Di Pablo Heller, 8 novembre 2018
Le elezioni legislative presentano un panorama politico aperto. I Democratici hanno riacquistato il controllo della Camera dei deputati. Secondo gli ultimi calcoli, aggiungono 30 seggi in più e quindi superano comodamente i 23 di cui hanno bisogno per conquistare la maggioranza. Da parte loro, i repubblicani mantengono il primato al Senato, e hanno anche ampliato il numero del loro blocco.
Hanno vinto tutti i concorrenti, a cominciare dallo stesso Trump. È vero che l’onda “blu” (il colore con cui sono identificati i democratici) non si è verificata. Il capo della Casa Bianca è riuscito ad aggirare la trappola elettorale e rimanere in piedi. Ma i risultati sono ben lungi dal fornirgli le risorse politiche necessarie in relazione all’agenda e alle sfide future. L’esito elettorale non si è avvicinato al sostegno di cui ha bisogno per il consolidamento di un regime bonapartista di potere personale di fronte alle crisi e ai conflitti che deve affrontare sul fronte interno e sul piano internazionale: la crisi migratoria, l’aggravamento della guerra commerciale (in primo luogo con la Cina), l’estensione dello scenario di guerra su scala globale e lo sviluppo del fallimento capitalista, i cui effetti si fanno sentire con particolare forza nel crollo di Wall Street. Il crollo dei mercati azionari ha scatenato allarmi nell’economia statunitense e spiega la fragilità della ripresa economica di Trump, tanto pubblicizzata.
Va notato che Donald Trump ha sottolineato che questa elezione è stato un plebiscito della sua gestione. In quel grafico, e nel conteggio totale dei voti, “il New York Times proietta 9 punti di differenza a favore dell’opposizione. L’ultima volta che i Democratici hanno ottenuto un trionfo simile è stato nel 2008, quando gli Stati Uniti erano nel bel mezzo di un crollo economico e si sono impantanati in una guerra estremamente impopolare in Iraq” (El País, 7/11). Questa elezione ha riprodotto quello che è successo nella corsa presidenziale di due anni fa: i democratici hanno vinto con due milioni di voti in più dei repubblicani, ma hanno perso le elezioni, in questo caso il Senato. Ciò rivela, da un lato, il carattere antidemocratico e distorsivo del regime elettorale statunitense e, dall’altro, evidenzia i limiti del mandato di Trump per i due anni restanti. Per ora, la maggioranza dell’opposizione alla Camera dei rappresentanti sarà un ostacolo all’approvazione delle leggi che la Casa Bianca ha in portafoglio.
Inutile dire che, nel nuovo scenario, potrebbero essere attivate le indagini contro il presidente e persino la richiesta di impeachment, anche se è difficile che vada avanti perché la sua approvazione finale deve passare attraverso il Senato. L’avanzata al Senato serve anche per la nomina dei giudici della Corte.
Riallineamenti
Le elezioni hanno messo in evidenza la crescente decomposizione dei partiti tradizionali. Così come Trump irruppe nelle file del Partito Repubblicano come un intruso da destra, si può constatare lo stesso nel Partito Democratico, ma da sinistra. Una legione di giovani, donne e rappresentanti delle minoranze hanno fatto irruzione sulla scena politica e si sono confrontati con il personale più conservatore che ha storicamente tenuto le fila del partito. Si è moltiplicato il fenomeno che si insinuò con Sanders nel 2016.
Con i risultati disponibili, il Campidoglio [sede del Congresso degli Stati Uniti, n.d.t.] ha il maggior numero di donne parlamentari nella sua storia. Questo spiega il posto conquistato dal movimento delle donne, rinvigorito dall’ondata del “Metoo”, che ha puntato i suoi cannoni contro il presidente accusato di abusi da parte di diverse donne e che si è caratterizzato per i suoi commenti misogini. Per la prima volta un omosessuale dichiarato è stato eletto governatore in Colorado, mentre Alessandria Ocasio-Cortez di New York è diventata, a 29 anni, la donna più giovane mai eletta alla Camera dei Rappresentanti. La vittoria di Rashida Tlaib nel Michigan significa l’arrivo del primo musulmano al Campidoglio. A questo si somma l’entrata in parlamento dei rappresentanti delle minoranze latine.
