Di D.C.
Anche quest’anno il 24 e il 25 novembre abbiamo assistito alla solita passerella contro la violenza sulle donne. Ovunque le amministrazioni locali e i vertici dello Stato hanno preso la parola, realizzato manifesti e iniziative pubbliche per denunciare una realtà drammatica: nel 2018 i femminicidi sono stati più di 100, uno ogni 72 ore.
E intanto il centro anti-violenza di Marghine, in provincia di Cagliari, chiude. A Napoli, nella “città ribelle” di De Magistris, che ha scritto un post su Facebook che recitava “La violenza contro le donne è un’infamia e un crimine. […] La strada è meno violenta delle mura domestiche. Noi a Napoli siamo per l’uguaglianza dei diritti tra tutte e tutti nelle necessarie e belle differenze tra esseri viventi“, ben tre centri anti-violenza hanno chiuso le proprie porte la settimana scorsa. Parliamo dei centri di via Giacinto Gigante, via Vincenzo Valente e via Diocleziano. La stessa consigliera delegata dal sindaco alle Pari Opportunità, Simona Marino, ha dichiarato in un articolo apparso su La Repubblica[1] che “Il problema sono i finanziamenti. I fondi sono esigui rispetto ad una città grande come Napoli. Ma c’è anche il fatto che riescono a coprire un monte ore ridotto, per cui non riusciamo a dare continuità e a fare magari bandi di gestione per un anno. È una situazione precaria”. Ovviamente, nonostante sia passata una settimana, il sito internet istituzionale non è stato aggiornato e i centri in questione vengono ancora segnalati come attivi. Né su Facebook De Magistris e la sua consigliera delegata hanno pubblicato qualcosa sull’argomento.
E cosa dire della Casa Internazionale delle Donne di Roma? Un centro attivo dal 1987 che ha accolto in questi anni più di 500.000 donne offrendo loro un posto dove stare, da mangiare, assistenza legale, sostegno psicologico e tanto altro. Un centro su cui pende oggi il rischio di sfratto. Il Comune di Roma chiede un arretrato di oltre 800.000 euro sul canone di locazione. Un appello firmato da “personalità di spicco” (VIP e personaggi dello spettacolo) afferma “Gli amministratori del Campidoglio dicono che vogliono valorizzare la Casa, che la considerano un valore per la città. Noi ci crediamo. Perché non dovremmo? Sarebbe del tutto paradossale, che la prima sindaca donna della Capitale voglia passare alla storia per aver chiuso la Casa internazionale delle donne”. Come è possibile il “paradosso”?
L’Italia ha il terzo debito pubblico più grande del mondo e un sistema bancario virtualmente fallito. Dopo i tagli alla spesa pubblica degli ultimi decenni e la “macelleria sociale” della spending review, chiunque governi, non potrà che imprimere una svolta ancora più draconiana ai conti pubblici, per pagare l’interesse usurario sul debito pubblico. L’annunciato pacchetto di privatizzazioni e dismissioni del patrimonio immobiliare per 18 miliardi di euro in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di crescita indicati nel DEF, va esattamente in questa direzione. L’aggressione della società nei confronti della donna è il prodotto della catastrofe capitalista ed esige una risposta operaia e rivoluzionaria.
È urgente che le militanti classiste del movimento delle donne, i collettivi di donne non allineati alla sinistra di governo e la sinistra che si rivendica rivoluzionaria pongano all’ordine del giorno la costruzione di un’organizzazione classista delle donne lavoratrici, che contribuisca alla costruzione di un’avanguardia rivoluzionaria e lotti per rovesciare la società capitalista e patriarcale, in una prospettiva di liberazione di tutta l’umanità.
[1] Articolo apparso sul formato cartaceo dal titolo “I fondi sono finiti chiudono 3 centri su 5” a firma Alessio Gemma.