Questo articolo è in risposta a due testi pubblicati su RedMed, le cui traduzioni sono disponibili nel nostro sito:
La pandemia da Coronavirus: che differenza farebbe il socialismo
Danilo Trotta (Prospettiva Operaia)
Nicolas Marrero (Partido de los Trabajadores – Uruguay)
In vista del Primo Maggio, i compagni del centro Christian Rakovsky e le organizzazioni ad esso afferenti, il 16 aprile hanno pubblicato una dichiarazione, sul sito RedMed, intitolata “Verso un Primo Maggio Rosso di lotta per la nostra vita, in solidarietà con gli operatori sanitari e con tutti gli oppressi del mondo! Guerra contro il Coronavirus, guerra contro il brutale assalto del capitalismo![1]”. Prima di terminare, elencando una serie di rivendicazioni per trasformare questo anomalo Primo Maggio in quarantena mondiale in una giornata di lotta, il testo passa in rassegna lo sviluppo della pandemia da Coronavirus continente per continente, elencando i limiti che ogni paese affronta nella lotta alla pandemia. Ma quando si passa in rassegna la Cina, Il Vietnam e Cuba, il carattere d’analisi del testo si trasforma in un panegirico dei “Paesi che in passato hanno vissuto vere e proprie rivoluzioni socialiste”: la Cina, il Vietnam e Cuba. I regimi politici di questi paesi vengono descritti come “società in transizione verso il socialismo”, benedetti dalla “superiorità dei metodi ereditati dalla pianificazione centrale”, esempi che dimostrerebbero il fatto “che la classe operaia ha bisogno di vincere la guerra di classe per salvare sé stessa e il resto della società dalla calamità sanitaria che si abbatte ferocemente su di noi”. Agli autori del testo sfugge il fatto che se in questi paesi c’è una transizione in atto, questa è verso… il capitalismo. In Cina il processo di restaurazione capitalista, non nominato una sola volta dal testo, ha portato alla formazione di una gigantesca casta di capitalisti miliardari[2], anche nel settore sanitario[3], intrecciati al PCC, e cosi in Vietnam, sebbene su una scala molto più piccola ma col tasso di crescita più alto del pianeta[4]. A Cuba, il processo di restaurazione, di più recente formazione, ha creato un grosso settore privato che ogni giorno accresce la propria influenza nei confronti della vita sociale ed economica dell’isola. L’apologia della burocrazia da parte del Centro Rakovsky dà vita ad una vera deformazione storica. Avvertiamo la necessità di fare delle osservazioni in merito a questo testo.
Il “sistema sanitario pubblico” cinese
La Cina sarebbe riuscita a “limitare praticamente i danni dell’epidemia” grazie al suo “sistema ospedaliero pubblico e alla sua peculiare modalità di mobilitazione del lavoro socializzato”. Siamo costretti a osservare che la “modalità di mobilitazione del lavoro socializzato” in Cina non corrisponde ad una autorganizzazione dei lavoratori in un regime proletario frutto di una “vera e propria rivoluzione socialista”, ma ad un rigido controllo dei lavoratori irregimentati da parte di un apparato burocratico che governa il paese dal 1949, e in maniera tanto più violenta dall’inizio della restaurazione capitalista concertata con l’imperialismo. In merito al “sistema ospedaliero pubblico” i compagni sono rimasti qualche decennio indietro. È importante ripercorre le tappe che hanno portato la sanità cinese ad affrontare la pandemia.
