Prove di intesa per la sinistra populista italiana: Potere al Popolo e De Magistris in un unico cartello riformista alle elezioni europee?

In merito al seguente articolo, il progetto di una lista-contenitore delle varie sinistre riformiste e populiste italiane è ormai abortito.

Sia “Dema” che “Potere al Popolo” pare non saranno presenti alle prossime elezioni europee, pagando da un lato la loro impossibilità di raccogliere da soli il numero di sottoscrizioni (firme di sostegno alla liste elettorali) necessarie per la propria presentazione e dall’altro i veti incrociati e i desideri di primogenitura tra le varie forze presenti al tavolo delle trattative per la composizione di liste e programmi (Dema, Potere al Popolo, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, Possibile, Altra Europa con Tsipras, Diem25, e chi più ne ha più ne metta).

Raccomandiamo comunque la lettura di questo articolo perché resta pienamente valido il suo contenuto politico.

Questo articolo è stato scritto nel mese di febbraio per il primo numero del Foglio politico La Prospettiva Operaia

di RdB

Nel nostro Paese la vulgata d’interesse per l’arrivo sulla scena politica di soggetti della cosiddetta nuova sinistra (populista) si è concretizzata dalle ultime elezioni parlamentari (nonostante lo scarso risultato elettorale) attorno al nuovo partito Potere al Popolo, progetto costruito nel tempo dal centro sociale Je so’ pazzo di Napoli e dai suoi (pochi) satelliti.

E “Potere al Popolo” per le prossime elezioni europee non poteva che volgere lo sguardo verso colui che a sinistra è il “capopopolo”, il demagogo, per eccellenza, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Molte posizioni politiche sono del resto sovrapponibili: difesa della Costituzione, misure sociali per un’immaginaria redistribuzione, lotta per una altrettanto immaginaria “rivoluzione democratica europea” e una “Europa sociale dei diritti”, solo per fare qualche esempio.

De Magistris è sindaco di Napoli dal 2011, arrivando allo scranno di palazzo San Giacomo con il vento in poppa dell’alternativa ad un centrodestra e un centrosinistra che nel capoluogo campano e nella sua provincia esprimono del loro peggio. Così, da rappresentante della piccola borghesia desiderosa di una “buona gestione” della città, ha convogliato sulla sua persona un consenso che va dalla “Napoli bene” alla sinistra di movimento quando non addirittura ad aree dell’antagonismo. In occasione della seconda elezione di De Magistris, nel 2016, i centri sociali cittadini che non hanno sostenuto la sua riconferma a palazzo San Giacomo costituivano ormai un’infima minoranza (stesso discorso per il variegato mondo dei partiti di quasi tutta la sinistra). In cambio di tale sostegno, si sono così “guadagnati” un bel pezzo di agibilità politica, niente sgomberi e concessione di spazi pubblici (vantaggi di per sé positivi ma non a patto di diventare membri del fan-club del sindaco).

