Breve storia dell’estrema unzione del 7 dicembre.
di DT e NI
L’ “assemblea nazionale unitaria delle sinistre di opposizione” che si è tenuta il 7 dicembre a Roma è stata probabilmente la tappa finale della sinistra italiana. Al di là dei proclami di “indiscutibile successo” (ma non dovevano lasciarsi alle spalle l’autoproclamazione?), un crogiuolo di partitini, tra i quali alcuni che hanno partecipato a governi imperialisti (Prc e Pci, ex Pdci), alcuni centristi e democratizzanti (Pcl, SA) e alcuni addirittura non di sinistra (Democrazia Atea) ha dato vita (sarebbe il caso di dire morte) a un’assemblea nella quale l’unica cosa che ha trionfato è stata l’assenza del dibattito e soprattutto, la mancanza totale di una riflessione sulla crisi capitalista e sulle conseguenze che tale crisi ha avuto, ha e avrà sul regime politico. Il modo di produzione capitalista vive una crisi terminale (inferiore solo a quella della sinistra) e si dibatte violentemente e inutilmente nel cercare di superarla (per approfondire clicca qui). La guerra economica ne è la sua manifestazione, un gradino prima di un conflitto militare su scala mondiale (a proposito della guerra commerciale clicca qui). Il suo carattere distintivo è la sua naturale tendenza alla catastrofe. Per la sinistra italiana la questione semplicemente non esiste. Al di là delle diverse provenienze politiche, ciò che unisce tutti i partecipanti a quell’assemblea è il silenzio totale sulla catastrofe capitalista e pertanto, inevitabilmente, un’analisi impressionista e antimarxista della società e della politica italiana (e mondiale), con il terrore dell’arrivo delle destre e l’assoluta cecità nei confronti della grande ondata rivoluzionaria che a partire dall’America Latina e dal Medioriente, investirà tutto il mondo.
Nell’intervento introduttivo Ferrando afferma che “la destra sta arrivando, purtroppo, con un effetto a valanga… proprio a ragione, ancora una volta, della compromissione della sinistra politica e sindacale con un governo padronale” in direzione del consolidamento di un “blocco sociale reazionario che minacci i diritti e le conquiste democratiche”. Al lupo, al lupo. Ciò che non si segnala né nell’intervento di Ferrando né in nessun altro è che l’arrivo delle destre al potere non può risolvere nessun problema posto dalla crisi mondiale e pertanto avrebbe solo un carattere temporaneo, episodico, e addirittura di accelerazione della crisi di regime. La destra sovranista non ha alcuna possibilità di consolidarsi al potere. Il pantano in cui sono finiti Trump e Bolsonaro (e prima di loro Mauricio Macri in Argentina) ne è la più limpida testimonianza (a proposito degli sviluppi del bolsonarismo vedi qui). La borghesia, a livello mondiale, è in una palude, ha perso l’iniziativa politica e questa, potenzialmente, è nelle mani della sinistra, a patto, però, che la sinistra abbia una vocazione di potere e concentri tutta la sua attività in vista e in prospettiva della lotta per il governo operaio.
L’incomprensione della fase storica in cui viviamo e la necessità di tenere insieme le organizzazioni più diverse dà vita alla confusione sulle campagne proposte e le parole d’ordine che dovrebbero animare l’iniziativa unitaria. L’unità d’azione delle organizzazioni partecipanti all’assemblea del 7 dicembre dovrebbe prendere forma (secondo gli organizzatori) in un coordinamento di assemblee sparse per i territori e nello sviluppo di alcune campagne che hanno come rivendicazioni principali la riduzione dell’orario di lavoro, la nazionalizzazione delle aziende a partire da quelle licenziano, inquinano e delocalizzano (non è mai stato specificato se sotto il controllo dei lavoratori. Da parte di chi dovrebbero essere intraprese queste nazionalizzazioni? Dello stato borghese o di un governo operaio?) ed infine la cancellazione dei decreti sicurezza, della Fornero, la rottura dell’Italia con la NATO e il ritiro delle truppe italiane dai veri contingenti sparsi per il mondo.