Dopo la Rivoluzione del 1949, la Repubblica Popolare decise di costituire un sistema sanitario pubblico. Il Primo Congresso Nazionale della Sanità (1950) stabilì che tra i criteri sui quali doveva fondarsi il nuovo sistema sanitario, vi fosse la necessità di servire lavoratori, contadini e soldati e che vi fosse la precedenza della medicina preventiva rispetto alla medicina terapeutica[5]. Il congresso dette vita ad un sistema sanitario a copertura universale che riuscì indubbiamente a conseguire risultati importantissimi. Tra il 1952 e il 1982 il tasso medio di mortalità infantile passò dal 250/1000 al 34/1000 sui nati vivi e l’aspettativa di vita alla nascita passò dai 35 ai 68 anni[6]. La stessa educazione dei medici ne uscì enormemente rafforzata: nel 1965 la Cina poteva contare su più di 230 istituti di educazione alla medicina occidentale e oltre 200mila medici[7]. Ma i migliori risultati si raggiunsero in campagna, dove si concentrava la stragrande maggioranza della popolazione cinese. La Repubblica Popolare durante la Rivoluzione Culturale dette vita ad un vero e proprio esercito di “medici di villaggio”, i famosi “medici scalzi” (barefoot doctors), oltre un milione di contadini con una formazione medica e paramedica di base, inquadrati nelle Comuni col programma di assistenza sanitaria specifico per la campagna, il Cooperative Medical System, e con l’obiettivo di fornire assistenza sanitaria lì dove non riuscivano ad arrivare i medici di città, con una formazione centrata prevalentemente sulla prevenzione delle epidemie[8]. Alla fine degli anni ’70 risultava coperto dall’assistenza sanitaria oltre il 90% della popolazione delle campagne.
Con l’avvio delle riforme di Deng Xiaoping si smantellò quasi del tutto il sistema sanitario cinese. Nel 1981 fu smantellato il programma dei medici scalzi, che persero i sussidi pubblici e dovettero dedicarsi all’attività privata, e nel 1984 fu privatizzato il sistema sanitario. L’assistenza sanitaria in campagna crollò verticalmente: la quota di popolazione rurale con una qualche forma di copertura sanitaria passò in meno di un decennio dal 90% dei primi anni Ottanta al 5%[9]. Gli ospedali furono incentivati nel fare profitti e questi si concentrarono nei servizi da ricovero, più redditizi, trascurando la prevenzione, nonché nella vendita di medicinali, dato il fatto che gli ospedali erano e tuttora sono proprietari delle farmacie. Alla diseguaglianza tra i cittadini più ricchi e quelli più poveri si aggiunse la crescente distanza tra le province costiere più ricche e quelle interne più povere, dato il fatto che il governo passò la responsabilità della sanità ai governi locali, privandosi del ruolo di redistributore di risorse che aveva avuto fino a quel momento. Nel 1999 solo il 7% dei 900 milioni di cinesi aveva una copertura sanitaria[10]. Alla fine degli anni ’90 la situazione era diventata esplosiva e la Cina, soprattutto rurale, era scossa dalle proteste.
Nel 2003 il governo cinese, impaurito, prese dei provvedimenti, introducendo delle coperture assicurative per coprire le spese sanitarie ospedaliere dei cittadini delle aree rurali. Tuttavia, si focalizzarono sulle cure secondarie (cioè le cure da ambulatorio o ricovero) trascurando, di nuovo, le cure primarie di prevenzione. Nel 2008, di fronte agli scarsi risultati delle misure prese nel 2003, fu approvato un piano più ambizioso chiamato China Health 2020, con l’obiettivo di fornire un’assistenza sanitaria di base a prezzi accessibili a tutti i cittadini entro il 2020. Nel 2012, il 95% della popolazione accedeva ad una modestissima copertura, mentre il governo, posseduto dal demonio del mercato onnipotente, annunciava che avrebbe invitato i privati a possedere sino al 20% degli ospedali cinesi entro il 2015, il doppio della percentuale precedente (Blumenthal and Hsiao, 2017).
