La pandemia di corona virus ha portato a galla allo stesso tempo sia i limiti del sistema capitalista che non era pronto ad affrontare un evento di tale portata, sia quelli di una sinistra completamente inadeguata a mettere a fuoco ciò che stava avvenendo negli ultimi mesi.
Durante il periodo di lockdown, infatti, molte analisi impressioniste sono state avanzate anche da alcuni settori della sinistre, dove si faceva riferimento a uno stato d’eccezione spesso seguito da un invito alla “ribellione” contro la quarantena.
Come sempre questi errori avvengono in seguito alla perdita totale di un approccio scientifico e materialista in favore di uno idealista piccolo borghese, che non tiene conto delle attuali condizioni in cui versa il capitalismo e di cosa questa pandemia abbia realmente significato per il sistema.
Pubblichiamo a riguardo il contributo del compagno argentino Jorge Altamira del Partido Obrero – Tendencia a questo dibattito.
Buona lettura.
Testo originale: https://politicaobrera.com/politicas/1634-estado-de-excepcion-estado-de-disolucion-estado-de-rebelion
Non appena si è estesa ai paesi europei, la tesi secondo cui la quarantena ha istituito un regime politico d’emergenza si è diffusa con più o meno successo. Il cosiddetto “stato di eccezione” si riferisce a un sistema di dominio che potrebbe essere più vicino o più lontano alla democrazia formale, perché fa riferimento allo sviluppo di una straordinaria capacità dello Stato per tutelare la vita individuale, con una relativa indipendenza delle caratteristiche delle sue istituzioni politiche. Nella caratterizzazione, una sinistra che si definisce “pluralista” e una destra che si considera liberale, convergono. In entrambi i casi emergono coloro che hanno chiamato a una “ribellione” contro la quarantena; in Argentina abbiamo avuto una discussione in difesa della quarantena confrontandoci con il FIT, all’estero l’insurrezione contro questa è stata guidata da Trump, Bolsonaro, l’inglese Johnson, l’italiano Salvini e Sebastián Piñera.
In realtà, lo “stato di emergenza” era rappresentato dal campo politico critico del cosiddetto “isolamento preventivo”. La difesa della libertà individuale o di circolazione in una pandemia può convenire alle classi sociali benestanti, mentre rappresenta una condanna a morte per i lavoratori delle masse più povere. Ancor più se si tiene conto della mancanza di tutela della salute delle maggioranze, soprattutto a causa dell’elevata privatizzazione del sistema sanitario dovuto alla distruzione del sistema pubblico. La coercizione statale a contenere una crisi sanitaria è relativamente progressista, in contrasto con l’abbandono del ruolo di rappresentante della “società in generale”, che lo Stato è obbligato a preservare, proprio a causa dell’antagonismo di classe di questa società. Un’altra cosa è, naturalmente, la reale capacità dello Stato di intraprendere una reale tutela della salute, in virtù del suo carattere di classe e del monopolio dei mezzi di produzione da parte della borghesia. La critica liberale dell’”isolamento progressivo”, in una pandemia, rivela il suo carattere reazionario, almeno nell’era della decadenza capitalistica. Come il “diritto al lavoro”, cioè il diritto ad essere sfruttato, il diritto alla vita è uno dei diritti che può e deve essere rivendicato di fronte allo Stato capitalista.
A tre o quattro mesi dall’inizio della pandemia, stiamo assistendo a diffuse ribellioni popolari – non a uno “stato d’eccezione”, che impone un’ampia prigionia politica, ma ad uno stato di ribellione. Questo evidenzia un’altra finzione della critica liberale – quella secondo la quale la storia è fatta dall’alto, attraverso le istituzioni, e non attraverso la lotta di classe. Il “decisionismo” statale non può essere caratterizzato come reazionario in termini astratti, cioè indipendentemente dal suo contenuto in ogni epoca storica. In tal caso dovrebbero essere condannate la dittatura giacobina nella rivoluzione francese o la dittatura proletaria guidata da Lenin e Trotsky.
Se si guarda con attenzione, si vede che il tentativo di stabilire uno “stato di eccezione” negli Stati Uniti da parte di Donald Trump, che ha governato a forza di “ordini esecutivi” e con la brutalità della polizia, non ha trionfato, ma è naufragato. Sia i tentativi di Trump sia quelli di Bolsonaro di creare uno stato di polizia sono stati coperti dalla difesa delle libertà individuali. Il liberalismo ha una lunga storia di totalitarismo in America Latina – il massacro degli indigeni in nome dell’Illuminismo. La rivolta popolare negli Stati Uniti ha portato a una conquista che non era inaspettatamente necessaria: la Corte Suprema di destra ha appena stabilito che i licenziamenti basati sul genere sono illegali. Non è un’impresa da poco, perché l’insidia più significativa contro questo diritto alla diversità sessuale è stata quella di violentare la coscienza di quella parte del personale nei luoghi di lavoro che rifiutava la diversità. Nel mezzo degli avvertimenti di un’avanzata dello “stato di emergenza”, si è verificata la più diffusa ribellione contro la brutalità della polizia e il razzismo della storia.
