di NI
A metà ottobre i metalmeccanici italiani sono stati chiamati al voto dai sindacati confederali, per esprimersi attraverso un referendum sulla piattaforma di rinnovo del contratto nazionale relativo alla categoria, in scadenza il prossimo 31 dicembre. Questa è la prima piattaforma unitaria presentata dal 2006 ad oggi, in quanto la FIOM negli ultimi anni non aveva mai realizzato un percorso simile con FIM e UILM, nonostante la presenza finale della firma di Landini nell’ultimo catastrofico contratto del 2016 (firma che, ricordiamolo, è valsa il nulla osta per la scalata in CGIL dell’ex segretario della FIOM). Hanno votato 360mila lavoratori e la piattaforma su cui si sta sviluppando la trattativa con Federmeccanica-Assistal è stata accettata con circa il 96% dei voti favorevoli. I segretari hanno ostentato orgogliosamente la democraticità del percorso, ma al di là del fatto che la piattaforma sia stata votata solo da un quinto di metalmeccanici (360mila su 1,7 milioni), questa è stata decisa dalle burocrazie e sviluppata in un dibattito a cui i lavoratori, o almeno la maggior parte di loro, non ha avuto accesso. Questi ultimi hanno solo potuto scegliere se accettare la piattaforma, sponsorizzata dalle RSU nelle assemblee, oppure respingerla senza essere messi di fronte ad alternative.
Lo stato dei metalmeccanici in Italia dopo 10 anni di crisi
In 10 anni il settore in Italia ha perso circa 300mila lavoratori, in Europa solo la Spagna ha sofferto la crisi in maniera simile. Ovviamente non se ne vede ancora la fine e gli ultimi dati lo confermano: nel 2018 si è registrato un calo della produzione del 5% in tutto il settore, con un picco massimo nel settore auto del 19% che metterebbe a rischio circa altri 180mila posti.
Tuttavia anche in questi anni di crisi i profitti dei padroni sono stati salvaguardati. Dando un’occhiata ai dati del 2017, per aiutare le imprese gli investimenti agevolati dall’iperammortamento sono stati di 10 miliardi ed hanno riguardato per un 80% il settore metalmeccanico. Di questi 10 miliardi all’incirca 6 sono provenuti da risorse pubbliche, liquidità quindi sottratte agli stessi lavoratori, che si vanno ad aggiungere al debito pagato in questi anni attraverso cassa integrazione, licenziamenti e contratti di solidarietà. La crescita del valore aggiunto del 2017 si è assestata sui buoni livelli del 2007, un anno prima della crisi. Se aggiungiamo che i salari sono fermi dal decennio scorso, ne possiamo convenire che non ci sia stata alcuna redistribuzione dei profitti.
Dai dati raccolti dalla FIOM nel 2014 risulta che rispetto alla media europea in Italia si lavora di più e si guadagna di meno. Qui un metalmeccanico guadagna 18 euro lorde all’ora lavorando 1660 ore all’anno, in Germania invece, ad esempio, ne guadagna 31 lavorandone 1500.
Nelle tre morti quotidiane sul lavoro, dato in crescita negli ultimi anni in Italia, anche i metalmeccanici pagano costantemente il loro tributo di sangue. Ogni settimana le notizie di operai morti riempiono le pagine dei giornali.
Quindi, tra le rivendicazioni che i sindacati dovrebbero portare avanti, i temi dell’aumento di salario e della sicurezza, strettamente connessa all’orario e all’intensità del lavoro, rappresentano una priorità impellente. Ma le lotte unitarie sono praticamente ferme, gli scioperi generali del settore sono stati sporadici negli ultimi anni, mentre le lotte indipendenti dai confederali sono ancora poco partecipate. Questo sopore sta contribuendo ad intorpidire ulteriormente le coscienze già indebolite dalla bassezza dell’attuale dibattito politico/sindacale, a favorire il continuo allontanamento dei giovani dal sindacato e dall’interesse per le loro condizioni collettive di lavoro, rischiando di far accettare acriticamente come sufficiente qualsiasi piccola concessione gli venga sventolata davanti.
Sia la parte più cosciente del movimento operaio sia quella più sopita rischiano di essere ostaggio di dinamiche sindacali che, per garantire la sopravvivenza degli apparati, prediligono metodi come concertazione e contrattazione senza lotte, referendum completamente innocui per il capitale e inutili appelli ai governi per diminuire tassazioni sul lavoro e incentivare investimenti, nonostante la crisi di sovrapproduzione che viviamo da più di dieci anni (la cui ripercussione nel settore è confermata tra l’altro dai dati forniteci più volte dagli stessi sindacati).