Queste candidature sono riuscite a suscitare entusiasmo nelle file del Partito Democratico, in particolare nelle nuove generazioni. Le loro candidature sono state accompagnate da una grande mobilitazione e sono state capaci di contagiare l’interesse di coloro che si erano astenuti dal voto due anni prima con la nomina di Hillary Clinton. Il numero di elettori è stato superiore a quello delle elezioni di medio termine del 2014. Nell’agenda politica di questi “outsider” ci sono rivendicazioni sociali ignorate dall’establishment democratico, come un salario minimo di 15 dollari, la difesa dell’assicurazione sanitaria e la sua estensione, e l’abolizione delle restrizioni all’immigrazione. Ciò ha messo in luce il crescente divario tra la leadership del Partito Democratico e la sua base popolare di aderenti ed elettori.
La questione dell’immigrazione era assente dalla propaganda democratica ufficiale, quando Trump ha fatto dell’attacco ai migranti uno degli assi centrali della campagna repubblicana. Non c’è da stupirsi se ci ricordiamo che Obama sotto il suo mandato fu un deportatore seriale.
Trump ha sfruttato la pusillanimità dei Democratici, però nonostante questo non ha potuto impedire una svolta nel voto. Alle conquiste democratiche del Congresso, bisogna sommare i nuovi governatori negli stati di Michigan, Illinois, New Mexico e Kansas, che pareggiano la divisione degli stati nel paese. Nei distretti industriali, come il Michigan, questo indica un cambiamento nella classe operaia che ha votato per Trump nel 2016. In Texas, un distretto con il maggior peso della popolazione rurale e storicamente repubblicana, c’è stato un grande voto per il candidato democratico, anche se non ha conseguito una vittoria. Come hanno sottolineato alcuni analisti, si è insinuato il malcontento dei ruralisti, che stanno subendo un calo dei prezzi della soia a causa delle rappresaglie della Cina.
La politica del governo ha provocato una crescente divisione nella borghesia. Un settore è riluttante alla guerra commerciale e sottolinea che essa minaccia di provocare un dislocamento dell’economia mondiale. Le tariffe rendono più costosi i costi industriali, aumentano i prezzi al consumo e danneggiano le esportazioni. La guerra commerciale, monetaria e finanziaria, sottolineano, esacerbano la tendenza dei paesi colpiti dalle misure adottate a Washington a chiudere i loro mercati. Un altro punto di controversia riguarda l’immigrazione, le cui restrizioni si scontrano con la classe capitalista che utilizza il lavoro migrante.
Prospettive
La politica di Trump contiene contraddizioni esplosive, sia a livello nazionale che internazionale. Washington scommette sulla sua sopravvivenza approfondendo questa politica. La sua tabella di marcia prevede un rafforzamento dello stato di polizia e la persecuzione degli immigrati e delle minoranze, un’accentuazione della guerra commerciale, in primo luogo contro la Cina, del militarismo e l’escalation della guerra.
La sua minoranza alla Camera dei Rappresentanti indebolisce questi piani, anche se la maggioranza dei Democratici difende la governabilità.
Nancy Pelosi, che sarà consacrata speaker della Camera dei Rappresentanti, ha già annunciato che il Partito Democratico si impegnerà in una “cooperazione” con la Casa Bianca, e impedirà al sangue di raggiungere il fiume. In ogni caso, l’agenda in cui Washington è impegnata si pone in uno scenario convulso e non può che attraversare sconvolgimenti politici. Questo stimolerà gli scontri in seno alla borghesia e al regime politico, cosa che si esprime già nella guerra dei servizi segreti e nei media, e nelle denunce che pesano su Trump e che, a loro volta, possono attivare un impeachment.
Sullo sfondo di ciò, possono svilupparsi tendenze all’irruzione popolare, a maggior ragione se l’attività economica diminuisce. Questo scenario è il terreno fertile per la polarizzazione politica e per l’emergere sulla scena di tendenze politiche indipendenti dai partiti del sistema.