Dove va l’Unione Europea?

di Michele Amura

Le elezioni europee si stanno avvicinando, la vulgata comune le definisce come lo scontro definitivo tra europeisti e sovranisti, di sicuro saranno un banco di prova per i governi di alcuni paesi decisivi per le sorti della UE, Francia e Italia in primis. L’aspetto più curioso sarà la partecipazione del Regno Unito, un paese ostaggio da 3 anni della impasse politica più grande della storia contemporanea, arrivando all’assurdo che chi ha già votato per rompere con l’Unione Europea, voterà per la formazione del parlamento europeo e, indirettamente, per la commissione che metterà fine al Brexit.

Brexit: la regola non l’eccezione      

Quando si addita il Brexit alla xenofobia dei lavoratori inglesi si occulta il suo principale fattore: la crisi capitalista mondiale e le sue conseguenze nel Regno Unito. David Cameron indisse il referendum del Brexit per far fronte alla crisi dello stato britannico e della City di Londra; entrambi in difficoltà nel sostenere un serio indebitamento (7% di deficit pubblico e 755 miliardi di debiti a breve scadenza per le imprese inglesi). L’unica alternativa per far fronte a questa crisi era una austerità dei conti pubblici (non potendo ad esempio aumentare le entrate con maggiori tasse, azione dannosa per l’attività offshore della City) e una maggiore libertà di circolazione ed investimenti in Europa per il capitale inglese, in particolar modo per il capitale bancario e finanziario. Il referendum sul Brexit doveva servire come minaccia nei confronti della UE, che in un trattato del Febbraio del 2016 si era dimostrata ostile a dare concessioni su questo fronte a Cameron; e a quest’ultimo per acquisire credibilità politica con la quale promuovere tagli alla spesa sociale.

Quando lo strumento si è rivoltato contro il suo padrone e Cameron ha visto vincere il “Leave”, a causa del malessere sociale diffuso tra le classi più povere, che identificavano il mercato unico europeo come il responsabile della crescente disoccupazione, povertà dei salari e la precarietà della vita; il Regno Unito è entrato in un marasma politico che dura fino ad oggi. La borghesia, per lo meno nella sua parte largamente maggioritaria, è contraria all’uscita dell’Unione Europea. Il sistema bancario e finanziario vedrebbero colpiti i loro interessi economici perché il grosso dei capitali americani, russi e cinesi che oggi risiedono nella City per poi avere libertà d’ingresso nell’eurozona scapperebbero a Francoforte; l’industria che potrebbe essere favorita nelle esportazioni dalla svalutazione della sterlina, dovrebbe però rinunciare al libero scambio con un mercato di 500 milioni di europei e all’aumento del proprio indebitamento in valuta estera; il tutto produrrebbe secondo i calcoli di molti economisti una caduta del PIL del 8/10% in 3 anni, che sarebbero recuperati nei 5 anni successivi. Per non parlare degli aspetti geopolitici come la crisi del Regno Unito come “federazione”, la spinta rinvigorita dell’indipendentismo scozzese, la probabile riapertura del conflitto nordirlandese e il ruolo di Trump che vuole trasformare l’Inghilterra in un satellite americano. L’Inghilterra è passata dall’essere la nazione culla del capitalismo moderno ed impero incontrastato nel mondo, ad essere una “Grande Panama” che basa la propria ricchezza nell’intermediazione finanziaria e nelle attività offshore; la sua decadenza ha generato come necessità, e non scelta irrazionale, il Brexit; che a sua volta sta generando la disgregazione definitiva di questa “federazione” secolare e la sua trasformazione in un satellite o degli Stati Uniti, in caso di Brexit, o della Germania, in caso di annullamento del referendum.

Padroneggiare un elemento specifico è fondamentale per capire una dinamica generale, per questo soffermarsi sul Brexit è fondamentale per capire in che direzione va l’Unione Europea. L’integrazione economica europea significa innanzitutto la più spietata concorrenza commerciale, fiscale e di capacità produttive tra i capitali europei: in cui la Germania la fa da padrona e i cosiddetti “Piigs” da agnelli sacrificali; alla lunga (e neanche così tanto) si produrranno scontri e rotture simili al Brexit, che generanno la stessa impasse sociale e politica per la borghesia. L’Unione Europea e l’eurozona sono in crisi per il processo di integrazione economica e monetaria, una crisi che darebbe un salto fenomenale in caso di rottura di questo processo. Gli stati europei non possono tornare ai vecchi stati nazione di una volta, e allo stesso tempo non possono rimanere l’Unione Europea di oggi. Una paralisi totale che produrrà un salto nella crisi capitalista mondiale.

Ribellioni impreviste

La crisi della globalizzazione, che in Europa equivale al fallimento dell’euro e dell’Unione Europea, si manifesta anche nell’aumento crescente del malcontento e nello scoppio di ribellioni popolari. Il caso più significativo in Europa è quello francese. Il governo Macron che ambiva a riformare la UE grazie alla propria autorità politica si è visto cadere la terra sotto i piedi con lo scoppio del movimento dei Gilet Gialli. Dopo che si era consolidato grazie alla vittoria sul movimento operaio, per il ruolo nefasto della burocrazia sindacale della CGT che ha boicottato la lotta contro la riforma del lavoro e la privatizzazione delle ferrovie; il governo che considerava “pacificata” la Francia si è visto scoppiare una ribellione per un evento relativamente secondario come un piccolo aumento delle imposte sulla benzina.

