Le false alternative “di movimento” e la necessità del partito rivoluzionario
di NI e RdB
La salute della democrazia borghese si misura nella possibilità delle classi dominanti di garantire condizioni sociali accettabili ad un’ampia parte della popolazione, per mantenere la propria egemonia e il controllo sulla società. Pertanto, il precipitare della crisi economica mondiale e la crisi del sistema neoliberista, togliendo iniziativa strategica alla borghesia, hanno finito per accentuare inevitabilmente anche la crisi della democrazia occidentale, ovvero della sovrastruttura politico-istituzionale che, nei secoli scorsi, segnò il trionfo e la stabilizzazione al potere di quella classe.
Ma la gran parte della sinistra mondiale, anche quella che si professa radicale, di classe o rivoluzionaria, stenta a riconoscere questa verità elementare o addirittura la rifiuta … ancora una volta come non ricordare le seguenti parole di Trotsky: “Tutte le chiacchiere secondo cui le condizioni storiche non sarebbero ancora “mature” per il socialismo, non sono che il prodotto dell’ignoranza o di una deliberata mistificazione […] Tutto dipende dal proletariato, cioè fondamentalmente, dalla sua avanguardia rivoluzionaria. La crisi storica dell’umanità si riduce alla crisi della direzione rivoluzionaria” (Lev Trotsky, Programma di transizione). Mentre la sinistra erede dei vecchi partiti comunisti è finita per spostarsi sempre più a destra (si pensi al Partito Democratico in Italia), l’ “estrema sinistra”, cacciata via dai parlamenti o relegata a ruoli sempre più marginali, paga ora più che mai l’assenza di percezione dello spazio reale che intende occupare nello scenario politico attuale, con decenni di vuoto nell’elaborazione e faciloneria nell’analisi politica, o di semplice opportunismo; tutto ciò ha prodotto una sinistra che, arrancando ovunque, come soluzione alle proprie difficoltà va spesso a rimorchio del fenomeno di turno. Così ci ritroviamo casi come Syriza in Grecia o France Insoumise in Francia, o ancora Podemos nello Stato Spagnolo, movimenti nati in un contesto di ascesa delle lotte e del conflitto sociale e di disintegrazione dei partiti socialisti tradizionali, al cui interno si ritrova un po’ di tutto, da liberalprogressisti a pezzi della sinistra che si rivendica trotskista.
Da tempo, è forte a sinistra la fascinazione nei confronti dei “movimenti”, luogo di raggruppamento di un fantomatico “popolo della sinistra”, finendo per confluire in “partiti o raggruppamenti che siano espressione dei movimenti”. Noi non assumiamo un atteggiamento politico settario nei confronti dei movimenti spontanei, a cui invece va offerta la massima partecipazione da parte dei rivoluzionari. Ma ciò va fatto all’infuori di ogni loro, spesso opportunista, santificazione, e cioè con la consapevolezza che essi, non superando la propria “coscienza spontanea”, restano sul terreno della conciliazione e dell’integrazione con il sistema capitalistico. I leninisti intervengono nei movimenti di massa con la propria piattaforma rivoluzionaria (non abbassando le proprie coscienze al loro livello) come tassello nella costruzione dell’unica organizzazione che può realmente intervenire nei processi di decomposizione del capitalismo per “cambiare le cose”, il partito rivoluzionario.
Ciò che a sinistra, anche nei famigerati movimenti, non viene mai messo in discussione è il potere stesso della borghesia, entrando nel tunnel di processi “democratizzanti” (cioè di adattamento al regime democratico-borghese) che finiscono per far capitalizzare il loro consenso a favore delle classi dominanti, proprio mentre la crisi conduce la borghesia in un vicolo cieco. Prendiamo due esempi di percorsi a sinistra, uno, le Sardine in Italia, fieramente “democratico” e ormai già pienamente integrato e disciplinato al partito del grande capitale (il PD), l’altro, Podemos nello Stato spagnolo, “democratizzante” e recentemente confluito nella maggioranza di governo con il Partito Socialista (PSOE), i quali partono da storie, posizioni e contesti molto diversi ma condividono la stessa sorte finale, quella di stampella alle forze politiche costituzionali della sinistra.
