di DT
Il decreto-legge del 28 gennaio 2019, oltre al Reddito di Cittadinanza introduce un intervento sul sistema pensionistico noto come “Quota 100”, la cui attenta lettura smentisce categoricamente la propaganda, prima elettorale e poi di governo, secondo la quale sarebbe stata abolita la Riforma Fornero. Le roboanti affermazioni elettorali riguardo l’abolizione di quest’ultima, soprattutto da parte della Lega, si infrangono, come tutte le altre promesse, di fronte alla realtà di questo governo.
Quota 100…bugie
Si istituisce la possibilità di richiedere la pensione anticipata (dunque conservando l’impianto attuale che prevede 67 anni di età per la pensione ordinaria) per chi ha almeno 62 anni d’età e 38 anni di contributi versati. Il criterio che prevede i 38 anni di contributi è categorico, per cui chi ha 63 anni, dovrà comunque aspettare di avene 38 di contributi e andare così in pensione con quota 101, per chi ne ha 64 la quota sarà 102, per chi ne ha 65 sarà 103, e così via. Secondo l’Ufficio Parlamentare di Bilancio “Quota 100” riguarderà appena l’1,9% della popolazione di lavoratori che andrà in pensione nel 2019.
Per chi non ha almeno 62 anni d’età, e vuole fare richiesta per la pensione anticipata ordinaria, è richiesto che siano stati versati contributi per almeno 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Questo vuol dire che se un lavoratore ha 60 anni, con i 42 e 10 mesi richiesti, va in pensione con quota 102 e non 100.
I lavoratori del settore privato che avevano i requisiti al 31/12/2018 possono andare in pensione dal 1 aprile 2019. Quelli del settore pubblico devono aspettare agosto 2019 a patto che abbiano maturato i requisiti entro il 29/01/2019. Chi li matura dopo questa data dovrà aspettare 6 mesi per fare domanda e dare almeno 6 mesi di preavviso all’amministrazione di appartenenza, il che allunga di un altro anno l’attesa per il pensionamento “anticipato”.
I lavoratori che vanno in pensione con “Quota 100” vedono una decurtazione dell’assegno dovuta al fatto che, andando in pensione prima del previsto, il lavoratore versa meno contributi di quanto previsto dalla legge Fornero (che dunque resta in vigore) e di conseguenza il suo assegno pensionistico sarà minore. Tale decurtazione dipende dall’anticipo col quale si va in pensione. Secondo l’ex presidente dell’INPS Boeri, un lavoratore con uno stipendio di 40mila euro lordi annui – che ha usufruito del metodo retributivo fino al 2011 e dunque al 2018 ha solo 7 anni di contributi versati – se approfittasse di “Quota 100” vedrebbe un taglio approssimativo di circa 500 euro al mese al proprio assegno pensionistico (https://webtv.camera.it/evento/13114). L’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), a novembre 2018, sosteneva che “chi optasse per Quota 100 subirebbe una riduzione della pensione lorda […] da circa il 5% in caso di anticipo solo di un anno a oltre il 30% se l’anticipo è di oltre 4 anni” (http://www.upbilancio.it/audizione-sul-disegno-di-legge-di-bilancio-2019/).
Alla viglia della tormenta
Si stima che nel 2019 andranno in pensione circa 314mila persone e che questa uscita determini l’assunzione di 100mila giovani. Anche in questo caso non si potrebbe essere più lontani dalla realtà. In primo luogo, la quota dei pensionandi non è affatto certa. A fronte delle decurtazioni che abbiamo illustrato prima, in molti, magari con figli disoccupati o ancora in età da scuola o università, potrebbero decidere di continuare a lavorare fino a 67 anni e così al danno si aggiungerà la beffa di avere i requisiti per andare in pensione con “Quota 100” ma andare comunque in pensione con la “Fornero”. I 100mila giovani che si stima dovrebbero prendere il posto dei pensionandi sono calcolati sulla base di un tasso di sostituzione del 37% che chiaramente ha un valore puramente teorico poiché nessuno sa quanti di questi lavoratori le aziende decideranno di rimpiazzare. L’economia italiana è in piena recessione, con una crescita vicina allo zero. Secondo l’Istat, da quando si è insediato il governo si sono persi 200mila posti di lavoro. La ragione principale di “Quota 100” non consiste nel soddisfare una domanda dei lavoratori ma nel rispondere all’esigenza padronale di liberarsi di lavoratori anziani, spremuti come limoni, non più produttivi, inquadrati (e pagati) ai livelli contrattuali più alti. Soltanto una parte di questi lavoratori sarà sostituita da giovani e per di più inquadrati coi livelli contrattuali più bassi e con le “tutele crescenti” (ossia il furto di tutele) del Jobs Act, altra legge non abrogata dal governo “sovranista”. Questa farsa, per di più, ha un costo di circa 4,5 miliardi di euro che non vengono sottratti ai grandi patrimoni o al pagamento dell’interesse sul debito pubblico, ma al contrario sono presi in prestito dai “mercati” (dei quali i sovranisti dicevano di disinteressarsi o che addirittura volevano contrastare) tramite obbligazioni e titoli di stato, e ai quali il governo riconosce un tasso di interesse più altro che in precedenza (sia perché è finito il Quantitative Easing sia perché il rating italiano è stato degradato e lo Stato si ritrova nella condizione di finanziarsi in condizioni più sfavorevoli).