La Cina si è trovata impreparata di fronte alla pandemia esattamente come gli altri paesi. La stessa produzione di materiale sanitario e di Dispositivi di Produzione Individuale, la cui domanda cresce durante le epidemie e che pertanto non è una produzione sufficientemente redditizia in tempi normali per i capitalisti, ha visto la Cina ampiamente deficitaria, sino a necessitare essa per prima degli aiuti internazionali[11]. Tra i primi interrogativi relativi all’insorgere di una nuova possibile malattia e i primi provvedimenti da parte delle istituzioni, sono passati giorni durante i quali le autorità non hanno trovato di meglio da fare che accusare i medici che per primi avevano lanciato l’allarme di diffondere notizie false[12]. La prima preoccupazione del governo cinese e del suo sistema di “mobilitazione del lavoro socializzato” non è stata la salute o la vita, ma il controllo sull’informazione e sulla diffusione delle notizie relative all’insorgere dell’epidemia, le quali avrebbero potuto salvare molte vite, nonché il processo di approfondimento della già pesante intrusione nella vita privata dei cittadini cinesi[13][14] per mezzo del gigantesco sistema di sorveglianza sociale nelle mani del PCC.
Gli ospedali internazionali privati, normalmente usati da uomini d’affari e manager stranieri delle compagnie che hanno investito in Cina, dotati di moderne attrezzature mediche e di personale in grado di parare inglese, liberi di scegliere chi curare e chi no, fin dall’inizio dell’epidemia hanno respinto gli stranieri con sintomi sospetti reindirizzandoli agli ospedali pubblici al solo scopo di non perdere clienti[15]. Il governo cinese non è mai intervenuto. La gestione della pandemia, checché ne dica la macchina propagandistica della burocrazia, vede indebolita la popolarità Xi Jinping e la fiducia nelle istituzioni. La risposta scomposta e tutt’altro che centralizzata delle autorità locali è stata sia il frutto del terrore che si è impadronito di un apparato completamente e colpevolmente impreparato all’insorgere, più volte annunciato, di una epidemia, poi rivelatasi globale, sia il risultato della pressione sui governanti locali delle lobbies del settore sanitario. Il Caixin, importante giornale economico pechinese, scrive in un suo editoriale: “Tuttavia, quando l’epidemia è scoppiata, i funzionari in molte parti della Cina hanno adottato misure che evidentemente hanno violato la legge o i diritti dei cittadini. In alcune aree hanno arbitrariamente chiuso le strade, tagliato i villaggi e bloccato il flusso del traffico. Alcuni hanno fatto trapelare pubblicamente le informazioni personali di persone che potrebbero essere state infettate. Altri controlli sono stati palesemente discriminatori, per esempio negando l’ingresso a persone provenienti da zone gravemente colpite come Hubei, vietando ai residenti assenti di tornare alle loro case o impedendo agli inquilini di usare gli appartamenti in affitto. Resta il fatto che i governi a tutti i livelli hanno permesso che tale comportamento non fosse controllato e, in alcuni casi, lo hanno addirittura facilitato attivamente. Di fronte a circostanze insolite, i buchi nella governance in stile cinese sono diventati fin troppo evidenti. Questo è un grande fallimento dello Stato di diritto del nostro Paese”.
E più avanti: “Le fasi iniziali dell’epidemia sono state segnate dalla mancanza di informazioni chiare, ma il silenzio ufficiale di Li Wenliang e di altri medici informatori ha fatto sì che la situazione si sia ulteriormente aggravata. Il governo centrale ha sottolineato la necessità di effettuare la segnalazione dell’epidemia e gli annunci in conformità con la legge, riportando tempestivamente e accuratamente le informazioni sull’epidemia secondo il contenuto, le procedure, i metodi e i tempi previsti dalla legge. Finora questo lavoro è stato tutt’altro che ideale. In Hubei, e soprattutto a Wuhan, non conosciamo ancora il vero numero di persone infette, lasciando le persone coinvolte nel controllo della malattia con evidenti punti ciechi”[16].