È chiaro che lo stato di ribellione è una prosecuzione delle ribellioni popolari che hanno preceduto la pandemia, che hanno a che fare con il processo di dissoluzione capitalistica, che si manifesta in ripetute crisi internazionali, sempre più accentuate, e con un epicentro nelle metropoli del capitale. Per utilizzare la quarantena come arma dello stato di emergenza, sarebbe stato necessario stabilire un periodo di reazione politica. Tentativi in questa direzione sono stati diffusi, ma non hanno prosperato come tendenza generale. Un aspetto della dialettica è quello di apprezzare i fenomeni all’interno di una totalità diversificata; il dottrinario, che non la maneggia, cade nell’impressionismo. La pandemia è giunta come una catastrofe per il capitalismo, semplicemente perché ha messo a nudo le sue insormontabili carenze e la sua tendenza alla dissoluzione. Chiaramente spinge verso una nuova epoca – la “nuova normalità” saranno le rivoluzioni; il distanziamento sociale dovrà rivaleggiare con l’agglomerazione politica delle masse.
Lo stato di dissoluzione si allarga, cosa che non dovrebbe sorprendere nessuno, in Argentina. Lo Stato si presenta come un “portatore asintomatico”, che va e viene tra il ricovero e la terapia intensiva – senza test, respiratori o ossigeno. Non ha soldi, non ha finanziamenti, è immerso in una “bancarotta” generalizzata, e affronta la resistenza popolare, le lotte e gli scioperi che, se fossero uniti, rientrerebbero nella categoria della ribellione popolare. Pur governando per decreto, non costituisce uno “stato d’eccezione”, perché dovrebbe avere la capacità di imporlo nel tempo. Affinché il popolo possa marciare al suono del governo, non bastano le forme giuridiche – servono muscoli politici. L’Argentina è governata da una confederazione, in procinto di spaccarsi, costituita da un governo, che funziona come una coalizione; dall’opposizione, dove il timone è detenuto dai conciliatori; dai governatori di tutte le fazioni. Non è vero che Alberto Fernández è un arbitro, che non è la stessa cosa di un mediatore; né lo è il vicepresidente, perché in politica non c’è la VAR. La possibilità di un bonapartismo speciale deve attendere che l’attuale equilibrio instabile esploda in conseguenza di una rottura politica.
È chiaro che la pandemia limita le mobilitazioni popolari, ma i licenziamenti, le modalità e i protocolli di lavoro hanno scatenato numerosi conflitti, anche quando l’impegno della burocrazia sindacale nei confronti dello Stato e delle organizzazioni dei padroni ha lavorato a pieno regime. C’è una lotta, fondamentale, per il controllo dei luoghi di lavoro. La crisi della quarantena sta già portando a crescenti lotte, poiché la “riapertura dell’attività” moltiplica le rivendicazioni che sono state represse, e quelle che emergeranno come conseguenza di questa “riapertura”.
La crisi del debito esterno; l’impasse politica raggiunta dall’intervento statale nella holding Vicentin[1]; il concorso preventivo (licenziamenti e tagli agli stipendi) richiesto dalla Latam[2]; la rinascita della pandemia e la necessità di affrontarla con risorse e mezzi di intervento sociale; tutto questo annuncia una crisi di governo a breve termine, che mobiliterà tutte le classi sociali.
È necessario coordinare tutte le lotte, con metodi di deliberazione di classe, per sconfiggere il tentativo del capitale di scaricare il costo della crisi sui lavoratori.
D’altra parte, è necessario affrontare la crisi di potere che si sta sviluppando. Su questa base proponiamo un congresso di delegati eletti, su iniziativa delle correnti militanti, con l’obiettivo di presentare un piano economico della classe operaia, e con esso la candidatura al potere. La nazionalizzazione senza indennizzo della grande industria e della banca, sotto il controllo dei lavoratori, è una necessità immediata per affrontare la catastrofe in corso.
Jorge Altamira 18/06/2020
[1] Vicentin è uno dei principali gruppi privati del settore agroalimentare argentino.
Versa in uno stato di crisi dal 2018, è entrato ufficialmente in fallimento lo scorso dicembre con debiti per oltre 1,3 miliardi di dollari. Il governo Macrì lo salvò attraverso l’emissione di liquidità tramite il Banco Nación, quindi lo Stato è uno dei primi creditori.
L’attuale governo Fernández ha deciso di espropriarlo.
[2] Atam è una compagnia aerea argentina.