediterraneo orientale e nel Mar Egeo, tra la Turchia e la Grecia, per i giacimenti petroliferi d’oltremare. Questo è il confine meridionale della Russia. Putin non può fare a meno di Erdogan, a causa della guerra in Siria, né dei greci, in questo caso a causa di vari legami storici. Storicamente, le grandi potenze hanno cercato di sostituire le grandi guerre con guerre minori, fino a quando queste ultime scatenano poi guerre di portata mondiale.
La grande questione, a questo punto, è che non c’è la minima discussione nella classe operaia e nella sua avanguardia su queste crisi e sulle minacce di guerra. Non è la prima volta che le perentorie esigenze sociali dei lavoratori operano come una distrazione dalle questioni politiche e internazionali delle grandi crisi, lasciando il proletariato come un furgone alla coda delle fazioni capitaliste che invocano la democrazia per nascondere i loro scopi. I lavoratori devono lottare per le richieste sociali e democratiche, in Bielorussia, come classe indipendente dai blocchi capitalisti e burocratici in conflitto. Solo con questa politica possono trasformare la conquista delle libertà in un beneficio per gli sfruttati, e non per gli sfruttatori. Le modalità delle richieste democratiche devono, naturalmente, essere discusse sul campo – dalle elezioni a un’assemblea costituente, ma sempre con lo scopo di riunire le forze per costituire consigli operai indipendenti.
In opposizione alla NATO, da un lato, e all’oligarchia russa, dall’altro, è giusto proporre una Bielorussia indipendente, al servizio dell’unione operaia e socialista di tutte le repubbliche che hanno formato l’Unione Sovietica, sulla base dell’autodeterminazione nazionale. Chiediamo una lotta contro la guerra nell’Europa dell’ Est attraverso la mobilitazione della classe operaia internazionale.