È in un contesto simile che una piattaforma con qualche punto di forza ma genericamente debole e capitolarda è stata approvata dal 96% dei votanti.
I limiti della piattaforma
A distanza di 3 anni da uno dei peggiori CCNL della storia per la categoria, la piattaforma conferma tutti i difetti di quest’ultimo. Fanno eccezione le richieste di aumento del salario minimo dell’8% e dell’elemento perequativo a 700 euro da 485 (presente in busta paga per chi lavora in aziende prive di contrattazione di secondo livello riguardante il premio di risultato). La prima, presentata più volte nelle fabbriche come fin troppo coraggiosa dalle RSU, è stata il principale elemento di forza nella propaganda per convincere i lavoratori ad appoggiare la piattaforma, in pratica la merce di scambio per metterli a tacere. Per leggere tale mossa come audace bisognerebbe dimenticarsi di non aver ricevuto aumenti sostanziali di stipendio per più di dieci anni, neanche quelli necessari a coprire il rincaro del costo della vita, e dimenticarsi altresì del contributo che i metalmeccanici hanno versato per pagare la crisi. Presentare tale richiesta di aumento come audace più che come dovuta è vergognoso, oltre ad essere un elemento che mal cela la consapevolezza dello scarso potere di contrattazione, sempre debole quando non è supportato da mobilitazioni. È confermato, inoltre, dal primo incontro del 5 novembre, il rischio molto concreto che questo punto finisca per essere notevolmente ridimensionato, se non sacrificato, perché giudicato da Federmeccanica-Assistal “una richiesta considerata «insostenibile» dalle imprese, secondo cui il settore è in sostanziale recessione per la debolezza della domanda interna e la frenata dell’export”.
Tra i punti estremamente negativi della piattaforma c’è poi la proposta di riconfermare e aumentare a 250 euro i Flexible Benefits, buoni annuali esenti dai contributi e spendibili su Amazon, Zalando ed altri punti vendita simili, utilizzati nell’attuale contratto per coprire l’inettitudine di non riuscire a portare avanti una rivendicazione concreta di aumenti di stipendio.
È confermato l’obbligo di partecipazione alla convenzione sanitaria Métasalute, la quale destina una parte delle casse dei metalmeccanici (160 euro l’anno per lavoratore) a riempire quelle della sanità privata.
Al di là di timide proposte sulla conciliazione vita-lavoro, abbandonate alla trattativa diretta con il padrone, è totalmente assente una proposta concreta sulla riduzione dell’orario lavorativo. Le 40 ore settimanali sono presenti sul contratto dall’ormai lontano 1970, quando grazie alla dura lotta operaia di quegli anni si ottennero riduzione dell’orario e aumento salariale. Da allora il progresso tecnico e gli alti tassi di disoccupazione avrebbero dovuto condurre ad una diminuzione dell’orario di lavoro (a parità di salario ovviamente), ma dei benefici tecnologici e dell’enorme esercito di riserva costituito dai disoccupati ne hanno goduto solo padroni e speculatori, i quali continuano ad incassare i propri profitti sfruttando tempo, sangue e sudore dei lavoratori.
Al contrario, è stato portato in trattativa l’implemento della “Banca del Tempo”, meccanismo con cui ferie aggiuntive e ore di straordinario vengono dirottate nelle pensioni, come calcolo di tempo per anticiparle. In questo caso siamo di fronte, da un lato all’inadeguatezza di non riuscire a organizzare una lotta significativa per l’abolizione della riforma Fornero, dall’altro all’ipocrisia di gridare allo scandalo per le morti sul lavoro e poi incentivare materialmente e psicologicamente i metalmeccanici più anziani a lavorare più ore per anticipare la pensione, a scapito della loro sicurezza.
È presente addirittura un punto per l’individuazione di politiche di rafforzamento e condivisione dei percorsi con le RSU per l’alternanza scuola lavoro, strumento a cui ci si dovrebbe solo opporre senza indugi, in quanto si è rivelato, come era facilmente prevedibile, uno strumento assolutamente non formativo se non come preparazione allo sfruttamento.
Questa piattaforma eredita tutti i limiti del sindacato in un’epoca di crisi del capitalismo, un sindacato che cerca di mediare per trovare soluzioni ‘vantaggiose’ in armonia con un sistema che nulla ha più da offrire. I prossimi incontri di trattativa sono fissati per il 27 novembre e il 10 dicembre e il rischio di trovarci di fronte ad un CCNL del tutto simile alla carta igienica firmata nel 2016 è molto alto. Qualsiasi cosa ne vien fuori, qualsiasi sia il risultato finale, le trattative con i padroni non sono mai vantaggiose per i lavoratori.
L’epoca delle concertazioni è finita! L’unica alternativa è la LOTTA!