di Rdb
Avevamo concluso il nostro precedente articolo sulla crisi libanese, dopo l’ulteriore fattore di sua accelerazione costituito dalle esplosioni nel porto di Beirut, con le seguenti parole: “La tragedia di Beirut non fermerà, ma anzi inasprirà il conflitto sociale in atto da più di un anno in Libano, con il protagonismo assoluto delle fiere masse e gioventù libanesi” (leggi qui). Poco più di 72 ore dopo, il governo del premier Hassan Diab non esiste più, abbattuto a suon di violente proteste che si succedono ogni giorno, e ogni notte, assalti, ed occupazioni, dei palazzi del potere. Conseguentemente a ciò, si sono succedute dimissioni in massa: domenica la ministra dell’Informazione, Manal Abdel-Samad, e il ministro dell’ambiente, Damianos Kattar; lunedì mattina la ministra della Giustizia, Marie-Claude Najm, e il ministro delle Finanze, Ghazi Wazni. Fino alle dimissioni, nella stessa giornata di ieri, del premier e di tutto il governo.
All’annuncio del premier, da un lato sono seguiti i festeggiamenti di una parte della popolazione di Beirut con fuochi d’artificio e spari, dall’altro sono proseguiti gli scontri nelle strade, in particolar modo attorno al parlamento. Un chiaro segnale che le masse e la gioventù libanese, la quale ha un ruolo da protagonista nelle proteste, non si fidano e non si fideranno di soluzioni arrabattate dagli stessi personaggi che hanno portato il Libano alla crisi più grave dalla fine della guerra civile. Una giornata campale è stata vissuta lo scorso sabato dalla capitale, con oltre 700 feriti negli scontri di piazza. Migliaia di manifestanti, partendo da Piazza dei Martiri, hanno riempito il centro della città ed hanno attaccato diversi palazzi istituzionali, dando alle fiamme auto ed edifici. L’insostenibile situazione di un Paese al collasso economico e monetario, in crisi alimentare ed energetica, con un tasso di disoccupazione di ormai quasi un libanese su due, salari e pensioni da fame, ha dato vita ad azioni senza precedenti. Il ministero degli Esteri è stato occupato per ore, e proclamato dai manifestanti “quartier generale della rivoluzione” (dalle sue finestre è stato anche calato uno striscione con su scritto “Beirut capitale della rivoluzione”), assaltati anche i ministeri dell’Economia, del Commercio, dell’Energia e dell’Ambiente così come la sede dell’associazione delle banche al grido “abbasso il regno delle banche”. Ancora, durante il concentramento della manifestazione a Piazza dei Martiri, sono stati allestiti patiboli e forche al grido “rivoluzione, rivoluzione” e “impicchiamoli tutti”. E impiccato ci è finito anche il fantoccio del leader di Hezbollah Nasrallah, una novità assoluta, vista la reputazione, conquistata soprattutto con il finanziamento di una grossa fetta delle ricostruzioni post-guerre da parte di Hezbollah, nonché il suo storico ruolo e tributo di sangue in chiave anti-israeliana, e vista anche l’intoccabilità personale del duo leader considerato, almeno dalla popolazione sciita, un “sayyid”, cioè un discendente del profeta Maometto.
Una risposta popolare che ha espresso una radicalità e un coraggio assoluti. Come, nell’immediato post-espolsioni al porto di Beirut, avevamo sottolineato sarebbe accaduto e in contrasto con due posizioni politiche espresse a più riprese da gran parte di quella che si definisce sinistra di classe. La prima posizione, ripetutamente smentita dai fatti, cioè dai continui focolai rivoluzionari che scoppiano in Medio Oriente come in Nord Africa come in Sud America (senza comunque dimenticare gli episodi europei, nordamericani e dell’estremo oriente asiatico), è quella delle organizzazioni politiche della sinistra “comunista”, di nome, o “anticapitalista”, per cui i processi rivoluzionari sono molto al di là dal venire e in questo frangente occorre tuttalpiù “difendersi”… e vivacchiare.