La pandemia, il capitalismo e la restaurazione capitalista in Cina
Nel testo non si fa minimamente cenno alle condizioni di contorno che hanno visto lo svilupparsi del virus. La Cina è il principale produttore di suini vivi (oltre 700 milioni di nuovi maiali l’anno, il 40% della produzione mondiale), settore completamente nelle mani dei privati, alcuni dei quali miliardari[17]. Dall’agosto 2018, quando la Cina ha comunicato all’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (OIE) che nel paese c’era la peste suina africana (Asf), la malattia si è diffusa a macchia d’olio[18]. Circa il 40% dei maiali cinesi è stato perso (morto o abbattuto), e il risultato è stato una cronica carenza di carne suina e prezzi altissimi. La Cina inoltre è il secondo produttore al mondo di polli (oltre 1,6 miliardi di polli macellati l’anno) e il primo produttore di uova[19]. È in questo contesto di gigantesca produzione di volatili che si è sviluppata l’influenza aviaria (H5n1), il cui impatto sull’uomo si è rivelato per la prima volta ad Hong Kong nel 1997.
In un articolo pubblicato su RedMed il 9 aprile, Sungur Savran sostiene che “la risposta scientifica alla domanda se il Coronavirus affondi le sue radici esclusivamente nei processi naturali o, in alternativa, se è anche collegato alle condizioni socio-economiche che sono state storicamente preparate dal capitalismo, richiederà probabilmente un lungo periodo di ricerca e di riflessione. Fino ad allora, dovremo presumere, non avendo prove contrarie, che il virus sia emerso indipendentemente dalle condizioni socio-economiche o, in altre parole, che si tratti di un fenomeno puramente naturale”[20]. Mentre il compagno aspetta la pistola fumante, la scienza ha già provato che esiste una relazione tra l’insorgenza di epidemia e il processo di deforestazione-industrializzazione-urbanizzazione[21]. Il rapporto causa-effetto tra la sempre maggiore vulnerabilità alle epidemie e alle pandemie e la sempre più veloce distruzione dell’habitat è il seguente: con il procedere della deforestazione si riducono gli spazi nei quali vivono ammassati gli animali; questa riduzione della superficie delle foreste spesso è dovuta alla necessità di ricavare terra destinata agli allevamenti; qui avviene il contatto tra gli animali selvatici, incubatori del virus, e gli animali destinati al macello; a loro volta gli animali allevati si incrociano con animali coi quali probabilmente non sarebbero mai venuti a contatto in natura, e questo avviene negli ormai famigerati wet markets, con la presenza contemporanea di animali morti e animali in attesa di essere macellati sul posto. Questo processo di commistione di animali selvatici e allevati, vivi e morti, fu all’origine dell’epidemia di SARS del 2002-2003 e con ogni probabilità lo è anche dell’attuale pandemia.
L’aumento dell’allevamento di animali e l’incremento della caccia a quelli selvatici sono il prodotto dell’aumento del consumo di carne pro-capite, dell’incremento demografico e dell’aumento della densità abitativa. Nel caso specifico, il wet market in questione si trovava in una metropoli (Wuhan) di quasi 9 milioni di abitanti, capoluogo di un distretto (Hubei) che ha 56 milioni di abitanti, poco meno della popolazione di tutta l’Italia. Questo processo di crescita delle metropoli cinesi, con un impetuoso aumento della popolazione urbana sul totale, è un fenomeno che in Cina si è particolarmente accentuato negli ultimi 40 anni, facendo in modo che anche la Cina conoscesse quel processo di crescente allontanamento tra la città e la campagna, con la crescita abnorme delle prime e la decadenza e l’abbrutimento delle seconde, che già Marx ed Engels denunciavano oltre 150 anni fa. In generale, le condizioni nelle quali si è sviluppata la “calamità sanitaria che si abbatte ferocemente su di noi” sono interamente dettate, dalla prima all’ultima, dal grande assente dal testo del Centro Rakovski: la restaurazione capitalista.