Altri interventi provenienti dalle realtà più variegate hanno esposto i propri punti di vista senza però entrare mai nel merito di un’analisi più generale della crisi economica, politica e della crisi della sinistra. Cremaschi (PAP) individua la colpa principale della scomparsa della sinistra radicale nell’appoggio ai governi Prodi, un’autoassoluzione di fatto di tutte le posizioni assunte dalla sinistra extraparlamentare dal 2008 a oggi, a partire dall’elettoralismo compulsivo e dalla negazione a costruire una campagna di agitazione nel movimento operaio, che ha spianato la strada a M5S e Lega. Si è fatto spesso riferimento al liberismo come male principale di questi tempi senza rendersi conto che il liberismo è colpito e affondato dalla guerra commerciale, con qualche appiglio nostalgico alla prima repubblica e alla perdita della sovranità nazionale per colpa dell’Unione Europea (in maniera più diretta questa opinione è stata portata da Risorgimento Socialista, ma elementi simili rientravano anche in altri interventi). Non sono mancati neanche gli elogi a Corbyn e alla sua campagna elettorale, né più né meno che una campagna socialdemocratica classica, terminata nel disastro della scorsa settimana. Sono state più volte avanzate critiche e attacchi ai vertici sindacali, con la conseguente necessità di una lotta alle burocrazie e di un’unificazione delle lotte anche tra sindacati diversi, senza mai entrare nel merito di una concreta strategia efficace per perseguire questo scopo, che inevitabilmente entrerebbe in conflitto con le posizioni sindacali assunte in questi anni da tutte le forze in gioco. L’auspicabile unificazione delle lotte, infatti, tra militanti combattivi dei sindacati confederali e dei sindacati di base potrebbe significare già essa stessa un esempio di lotta ai vertici sindacali, ma è stata finora evitata più volte come la peste, così come anche qualunque appello ad uno sciopero generale prolungato sull’esempio della classe operaia francese (sul rapporto tra sinistra e crisi vedi qui).
Ovviamente come avviene in simili assemblee, e come dicevamo all’inizio, non c’è posto per un reale dibattito e quando vengono a mancare un’analisi solida ed anche delle rivendicazioni iniziali fondamentali e sufficienti su cui intraprendere un’iniziativa politica, si resta su una genericità necessaria per accontentare tutti, ma che di per sé è già un compromesso completamente inefficace per porsi come reale alternativa. Il programma minimo che viene fuori dalla proclamazione di queste campagne è monco, anche solo come un estetico attacco al liberismo. Ci si sarebbe potuto aspettare, per esempio, tra i vari punti quanto meno la cancellazione del Jobs Act e di tutte le leggi del precariato, oppure il ripristino della scala mobile.
Ciò che secondo noi è fondamentale, per chi vuole costruire una sinistra rivoluzionaria, è porre al centro dell’iniziativa politica e in ogni lotta il tema della necessità della lotta per il governo operaio (per approfondire le nostre posizioni vedi qui). In questo caso non ci troviamo di fronte ad un programma di lotta per un governo dei lavoratori e, di conseguenza, qualsiasi rivendicazione, come la nazionalizzazione o l’uscita dalla NATO, se rimane orfana della questione del potere, resta un errore grave nonché un’ennesima illusione riformista. L’unico sbocco possibile, al di là di tutte le smentite, potrebbe concretizzarsi solamente nell’ennesimo carrozzone elettorale fallimentare (l’ultima esperienza di Potere al Popolo insegna). L’unico obbiettivo che, invece, risalta agli occhi sembra essere quello di voler ridonare un po’ di vivacità e di illusione di movimento a delle forze già ben avviate sul viale del tramonto, il cui terreno politico reale che mirano ad occupare è stato cancellato totalmente dagli sviluppi della crisi capitalistica degli ultimi decenni.
In conclusione crediamo che questo percorso nasca morto, portandosi dietro tutti gli errori commessi dalle sinistre in questi anni, che le hanno relegate ovunque a ruoli marginali, impotenti di poter incidere anche minimamente sulla realtà e che ne stanno decretando la scomparsa dal panorama politico.
Secondo me le critiche poste all’assemblea sono giuste Ciò, però, per cui bisogna mobilitarsi e fare agitazione nella classe, non è un governo operaio, bensì la dittatura del proletariato nel significato classico cioè uno Stato che nel suo dispiegarsi diventi organizzatore della capacità di produrre solo il necessario perdendo il ruolo di gestore del potere politico.
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