di DdA, RdB
Il provvedimento bandierina del Movimento 5 Stelle, quello che gli ha procurato vagonate di voti, in particolar modo al sud Italia (stracolmo di disoccupati), alle ultime elezioni politiche (e quindi il punto programmatico che più di tutti lo ha condotto al governo), cioè il “reddito di cittadinanza”, ha preso finalmente forma in questa primavera pre-europee. La misura più volte annunciata ha ora una forma concreta, presentata tra entusiasmanti annunci pentastellati di “fine della povertà” in Italia e creazione di un “nuovo welfare nazionale”. Certo, tale forma è ben diversa da quella annunciata in campagna elettorale e negli anni che l’hanno preceduta, quando si parlava praticamente di reddito universale, non legato al lavoro, non ristretto a determinate finestre temporali, non disseminato di fosse da saltare per non perderne il diritto. Il provvedimento partorito dal governo gialloverde somiglia più ad un percorso ad ostacoli per ottenere l’elemosina di uno Stato etico e paternalista, che può poi diventare severo e punitivo quando si sgarra. Qualcuno lo ha giustamente definito “reddito di sudditanza”. Perché Il reddito di cittadinanza è una terrificante forma di regimentazione sociale dei poveri. Non è né una misura “anticiclica”, né una misura di “redistribuzione della ricchezza”. L’unica cosa che redistribuisce è l’elemosina istituzionalizzata. Vediamo nello specifico di cosa si tratta, andando oltre la propaganda di regime.
Possono beneficiare degli agognati 500 euro mensili di reddito, che possono aumentare fino a 780 nel caso di spese di affitto da sostenere per la propria abitazione, i nuclei familiari con valore ISEE (l’indicatore della situazione economica di questi ultimi) inferiore a 9.360 euro l’anno, non possidenti di patrimoni immobiliari, oltre la prima casa, di valore superiore a 30.000 euro e che non superino un reddito annuo di 6.000 euro (per il componente single, da incrementare, nel caso, per ogni componente aggiuntivo, fino a 10.000 euro). Il diritto decade se un componente del nucleo familiare ha acquistato un autoveicolo nei sei mesi precedenti la richiesta di reddito o se in generale si possiede un autoveicolo con cilindrata superiore a 1.600 cc, come pure se si possiede un motoveicolo con cilindrata superiore a 250 cc, acquistato nei due anni precedenti la richiesta. Ancora, il diritto decade se nel nucleo familiare è presente un componente che ha presentato nell’ultimo anno dimissioni volontarie da un precedente lavoro (siamo al controllo sulle scelte personali dei lavoratori con tanto di messa all’indice e punizione). Infine, per gli stranieri, oltre al permesso di soggiorno (esso stesso un percorso ad ostacoli nel nostro Paese a causa delle infami leggi sull’immigrazione), è necessaria la residenza in Italia per un minimo di 10 anni. Tra l’altro, a proposito degli stranieri, nel mercimonio di favori tra le due forze di governo, il M5S è stato costretto ad accettare un emendamento al “decretone” della razzista Lega, il quale vincola l’accesso alla presentazione della domanda per il reddito alla certificazione di reddito e patrimonio del nucleo familiare che sia rilasciata dallo Stato di provenienza, tradotta in italiano e legalizzata dall’Autorità consolare italiana. Se una volta superati tutti questi paletti si pensasse di aver acquisito un reddito che, per quanto misero, possa essere gestito in autonomia dal soggetto beneficiario ci si sbaglierebbe di grosso. Anche sull’utilizzo della cifra acquisita, caricata su una carta elettronica, infatti, regole su regole: la somma deve essere utilizzata esclusivamente per l’acquisto immediato di beni e servizi di base, non è possibile prelevare una cifra superiore a 100 euro al mese, l’intera somma deve essere spesa entro il mese successivo a quello dell’erogazione, l’eventuale cifra non spesa viene sottratta nelle mensilità future (fino ad un taglio del 20%).