La Cina, regime “in transizione verso il socialismo” secondo il testo qui criticato, nonostante le sue “modalità di mobilitazione del lavoro socializzato” non è riuscita a prevedere l’arrivo di una epidemia così violenta sebbene il paese sia stato colpito negli ultimi anni da una serie di epidemie molto simili, e nonostante l’Organizzazione Mondiale della Sanità abbia molte volte avvisato della possibilità di una pandemia globale. Più recentemente, nel settembre del 2019, l’OMS affermava che “Mentre la malattia ha sempre fatto parte dell’esperienza umana, una combinazione di tendenze globali, inclusa l’insicurezza e condizioni meteorologiche estreme, ha aumentato il rischio. La malattia prospera nel disordine e ne trae vantaggio; focolai sono in aumento da diversi decenni e incombe lo spettro di un’emergenza sanitaria globale. Se è vero dire “ciò che è passato è un prologo”, allora esiste una reale minaccia di una pandemia in rapido movimento e altamente letale, un patogeno respiratorio che uccide da 50 a 80 milioni di persone e cancella quasi il 5% dell’economia mondiale. Una pandemia globale su quella scala sarebbe catastrofica, creando caos, instabilità e insicurezza diffusi. Il mondo non è preparato”[22].
Cuba
Nel caso di Cuba, la dichiarazione presenta un contro-paradigma globale di forza nell’assistenza medica e sanitaria che ha permesso di monitorarne il successo nella diffusione limitata del virus. Al momento, Cuba ha 1.369 infetti e 54 sono morti per COVID-19. Questo sarebbe la dimostrazione di forza di una “società in transizione verso il socialismo”. Tuttavia, la realtà è in qualche modo più contraddittoria.
Le conquiste raggiunte dalla Rivoluzione cubana nel campo della salute negli anni ’60 hanno permesso l’espropriazione della salute privata e il passaggio ad un sistema di copertura unico, gratuito, universale e diretto a livello centrale. Da un lato, con questa conquista, e nel bel mezzo del blocco degli Stati Uniti, Cuba iniziò a mantenere tassi di salute migliori rispetto al resto dell’America Latina, minor mortalità infantile, maggiore aspettativa di vita, ecc., Un’industria farmaceutica statale, notevoli progressi in settori come la biotecnologia e la “esportazione” di medici per i quali lo Stato riceve significativi cambi di valuta estera. D’altra parte, si è sviluppata sempre più la sanità privata destinata al turismo internazionale e alla burocrazia statale del Partito comunista, mentre il sistema pubblico “centralizzato” non ha risorse economiche. Pertanto, sotto l’impulso della burocrazia statale, Cuba assiste al il progressivo smantellamento di uno dei più importanti progressi e valori della Rivoluzione.
La caratterizzazione relativa alla differenziazione sociale che si sviluppa nella sanità fa parte di una visione d’insieme. Questo perché il regime cubano insiste nel ripetere l’esperienza della restaurazione capitalista in Cina, ma in un luogo più inappropriato e nel quadro dell’esacerbazione della guerra commerciale internazionale tra gli Stati Uniti e precisamente… la Cina. Il governo cerca di aprire le porte al capitale straniero, mantenendo alcune risorse strategiche nello Stato, in uno scenario in cui il blocco economico continua come arma di prelazione per liquidare gli ostacoli ancora esistenti a Cuba per la colonizzazione della finanza, mentre l’orientamento dell’associazione con il capitale straniero ha raggiunto il massimo delle sue possibilità. Nel caso della salute e della biotecnologia, Cuba non mantiene l’accesso al mercato mondiale per le proprie invenzioni e le proprie scoperte a causa del blocco economico. Una delle richieste di Trump è di aprire la salute e la biotecnologia al commercio internazionale – in cambio di una royalty per Cuba – in cui la grande industria farmaceutica e biotecnologica nordamericana ha operato con grande vigore.
La tesi di una “società in transizione verso il socialismo” non ha né capo né coda. Succede che, con più zigzag, Cuba ha affrontato una via d’uscita dalla sua stagnazione economica attraverso la collaborazione con il capitale internazionale e attraverso una politica di adattamento e una maggiore differenziazione sociale. Non ha la possibilità, tuttavia, di riprodurre le caratteristiche del percorso della Cina verso il capitalismo, perché non ha la possibilità di offrire un mercato interno al capitale internazionale, se non diventare una piattaforma di esportazione e un paradiso turistico e immobiliare – come è già successo nella storia prima della rivoluzione. La bancarotta capitalista mondiale opera, da un lato, come pre-fattore per l’apertura completa di Cuba al capitale internazionale e, dall’altro, come limite insormontabile alle sue possibilità, perché accentua l’impasse del regime politico e la lotta dei lavoratori. La particolarità della transizione della società cubana è che è governata da una forte burocrazia statale e da una tendenza interna in continua espansione, che favorisce la privatizzazione della proprietà pubblica. Questa condizione conferisce all’approccio dell’associazione al capitale straniero una forte connotazione restauratrice.