L’altra posizione, allo stesso modo politicamente errata, è quella di una solita sinistra “campista”, comprendente per buona parte residui dello stalinismo e del maoismo, per la quale qualsiasi cosa si muova in determinati Paesi, siano essi dell’ex area di influenza sovietica o dell’ex area dei Paesi colonizzati, è determinato e manovrato esclusivamente da fattori esterni volti alla destabilizzazione al fine di rafforzare l’imperialismo. Una posizione, che anche quando parte da premesse reali giunge a conclusioni sbagliate e insostenibili. Prendiamo ad esempio l’articolo comparso su “Contropiano”, il giornale on line della “Rete dei Comunisti”, intitolato “Beirut, tutto quello che non torna della versione ufficiale”, di Fabrizio Casari (leggi qui), tratto sì dalla pagina di controinformazione “Altrenotizie” ma incensato proprio dalla redazione di Contropiano nel preambolo alla pubblicazione sul proprio sito web. Nell’articolo si legge: “L’obiettivo della nuova campagna di destabilizzazione in Libano è Hezbollah, il “partito di Dio”, l’organizzazione politico-religiosa sciita che ha come guida Nasrallah […] Hezbollah, in stretta alleanza con Assad, con la Russia e con l’Iran, ha svolto un ruolo importantissimo nella difesa della Siria dal terrorismo di Isis, Al Nusra ed Esercito libero siriano, tutti impegnati con ruoli diversi nel cancellare il legittimo governo siriano”. Ora, che Hezbollah abbia assunto un ruolo chiave nella difesa militare del Libano e del Medio Oriente in generale tanto dai sanguinari attacchi dello Stato sionista quanto dai sanguinari attacchi di Isis e Al Nusra, è fuor di dubbio. Così come si deve riconoscere che ha costituito una componente fondamentale nella battaglia contro i mercenari allo stesso tempo filo-imperialisti e filo-islamisti dell’Esercito Libero Siriano. Ma può mai ciò trasformarsi in una difesa ad oltranza di un partito religioso, anticomunista (nel senso della sua ovvia contrarietà a qualsiasi organizzazione sovietica e socialista della società), che da tempo governa il Paese insieme alle altre forza della borghesia libanese? Tanto è vero che è stato bersaglio delle proteste tanto quanto le altre componenti politiche del governo, con cui viene, e a ragione, completamente identificato. Ancora, l’articolo di Casari quasi in conclusione denuncia: “Le strumentalizzazioni della cosiddetta “crisi politica libanese”, che altro non è se non l’impossibilità da parte del falangismo cristiano maronita (alleato di Israele) di eliminare la componente sciita dall’arena politica, sono una parte fondamentale nelle operazioni di depistaggio mediatico. Il tentativo dell’Occidente è quello di provocare una nuova “primavera araba” che, come già in passato, viene organizzata da anni di preparativi e di infiltrazioni, di finanziamenti e direzione politica straniera. Sentiremo parlare di “rivolte spontanee”, di “lotta alla corruzione” di rivolta contro la componente religiosa sciita, di rifiuto del controllo iraniano del Libano tramite Hezbollah. Sembrano tesi verosimili ma non c’è nulla di vero. Sono le coordinate informative dell’ennesimo colpo di stato travestito da rivolta popolare già andato in onda in Egitto, Tunisia, Giordania, Iran”. A parte la negazione fantascientifica della crisi libanese, su cui non vale la pena spendere parole, qui l’autore (e chi ammicca alle sue tesi ospitando il suo articolo sul proprio giornale web) raggiunge l’apoteosi di una mistificazione tra il campismo e il complottismo: tutti i movimenti popolari e indistintamente tutte le “primavere arabe” (che a quanto capiamo per la Rete dei Comunisti / Potere al Popolo sono un fenomeno negativo), e qualsiasi momento di ribellione al regime teocratico e anticomunista dell’Iran, sono solo colpi di Stato orchestrati all’estero con le masse burattine strumentalizzate o complici. Anche qui, la sovranità del Libano, della Siria, dell’Iran, andrà sempre difesa, senza alcuna esitazione e con tutte le proprie energie, dagli attacchi del sionismo e dagli appetiti degli imperialismi occidentali (di cui la “conferenza dei donatori di sostegno al Libano” di domenica, promossa da Paesi quali USA e Francia e istituzioni sciacalle come l’Unione Europea, la Lega Araba, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale è una plastica, ormai non più ingannevole, rappresentazione), ma altra cosa è la beatificazione di quei regimi, più o meno autoritari, ma comunque sempre espressione delle proprie borghesie nazionali e dei suoi interessi capitalistici. Ancora una volta i “campi” della politica internazionale sostituiscono le classi e l’indipendenza internazionale della classe operaia.
Solo i lavoratori, i disoccupati, la gioventù di tali Paesi, spazzeranno via i propri governi oppressori, contro le borghesie occidentali, ma fuori da ogni collaborazione con le borghesie nazionali!