La necessità di un’alternativa della classe operaia
Non è vero che il sistema pensionistico rischia il collasso: al contrario le entrate sotto forma di contributi superano le uscite dovute alle pensioni erogate. La ragione delle tante riforme che dal 1993 ad oggi hanno investito il sistema pensionistico consiste né più né meno nella necessità da parte dei governi antioperai di razziare i contributi dei lavoratori per pagare un debito pubblico usuraio a quel manipolo di criminali sociali che sono i banchieri. Queste aggressioni alle pensioni (ossia una parte di salario redistribuita nel tempo, il salario “differito”) conosceranno un’accelerazione da parte dei sovranisti. Siamo alla vigilia di un prossimo collasso finanziario che colpirà in maniera particolarmente acuta l’Italia e che costringerà il governo gialloverde, o qualunque altro governo dopo di esso (come un probabile governo di destra a guida Salvini), a prendere misure nei confronti del sistema pensionistico ancora più violente delle precedenti. A questo quadro drammatico si aggiunge il problema di quei lavoratori che sono stati convinti a investire il proprio Tfr nei fondi pensione (e che colpiti dalla crisi non stanno versando i contributi) i quali corrono il serio rischio di veder fallire gli investimenti dei fondi e vedersi bruciare il proprio Tfr (altra frazione differita del salario).
La classe operaia necessita di una risposta che sia all’altezza dei problemi posti dalla crisi economica mondiale. Non si può aspettare che l’iniziativa sia presa dalla sinistra di governo e dai sindacati confederali che sono stati complici, diretti o indiretti, dello smantellamento del sistema pensionistico. Occorre che la parte più avanzata della classe operaia, e con essa la sinistra “di classe” che dice di difenderla, i delegati sindacali, il sindacalismo di base, diano vita ad una campagna unitaria per la sconfitta (vera) della Riforma Fornero e di tutte le riforme precedenti (Dini, Maroni, ecc.) che hanno picconato il sistema pensionistico. Una battaglia per recuperare quanto rubato dalle riforme pensionistiche degli ultimi 25 anni dovrebbe partire dalle seguenti rivendicazioni:
– Instaurazione di un sistema che preveda non più di 30 anni di lavoro o 57 anni di età, 55 per i lavori più usuranti;
– Abolizione della legge Fornero e ritorno al sistema retributivo, ossia finanziato dalla fiscalità generale, con pensioni pari all’80% dell’ultimo salario e in ogni caso non inferiori a 1300 euro al mese.
Queste misure devono essere finanziate con soluzioni anticapitaliste, che siano terreno sul quale comporre la battaglia della classe operaia (lavoratori e pensionati) con l’insieme delle rivendicazioni sociali:
– Nazionalizzazione delle banche, delle assicurazioni e dei fondi pensione, senza alcun indennizzo tranne che per i piccoli risparmiatori, e unificazione del sistema bancario in un’unica banca sotto il controllo operaio e popolare;
– Requisizione dei depositi bancari superiori al milione di euro per finanziare il sistema pensionistico e l’insieme della previdenza sociale.
Questa battaglia è più urgente che mai. Prospettiva Operaia mette le sue forze a disposizione di questa lotta e più in generale dell’uscita in senso anticapitalista dalla crisi.