Lo scenario aperto dalla pandemia ha sollevato ciò che alcuni osservatori avvertono come un percorso verso un “nuovo periodo speciale”, in riferimento alla crisi economica degli anni ’90. L’organizzazione statale nella distribuzione dei beni di prima necessità sta per crollare, mentre viene rafforzata la militarizzazione e la repressione nelle file dei magazzini[23]. Ma la crisi economica a Cuba era precedente all’emergere di COVID-19. Sotto i colpi del rafforzamento del bloqueo sul turismo da parte del governo Trump[24], la riduzione della fornitura di petrolio, commercio e servizi professionali in Venezuela, il calo dei prezzi mondiali di zucchero e nichel e le restrizioni al credito esterno, l’economia cubana si deteriora rapidamente. In particolare, la crisi venezuelana e quella brasiliana[25] hanno interessato l’acquisto della principale fonte di valuta cubana: i servizi professionali di medici, infermieri, ecc. Il Venezuela ha acquistato il 75% di tali servizi. Nel quadro della pandemia, Cuba sta aprendo nuovi mercati per l’esportazione di questi servizi, come nel caso dell’Argentina, cosa che ha scatenato una furiosa campagna di destra contro i “medici guerriglieri”.
I socialisti sostengono la rivoluzione cubana, che continua a rappresentare un riferimento per i lavoratori, in particolare per la sua capacità di resistere al più grande imperialismo di tutti i tempi a novanta miglia dalle sue coste. Promuoviamo la lotta per l’organizzazione indipendente dei sindacati, lo sviluppo dell’autonomia politica della classe operaia e la prospettiva di un governo operaio in opposizione all’impasse totale raggiunta dal regime politico dell’isola e alla sua politica di collaborazione con la borghesia nazionale e l’imperialismo stesso.
La guerra di classe e la classe operaia
Che la classe operaia debba lottare e vincere la guerra di classe sino a prendere il potere è fuor di dubbio; che questo sia accaduto nei paesi elencati nel testo è tutto da dimostrare. In Cina, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1927, con le insurrezioni di Shangai e Canton, i comunisti cinesi si rifugiarono in campagna, dove dettero vita ad una guerra di guerriglia a base contadina contro le città dominate dal Kuomintang.
Il gruppo di Mao Tsetung, preso il controllo del PCC contro altre correnti, inclusi i troskisti cinesi, dette vita ad una originale deformazione del programma storico del PCC e della Terza internazionale, secondo la quale la città sarebbe stata in una condizione di dipendenza dalla campagna e questo avrebbe permesso ai comunisti cinesi di conquistate posizioni in campagna, di accerchiare la città. Il PCC governò così per quasi 20 anni una serie di territori nell’entroterra cinese, sviluppando, diversamente dall’esperienza sovietica, un apparato burocratico, il “gendarme che tiene in ordine la fila”[26], prima ancora di prendere il potere in tutto il paese. Dopo una lunga guerra civile col Kuomintang, nel quadro della sconfitta dell’imperialismo giapponese nella Seconda Guerra Mondiale e della conseguente fine dell’occupazione della Cina, il PCC si mise alla testa di una gigantesca sollevazione contadina, prese il potere e proclamò la Repubblica Popolare il 1°ottobre del 1949. Il proletariato cinese, sterminato dalla controrivoluzione e dall’invasione giapponese, e diluito nell’infinito mare contadino della Cina, non ebbe mai un ruolo da protagonista nel processo rivoluzionario, dominato invece dalle masse contadine.