Le Sardine sono riuscite a riempire le piazze di tutto lo stivale da nord a sud. Una partecipazione così grande è una reazione alla crisi “di sistema”, (denunciata dalle Sardine come banale degenerazione del linguaggio del dibattito politico), e al vuoto di rappresentanza che ne scaturisce. Provenienti dalla tradizione della sinistra democratica (per loro ammissione il politico di riferimento a cui guardano con nostalgia è Enrico Berlinguer), le Sardine rappresentano una delle eredità lasciate dalla storia del PCI: quell’eredità costituzionalista, aperta al compromesso con la borghesia e fiduciosa nella democrazia e nelle sue istituzioni.
Nelle rivendicazioni portate in piazza dalle Sardine a Roma il 14 dicembre, nella loro adunata nazionale, vive forte il desiderio della pace sociale e di una classe politica competente e “responsabile” in grado di amministrare il Paese seguendo le regole istituzionali, a cui affidarsi ciecamente nelle scelte “tecniche”, che non scada nel linguaggio dell’odio come fa Salvini. Sono nate, non a caso, in occasione delle elezioni regionali in Emilia Romagna, per fare una campagna di opposizione a quella di Salvini, con l’unico risultato concreto e tangibile di un rafforzamento della campagna a favore del voto utile per il candidato (ex-renziano) del PD, Bonaccini. Non si può ancora dire con certezza come evolverà il loro percorso, se nella fondazione di un nuovo partito del centrosinistra o in una base giovanile e movimentista legata al PD, ma tutte le premesse indicano che certamente non potranno fare a meno di occupare uno spazio politico sovrapponibile a quello del PD. Il movimento delle Sardine ha le sue radici in un settore della piccola borghesia urbana. Non neghiamo la necessità di intervenire nei confronti di quel settore, ma rivendichiamo con forza che questo compito, di egemonia, spetti alla classe operaia o almeno ad un suo settore significativo, e non ad una sinistra che non sa costruire nulla proprio nella classe operaia.
Già terminata è invece la parabola della spagnola Podemos. Il partito nato dal grande movimento degli Indignados, che nel 2011 paralizzò la Spagna e catalizzò l’attenzione di tutta Europa con le occupazioni di piazza e la lotta contro il governo del PSOE, entra a far parte del nuovo governo borghese della Spagna imperialista e post-franchista… proprio con il PSOE. Un voltafaccia terribilmente significativo, perché Podemos ha incarnato negli ultimi anni il falso mito del partito-movimento, tra esaltazione e scimmiottamenti (si veda Potere al Popolo in Italia) di tanta parte della sinistra italiana. Questo voltafaccia non è una svolta improvvisa, viene anzi da molto lontano, dalla sua stessa natura piccolo-borghese. Dal movimento degli Indignados è nato un partito non radicato nella classe lavoratrice, con il rifiuto costante del suo gruppo dirigente (che esiste ed è ben burocratizzato) di costruire un partito “rivoluzionario” (che nella società capitalista deve per forza essere un partito operaio) ma semplicemente una realtà “antagonista”. E una organizzazione non rivoluzionaria ma antagonista, di “movimento”, non può che sfaldarsi o essere fagocitata all’interno del quadro politico borghese. Condividiamo ciò che scrive la nostra organizzazione sorella nello Stato spagnolo, il Grupo de Indipendencia Obrera, in merito al fatto che “la sinistra che abbandona tutti i confini della classe si diluisce nella democrazia parlamentare e si affida a questo diritto per giustificare il proprio adattamento alla destra e sostenere gli sbocchi in difesa della “democrazia”, con tagli sociali e repressione, propone fronti democratici, fronti popolari, con partiti borghesi, per il salvataggio di Stati in crisi irreversibile. Si pone come l’ultima barriera per la conservazione del capitalismo in crisi terminale. Mentre le lotte stanno aumentando, in una crisi di leadership nell’UE, questa sinistra non propone la lotta contro questa organizzazione imperialista, ma si sforza piuttosto di preservarla e, con l’argomento della sua “democratizzazione”, viene integrata nei governi capitalisti e nei loro piani contro la classe operaia, nell’oppressione dei popoli e nelle guerre imperialiste […]”.
Le molteplici rivolte popolari e i venti di guerra che hanno scosso il mondo negli ultimi mesi ci indicano soltanto due vie d’uscita da questa fase storica: la prima da destra, nelle mani della borghesia, è quella di una guerra mondiale, la seconda da sinistra, nelle mani delle classi lavoratrici, è la rivoluzione socialista. Qualsiasi soluzione o percorso che veda un’alternativa al movimento operaio come soggetto storico protagonista e alla creazione di un partito rivoluzionario continuerà a lasciare nelle mani della borghesia il destino del pianeta e dell’umanità e quindi a lavorare per la prima soluzione.