A livello nazionale De Magistris, nei primi passi per la costruzione di un suo polo della nuova sinistra che combatta “l’ondata nera che avanza” in Italia e in Europa, propone la stessa retorica su cui ha insistito come amministratore locale, con il solito linguaggio barricadiero ma ricco di contraddizioni. Dice di lavorare alla creazione di un “fronte popolare democratico”, da cui il sindaco ha ammesso di escludere “solo mafiosi, corrotti, corruttori, fascisti e razzisti”. Quindi, nella nuova sinistra di De Magistris basta non essere fascista, corrotto o mafioso e si è benvenuti. La vuota retorica di De Magistris lo spinge fino a esprimere concetti di puro nonsenso come nella seguente dichiarazione (in una intervista a L’Espresso, riportata anche sul sito web del suo movimento politico personale Dema): “io sono un antagonista. E sono costretto ad esserlo perché ho visto troppa corruzione e troppe mafie all’interno delle istituzio­ni. Però ho sovvertito il classico bino­mio antagonista-disubbidiente, perché sorto ubbidiente, perché non ho mai tradito le istituzioni”. Sempre sulle pagine del sito web di Dema, De Magistris fa apertamente sfoggio del suo interclassismo: “Rivoluzione nel nostro Paese significa rottura del sistema ed affidabilità e capacità di governo. Questo serve ai lavoratori come ai disoccupati, agli studenti come agli imprenditori. Questo fa paura ai prenditori, alla casta, ai mafiosi”. Una logica conclusione, che lo accomuna all’intero arco della sinistra riformista, da Rifondazione Comunista a Potere al Popolo, è che la panacea di tutti i mali è la difesa e la piena attuazione della Costituzione Italiana e del diritto (borghese): “Se si guarda a mettere in campo coalizioni ampie e civiche, con chi in questi anni ha lottato siamo i primi a ritenere che bisogna guardarsi attorno, confrontarsi e provare a mettere insieme una coalizione che ha nella difesa e nella attuazione della Costituzione un collante politico” (dichiarazione a Left, 20/09/2018); “La rivoluzione si fa nelle piazze, nei comizi, nei social, ma poi è necessaria la funzione rivoluzionaria del diritto quando governi con competenza e coraggio. I rivoluzionari a chiacchiere e i traditori sono linfa per il sistema. Il diritto serve non solo e non tanto a sanzionare, ma ad attuare i primi diritti, quelli scritti nella Costituzione … Il diritto insieme all’altra economia ha funzione servente per l’emancipazione dei popoli. Il diritto è il più potente strumento di trasformazione sociale se interpretato in maniera costituzionalmente orientata e se si connette con le masse popolari” (www.dem-a.it, 06/11/2018). Certo, la Costituzione contiene al suo interno delle singole tutele di diritti sociali da difendere quando vengono attaccate, sono la merce di scambio offerta dai partiti della borghesia italiana al PCI togliattiano per permettergli di sedere al tavolo democratico, una volta abbattuto il regime fascista, e completare così il suo tradimento dopo la guerra partigiana, ma ciò non deve mai significare la santificazione e la difesa a spada tratta di quella Costituzione erta nel suo complesso a garante del diritto democratico-borghese, come appunto fanno oggi a sinistra tanto De Magistris quanto Rifondazione Comunista, tanto il PCI quanto Potere al Popolo.