Tuttavia, le necessità stesse della rivoluzione cinese imposero al PCC di andare su un terreno più avanzato della sola espropriazione dei latifondisti e della riforma agraria, espropriando il capitale e iniziando a pianificare l’economia. Ma il socialismo non consiste in un certo numero di nazionalizzazioni. Il socialismo esige il ruolo attivo, cosciente, della classe operaia e non di un suo surrogato burocratico.
Intanto, l’esperienza della Rivoluzione cubana è stata il segno di una rivoluzione sociale senza precedenti in America Latina, con la particolarità che il ruolo guida della classe operaia è sostituito dalla classe media radicalizzata. Così, la Rivoluzione cubana entra in un confronto diretto con le strutture burocratiche del movimento operaio internazionale, in particolare con i partiti stalinisti. Il processo storico di transizione che si sviluppa assume le caratteristiche di un regime politico che espropria la borghesia a partire da un movimento di indipendenza nazionale, senza l’orizzonte storico del governo della classe operaia, né la rivoluzione proletaria mondiale.
La sconfitta del 1961 dell’invasione mercenaria organizzata dal governo degli Stati Uniti segna il punto più alto del processo rivoluzionario, dove più di un milione di cubani sono stati mobilitati per prendere le armi. Ma ciò che emerge da quell’exploit non è un potere operaio, ma un governo bonapartista come unico arbitro della situazione politica. Questo è importante perché per parlare di rivoluzione socialista e di Stato operaio, il potere politico deve essere, in linea di principio, nelle mani della classe operaia. Non basta, quindi, che il governo svolga compiti propri di un governo operaio, perché essi possono eccezionalmente coincidere – in situazioni estreme – con quelli della piccola borghesia rivoluzionaria che lotta per l’autonomia nazionale in un Paese oppresso. In questo modo, non si può ignorare il problema soggettivo del potere. In particolare, perché la tesi di Cuba come Stato operaio ha portato all’idea che il proletariato può essere sostituito come direzione storica della rivoluzione socialista.
In generale, la Rivoluzione cubana ha aperto una transizione storica nuova in America Latina (che era stata anticipata dalla Rivoluzione boliviana nel 1952). Tuttavia, non ha istituito un governo operaio o uno Stato operaio o una dittatura proletaria, ma ha costruito un ponte in quella direzione per la classe operaia mondiale. A sua volta, il bonapartismo si è instaurato in modo contraddittorio come protettore della rivoluzione e come un enorme ostacolo. Anche se la rivoluzione cubana ha portato molto lontano la piccola borghesia, non ci sarà una rivoluzione socialista se non sotto la guida politica della classe operaia.
Nella guerra di classe aperta, in opposizione al velato sostegno alle burocrazie restauratrici, recuperiamo in senso positivo la posizione fondamentale del marxismo: il socialismo è la creazione politica del proletariato internazionale.
La ricostruzione di una direzione rivoluzionaria del proletariato mondiale necessita di un bilancio politico del novecento che faccia i conti in primo luogo con lo stalinismo.
[1] http://redmed.org/article/forward-international-red-may-day-struggle-our-lives-solidarity-healthcare-workers-and-all
[2] https://www.forbes.com/china-billionaires/list/
[3] Trai i primi 10 miliardari al mondo del settore della sanità, 5 sono cinesi, 4 dei quali occupano i primi 4 posti della classifica. https://www.forbes.it/2020/04/09/effetto-coronavirus-i-primi-4-miliardari-nel-settore-sanitario-sono-cinesi-classifica-forbes/
[4] Secondo la società di consulenza immobiliare Knight Frank, il Vietnam ha 200 milionari con più di 30 milioni di dollari. I 210 vietnamiti più ricchi possiedono ricchezze tali da far poter far uscire 3.2 milioni di persone dalla povertà https://content.knightfrank.com/research/83/documents/en/the-wealth-report-2017-4482.pdf
[5] Public Health at the Crossroads: Achievements and Prospects, Robert Beaglehole, Ruth Bonita
[6] Lessons from the East — China’s Rapidly Evolving Health Care System, David Blumenthal, M.D., M.P.P., and William Hsiao, Ph.D.