Questo movimento che inizialmente riguardava solamente la categoria dei camionisti, in brevissimo tempo si è generalizzato ad un ampio settori di lavoratori dipendenti e ceto medio impoverito; inoltre ha riaperto la partita per settori che in precedenza erano rimasti isolati nella loro opposizione a Macron, ad esempio il movimento studentesco. La sua natura eterogenea e la radicalità della sua protesta, scontrandosi in massa con la polizia rivendicando la cacciata di Macron, viene utilizzata come pretesto dalla CGT per non partecipare alle manifestazioni. La strategia della CGT è isolare la propria base dalle proteste di massa e manifestare per conto proprio rivendicando semplici aumenti salariali, utilizzando questa rivendicazione parziale per rimuovere il problema della cacciata di un governo antioperaio in piena crisi politica; una rivendicazione economica deve essere subordinata ad una strategia politica, non sostituirla. La recente partecipazione della CGT alla manifestazione dei Gilet Gialli dimostra che la sua strategia è fallita, la pressione della base operaia per rompere l’isolamento e partecipare alle proteste per la cacciata di Macron ha obbligato la burocrazia sindacale ad improvvisare delle manifestazioni unitarie.

La sinistra trotskista francese è la retroguardia del movimento. Volente o nolente si accoda alla burocrazia sindacale rivendicando semplici aumenti salariali ed eliminando la questione principale del “Via Macron!”. La scusante per non rivendicare la cacciata del governo è che verrebbe sostituito da un altro governo borghese; come se una vittoria politica del movimento operaio di tale livello non aprirebbe, potenzialmente, una crisi rivoluzionaria in Francia. Una vittoria parziale è l’inizio di una vittoria definitiva, non è possibile imporre nessun governo dei lavoratori senza avere la forza di cacciare un governo borghese. Allo stesso tempo che ci si interroga se è funzionale o meno alla borghesia cacciare Macron, gli unici sforzi del trotskismo francese (Lutte Ouvriere e l’NPA) sono per presentarsi elle elezioni europee. L’esito è la marginalità politica del trotskismo nonostante una situazione favorevole per l’intervento dei rivoluzionari.

Una sfida per la sinistra rivoluzionaria

Il movimento dei Gilet Gialli fa parte di una tendenza europea (ed internazionale) a ribellioni parziali e confuse, la possibilità che evolvano in crisi rivoluzionarie dipende dalla qualità dell’avanguardia di classe e del suo intervento; dunque per i rivoluzionari devono essere il segnale che questa società è in una crisi totale e che si apre la possibilità di conquistare l’avanguardia ad una coscienza di classe e socialista. L’obbiettivo del trotskismo francese deve essere un’agitazione sistematica per far sì che la classe operaia scenda in campo e si ponga alla testa dell’opposizione a Macron, egemonizzando un movimento contradditorio (per natura di classe) come quello dei Gilet Gialli. Per fare questo è necessario una strategia e delle rivendicazioni politiche, non una politica rinunciataria e il codismo verso la burocrazia sindacale.

Allo stesso tempo bisogna dare una prospettiva politica ai lavoratori ed alle ribellioni popolari che si produrranno: l’impasse politica della borghesia rispetto l’Unione Europea, la crisi dell’integrazione politico-economica e l’impossibilità di risolverla ritornando ai vecchi stati nazione pone concretamente il tema dell’unità socialista d’Europa. I partiti tradizionali della borghesia sono in completo sfacelo, i partiti “sovranisti” non reggono la prova del governo come dimostra il caso italiano con il crollo irrecuperabile del PD e la crisi dei 5 Stelle, solo il movimento operaio può dare una via d’uscita alla società con l’obbiettivo di distruggere l’attuale Unione imperialistica Europea e costruire gli Stati Uniti socialisti d’Europa.

La sinistra trotskista europea deve unirsi in una conferenza per discutere politicamente come liberare il movimento operaio dal peso delle burocrazie sindacali, per dare una prospettiva di classe alle prossime ribellioni popolari e far convergere gli sfruttati del continente (inclusa la Gran Bretagna) in una lotta comune per un governo dei lavoratori in Europa. Circa 150 anni fa nasceva la Prima Internazionale, che nacque da una conferenza chiamata da varie organizzazione operaie per affrontare il problema dell’indipendenza polacca e i rischi di una sua guerra con la Russia, ed anche come affrontare una prima forma d’integrazione dell’economia europea e le sue conseguenze sui lavoratori (con il capitale inglese che attraeva lavoratori francesi per ridurre il costo della manodopera); le sorti della Quarta Internazionale passano per una conferenza della sinistra rivoluzionaria che affronti il problema europeo.

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