E proprio quest’ultimo, Potere al Popolo, è il partito che ha assunto l’atteggiamento più, all’apparenza schizofrenico, in realtà opportunista, nei confronti di De Magistris. Dopo averlo sostenuto nell’elezione a sindaco di Napoli, dopo aver continuativamente collaborato con la sua amministrazione, dopo averlo ripetutamente invitato ad intervenire per Pap ad ogni occasione utile, nello stesso momento in cui De Magistris decide di scendere in campo in prima persona, ovviamente da leader, sul terreno nazionale, è diventato un competitor pericoloso per la propria agibilità politica, ma contemporaneamente un alleato da tenere ben in considerazione per la propria presentazione elettorale (anche se l’esito delle trattative per mettere in piedi programma politico e liste dei candidati è tutt’altro che scontato) vista l’impossibilità per i militanti “reali” di Pap, ben poca cosa fuori i confini della Campania, di raccogliere le firme di sottoscrizione richieste per legge. Quanto ai “compagni di viaggio” fuori i confini nazionali, se in America Latina Potere al Popolo ha come punti di riferimento l’apparato burocratico/militare di Maduro in Venezuela (che va assolutamente difeso dall’imperialismo USA, ma non osannato per il governo socialista che non è) e il governo amico del fascista Bolsonaro, cioè il governo boliviano di Evo Morales, in Europa si è da tempo gettato tra le braccia di Jean-Luc Mélenchon. Il nuovo (ma politicamente ben scafato) leader di France Insoumise ha messo a punto un programma elettorale che è un insieme di keynesismo economico, populismo di sinistra e buoni propositi astratti, fortemente applaudito però da tutte quelle organizzazioni nazionali che costituiscono con France Insoumise un blocco europeo per ora conosciuto come Ora il popolo. Già il nome dell’appello da cui nasce tale aggregazione, firmato a Lisbona lo scorso 12 aprile, la dice lunga sull’accantonamento di qualsiasi discorso di classe, di qualsiasi riferimento al socialismo, di qualsiasi tensione verso il superamento del capitalismo (al contrario, l’idea che sottende appello e programma elettorale è che “un altro capitalismo è possibile”): “Ora il Popolo! Per una rivoluzione cittadina in Europa”. Tra quelle che sono state prima definite “buone intenzioni astratte” (che non tengono cioè minimamente conto dei meccanismi reali e materiali del funzionamento del mercato europeo, ma neanche di quello nazionale) c’è il famigerato PIANO A: “Il piano A comporta la rinegoziazione collettiva dei trattati per consentire soprattutto l’armonizzazione sociale e fiscale, l’implementazione di un protezionismo solidale e ecologico, una politica distributiva e un riorientamento dei compiti della Banca Centrale Europea”. “Armonizzazione sociale”, “protezionismo solidale”, “riorientamento dei compiti della BCE”?! Questo tipo di panzane, gettate lì come se l’ignobile vicenda Tsipras non avesse dimostrato nulla, manifestano o la totale ignoranza di cosa siano UE e BCE o il totale opportunismo di questi soggetti (la seconda opzione è la più probabile). Non ci dilungheremo su altri slogan snocciolati con una funzione propagandistica e comunque spesso ugualmente errati a livello politico, citandone soltanto qualcuno tra i più significativi: “Difendere la sovranità popolare, in particolare in materia sociale e di bilancio”; “Sbarazzarsi dell’oligarchia europea e dare nuovi diritti democratici”; “Aumentare i poteri dei parlamenti nazionali e rafforzare il Parlamento europeo”; “Chiedere che il Parlamento europeo voti pubblicamente la nomina del futuro presidente della BCE e non sia soltanto consultato”; “Dare la priorità alle produzioni locali nei bandi di gara per gli appalti pubblici”. Nessuna meraviglia comunque, visto che all’appello europeo “Ora il popolo” aderiscono, oltre a France Insoumise e Potere al Popolo, anche formazioni politiche che già sostengono, o hanno recentemente sostenuto, vari governi della borghesia a vari livelli, come il Bloco de Esquerda in Portogallo, l’ Alleanza Rosso-Verde in Danimarca, l’ Alleanza di Sinistra in Finlandia, e il mito Podemos in Spagna. Dispiace per tanti compagni e compagne genuinamente convinti della bontà del progetto, ma Potere al Popolo è perfettamente in linea con tutto ciò: in uno dei suoi ultimi appelli (“Verso le elezioni europee: la posizione di Potere al Popolo!”) per aprire il dibattito che a sinistra porti alla costruzione di una lista elettorale per le elezioni europee si parla apertamente di “controllo democratico sul mercato e sulla finanza”, un’espressione che può essere considerata il cuore dell’illusione riformista!

Le classi subalterne europee devono invece lottare contro qualsiasi idea di una Europa “sociale e democratica”, architrave programmatica di questa sinistra democratizzante. Resta valido il giudizio politico di Lenin sugli Stati Uniti d’Europa: essi saranno reazionari o non saranno. All’Europa di Macron e di Merkel, come a quella di Le Pen e Salvini, occorre contrapporre, e lottare per, gli “Stati Uniti Socialisti d’Europa”, l’unica reale alternativa!

E poiché ogni fine ha il suo mezzo, per far ciò, per portare avanti tale lotta, è indispensabile costruire un’organizzazione marxista e rivoluzionaria, non i soliti minestroni riformisti (neanche nelle moderne versioni che mischiano il movimentismo con la demagogia populista) che hanno condotto all’attuale situazione di sconfitta e demoralizzazione delle masse. Costruiamo insieme tale organizzazione.

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