Ma veniamo ora alle condizioni che riguardano i futuri impieghi lavorativi dei destinatari del Reddito di Cittadinanza (d’ora in poi RdC), che dovrebbero pervenire loro tramite offerte di lavoro selezionate da una nuova figura dei centri per l’impiego, una sorta di tutor di chi percepisce il reddito, elegantemente chiamata navigator. Alla base del rapporto tra lo Stato, i navigator e i destinatari del RdC c’è il cosiddetto “Patto per il lavoro”, per il quale chi beneficia del reddito deve obbligatoriamente accettare una delle tre offerte di lavoro (e l’attuale e futura domanda di lavoro non potrà che essere concentrata nei settori a bassa qualificazione e soprattutto sottopagati) che gli vengono sottoposte dal proprio navigator nei primi 18 mesi, la prima che gli viene offerta dal 19° mese in poi (sempre che dopo 18 mesi, all’inizio data limite, ne venga rinnovata l’erogazione). La prima offerta comprende un luogo di lavoro che rientri in una distanza fino a 100 Km dal luogo di residenza, la seconda offerta allarga le maglie della distanza casa-lavoro fino a 250 Km, la terza e l’eventuale quarta fino a comprendere tutto il territorio nazionale. Tutte le offerte di lavoro che prevedano un salario che parta da 858 euro mensili sono da ritenersi congrue e valide (insomma, c’è da arricchirsi!). I populisti di destra nei loro proclami ipocriti vorrebbero impedire la delocalizzazione delle aziende, ma poi delocalizzano i lavoratori e le famiglie povere. Nel meridione, dove il tasso di disoccupazione è quasi del 20%, le offerte di lavoro non abbondano di certo (auguri ai navigator) e, vista la recessione continua (le previsioni di crescita per l’economia italiana nel il 2019 sono dello 0,1-0,2%, quindi 0), sono destinate a diminuire sempre più. La richiesta del reddito di cittadinanza per un disoccupato del Sud implica, quindi, la probabile conclusione di esser costretti ad accettare una domanda di lavoro al Nord (limitatamente a quel che anche quest’ultimo può offrire in una tale situazione di crisi).
E deve essere chiaro: alla base c’è una visione autoritaria del governo nei confronti delle masse, basata tra l’altro su meccanismi di colpevolizzazione della povertà. In questo, i gialloverdi trovano una spalla perfetta nel PD, sempre pronto, con il “nuovo” Zingaretti come con il vecchio Renzi, a incentivare l’idea che i poveri devono essere forzati a lavorare altrimenti restano comodamente seduti sul divano, in uno stato di beata perenne vacanza. Come è evidente, la nostra critica al RdC va in direzione diametralmente opposta rispetto a quella borghese filopadronale delle destre e del PD.
Ad ogni modo, i beneficiari del provvedimento vengono, come si è visto, comunque mantenuti al limite della povertà assoluta, ma sono allo stesso tempo soggetti a tutta una serie di controlli ed obblighi (e a severe pene carcerarie in caso di dichiarazioni mendaci). Milioni di proletari tenuti al limite della soglia di povertà assoluta continueranno a rappresentare una riserva di mano d’opera da cui attingere a piene mani. Il reddito di cittadinanza viene ad essere lo specchietto per le allodole che consente la perpetuazione dello sfruttamento padronale.
Infatti il vero affare è come al solito per gli imprenditori. Le aziende che assumono i beneficiari del RdC godranno, infatti, di uno sgravio contributivo di importo pari al sussidio che sarebbe spettato al lavoratore in caso di mancato impiego. Il RdC si trasforma così in un vero e proprio regalo alle imprese, quando, in caso di assunzione, si trasferisce magicamente all’azienda come sgravio contributivo, fino al massimo delle 18 mensilità. In pratica, mentre per uscire dallo stato di disoccupazione il lavoratore è costretto ad accettare la precarietà salariale e contrattuale del Jobs Act renziano, l’impresa ottiene dallo Stato il finanziamento del suo salario.
Anche sul RdC il governo in carica si è rivelato quindi come un governo di cialtroni. Nei nostri precedenti articoli sulla nascita di questa maggioranza gialloverde avevamo dichiarato da subito che essa sarebbe presto incappata in tutte le sue contraddizioni interne, derivanti dalla sua composizione e dalla ridicola pretesa di rappresentare interessi di classe contrapposti, e in quelle condizionate da fattori esterni, sarebbe a dire la sconvolgente crisi economica mondiale del capitalismo. Le forze populiste e reazionarie attualmente al governo non hanno nessuna alternativa concreta da offrire alle masse proletarie né a quelle della piccola borghesia impoverita. Neanche la xenofobia messa in campo dalla Lega come distrattore delle masse dai loro reali problemi potrà sortire risultati ancora a lungo, visto che con l’odio per i migranti il patetico Salvini non riuscirà a riempire le tasche di chi vive in condizioni sempre più disastrose. Occorre quindi che la sinistra rivoluzionaria rilanci la questione del reddito in chiave socialista. Noi rivendichiamo un salario per tutti i disoccupati e le disoccupate, di qualunque nazionalità, senza alcuna contropartita lavorativa obbligatoria e interamente finanziato dalla tassazione dei grandi profitti e dei grandi patrimoni (e non dall’aumento del debito pubblico usuraio). E rivendichiamo, in parallelo, la riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore settimanali senza, invece, alcuna riduzione sui salari, misura fondamentale per una redistribuzione del lavoro che c’è e per evitare di ricorrere a qualsiasi elemosina di Stato.
2 pensieri su “Pagliacciata di cittadinanza a 5 Stelle. Salario garantito o regimentazione sociale?”