IL CAPITALE NON HA PIÙ NULLA DA OFFRIRE, È NECESSARIO UN INTERVENTO RIVOLUZIONARIO NELLA CLASSE OPERAIA!
di DdA e RdB
Il 29 settembre a Napoli si è svolta un’assemblea, organizzata dai compagni del sindacato SI Cobas, che aveva come scopo la proposta di costruzione di un “fronte anticapitalista”. In quell’occasione, a cui hanno aderito diverse organizzazioni politiche della sinistra di classe, movimenti sociali e studenteschi ma soprattutto lavoratori e lavoratrici, sono state lanciate due date di mobilitazione: lo sciopero generale (del SI Cobas appunto ma anche di altre sigle del sindacalismo di base come SGB, CUB, USI) dello scorso 25 ottobre e una manifestazione anticapitalista e internazionalista di opposizione al governo italiano e ai governi della borghesia per il giorno successivo, 26 ottobre.
Appuntamenti che hanno visto una partecipazione lodevole di tanti lavoratori e lavoratrici, autoctoni e migranti, ma non certo sufficiente. Il percorso di avvicinamento alla mobilitazione del 26 ottobre ad esempio non ha visto il giusto coinvolgimento neanche delle stesse compagini che hanno partecipato all’assemblea organizzativa di settembre (figuriamoci allargare il perimetro). E i risultati si sono in visti in piazza, dove oltre al SI Cobas le realtà politiche e di movimento presenti al corteo si contavano sulla punta delle dita, per non parlare di lavoratori non iscritti al SI Cobas. Senza voler assumere il minimo atteggiamento pedagogico, riteniamo che le responsabilità siano da ricercare tanto in un comportamento autocentrato del SI Cobas (noi invece crediamo sia necessaria una lotta vera a qualsiasi burocrazia di qualsiasi sindacato che parta dal coinvolgimento dei militanti sindacali più combattivi indipendentemente dalla loro appartenenza all’interno di un fronte unico anticoncertativo e conflittuale) quanto nell’incapacità di strategia di intervento di buona parte della sinistra politica e sindacale.
Indipendentemente dai risultati ottenuti finora, la necessità di costruire un vero fronte unico di lotta (lasciamo stare il vago e spesso vuoto appellativo “anticapitalista”) è reale, ed è data soprattutto dalla nostra possibilità (e obbligo) di lottare contro la spaventosa crisi economica e sociale che ha colpito non solo l’Europa, e quindi l’Italia, ma che imperversa ormai da diversi anni in tutto il mondo (scatenando rivolte in ogni angolo del globo: Cile, Ecuador, Haiti Puerto Rico, Sudan, Iraq, Libano, Francia, Catalogna, Hong Kong, ecc…), e dalla palese incapacità dei governi borghesi di trovare qualsiasi risposta ad essa, se non con le varie misure di austerità (anch’esse, si sa, soluzione completamente inutile). L’attuale crisi economica, come sostengono anche i più onesti tra gli “economisti di regime”, non può far altro che aggravarsi, e quindi gravare sempre di più sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici.
In questo quadro di crisi globale l’Italia è diventata il “malato d’Europa” non solo per la profonda crisi industriale ma soprattutto perché ha un debito pubblico tra i più alti al mondo (superiore al 132% del PIL), con i vari governi intenti solo a mascherare da interventi contro la crisi le più becere politiche antioperaie (tra cui riforme del lavoro che ad esempio in Italia hanno visto l’abolizione dell’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori).
Purtroppo è storicamente provato che quando la classe operaia non riesce ad organizzarsi e a darsi degli obbiettivi comuni da raggiungere, affidandosi tra l’altro alla burocrazia sindacale, la borghesia al governo trova terreno fertile anche per mettere in atto le peggiori misure repressive contro le presenti e future mobilitazioni dei lavoratori, come accaduto in Italia con i due decreti approvati dal governo gialloverde, usando la sicurezza come specchietto per le allodole. Misure repressive che, invece, appunto, non sono altro che strumenti da affidare ai padroni non solo per poter negare il diritto di sciopero ma anche per reprimere quei lavoratori e quelle lavoratrici che nonostante tutto resistono alle minacce e combattono per riconquistare i propri diritti.
Il capitale però non ha più nulla da offrire ai lavoratori e alle lavoratrici (ragion per cui non esistono neanche le condizioni materiali per limitarsi a rivendicazioni economiche)!
In questa crisi della borghesia noi abbiamo quindi il dovere d’intervenire con una campagna agitatoria nel movimento operaio, e non reclamare “fronti anticapitalisti” costruiti sullo slogan. I governi della borghesia possono (e devono) essere sconfitti solo da una mobilitazione indipendente dei lavoratori e delle lavoratrici. È imprescindibile che i gruppi che vogliono costruire una sinistra di classe provino a lottare per un programma di rivendicazioni e parole d’ordine concrete da cui partire per la costruzione del tanto agognato fronte unico (“anticapitalista”). Prospettiva Operaia è pronta da subito ad impegnarsi in tale percorso, proponendo come proprio contributo le seguenti rivendicazioni che riteniamo centrali nel tentativo necessario di ricomporre l’unità dei lavoratori (precari, disoccupati, a tempo indeterminato):
– Salario minimo di 1500 euro netti e Salario sociale ai disoccupati di almeno 1000 euro netti;
– Riduzione della giornata e della settimana lavorativa a parità di salario, 6 ore al giorno e 30 ore alla settimana;
– Abolizione del Jobs Act e di tutte le leggi del precariato, trasformazione dei contratti precari in contratti a tempo pieno e indeterminato;
– Abolizione della legge Fornero e ritorno al sistema retributivo, ossia finanziato dalla fiscalità generale, con pensioni pari all’80% dell’ultimo salario e non inferiori a 1300 euro al mese;
– Sistema pensionistico con massimo 30 anni di lavoro o 57 anni di età, 55 per i lavori più usuranti;
– Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori delle aziende che licenziano e delle fabbriche che inquinano;
– No al pagamento del debito pubblico con Nazionalizzazione senza indennizzo di banche e assicurazioni e di tutto il sistema creditizio.