[7] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6124148/
[8] John McConnell, Barefoot no more, in The Lancet, vol. 341, n. 8855, 1993-05, pp. 1275
[9] https://ilmanifesto.it/crisi-riforma-e-consolidamento-della-sanita-in-cina/
[10] Privatization and Its Discontents — The Evolving Chinese Health Care System, David Blumenthal, M.D., M.P.P., and William Hsiao, Ph.D.
[11] Il 3 febbraio il ministero degli Esteri cinese chiedeva “con urgenza” mascherine, tute e occhiali protettivi. I primi paesi ad inviare aiuti sono stati Corea del Sud, Giappone, Kazakistan e Ungheria. Il 15 febbraio il ministero degli Affari esteri d’Italia, ha caricato su un volo dell’Onu partito da Brindisi (Puglia) 2 tonnellate di materiale sanitario e dispositivi di protezione individuale. https://www.ansa.it/puglia/notizie/2020/02/15/coronavirusaiuti-sanitarivolo-brindisi_053c618e-88c2-4298-9167-a867b756abed.html
[12] Li Wenliang, medico di Wuhan, fu tra i primi ad avvisare, in un gruppo di WeChat in merito alla pericolosità di questo nuovo tipo di polmonite simile alla SARS. Fu portato in una stazione di polizia, interrogato e ammonito. Tornò al lavoro, si ammalò e mori il 7 febbraio
[13] https://ilmanifesto.it/covid-codici-salute-e-crediti-sociali-cosa-ci-racconta-la-cina-del-nostro-futuro/
[14] https://tg24.sky.it/tecnologia/2020/02/25/coronavirus-cina-twitter-wechat.html
[15] https://ilmanifesto.it/dai-medici-scalzi-alla-diatriba-tra-medicina-tradizionale-e-occidentale/
[16] https://www.caixinglobal.com/2020-02-18/editorial-coronavirus-epidemic-poses-test-for-rule-of-law-101516581.html
[17] Il cinese Qin Yinglin è l’allevatore di suini più ricco del mondo. Si è classificato al 43° posto dell’annuale classifica di Forbes e ha un patrimonio netto di $ 18,5 miliardi –14,2 miliardi di $ più rispetto al 2019, dopo che le azioni dei suoi Muyuan Foods quotate a Shenzhen sono quasi triplicate mentre sono aumentati i prezzi a seguito dell’influenza suina africana che ha ridotto l’offerta di suini. Nella classifica di Forbes risulta essere il miliardario col maggior guadagno in termini di dollari
[18] https://www.theguardian.com/business/2019/nov/23/china-pigs-african-swine-fever-pork-shortage-inflation
[19] http://www.fao.org/poultry-production-products/production/en/
[20] http://redmed.org/article/coronavirus-pandemic-what-difference-socialism-would-make
[21] I ricercatori del programma Predict hanno identificato 900 nuovi virus legati all’estensione delle attività umane, inclusi ceppi di coronavirus comparabili alla SARS e prima sconosciuti. “What we’ve found”, One Health Institute http://ohi.sf.ucdavis.edu
[22] A World at Risk. Annual report on global preparedness for health emergencies. Global Preparedness Monitoring Board. September 2019 https://apps.who.int/gpmb/assets/annual_report/GPMB_annualreport_2019.pdf
[23] “La cola de mi barrio” https://jovencuba.com/2020/04/27/cola-barrio/
[24] Donald Trump ha emanato un divieto per i turisti americani di soggiornare negli alberghi e di mangiare nei ristoranti gestiti dall’esercito cubano, nonché un avvertimento a non recarsi a Cuba a causa del pericolo di attacchi sonori
[25] Nel caso del Brasile, Bolsonaro ha bloccato la prosecuzione del contratto con Cuba “Más médicos” portando ad una perdita di 400 milioni di dollari all’anno, simile al valore delle esportazioni di nichel o zucchero nel 2017.
[26] Lev Trotsky, La Rivoluzione Tradita, 1936