Cosa succede in Brasile

La vittoria di Bolsonaro nelle recenti elezioni in Brasile rappresenta un cambio d’epoca. Nel paese più importante e popoloso del Sud America vince un candidato di estrema destra, sconfiggendo il candidato del Partido dos Trabalhadores (PT). Il partito che è stato il principale promotore del Forum di San Paolo, dove tutta la sinistra del cosiddetto “Socialismo del XXI° secolo” si riunì negli anni novanta prima di arrivare al governo dei rispettivi paesi latinoamericani. Il partito di Lula, operaio metallurgico, sindacalista, principale leader di quel Partito dei Lavoratori che ha rappresentato una esperienza storica del movimento operaio brasiliano. Il partito che non ha lottato conseguentemente contro il golpe istituzionale civico-militare che ha destituito Dilma Roussef, e ne paga le conseguenze con questa sconfitta elettorale.

Le origini del PT

Il Partido dos Trabalhadores nasce nel 1980 quando un settore importante della base operaia della CGT, l’allora principale confederazione sindacale, rompe con la burocrazia del sindacato che era collusa con la dittatura militare – ormai agli sgoccioli del proprio governo. Questo movimento contestatario fu presto diretto da una frazione di sinistra della burocrazia sindacale che non era però collusa con la dittatura. Questo nuova corrente del sindacalismo ricercò al più presto di costruire una propria forza politica, il Partito dos Trabalhadores. Fin da subito questo partito ha rappresentato un canale per costruire una rappresentazione politica degli operai in Brasile. Allo stesso tempo però, questo partito aveva alla testa un gruppo dirigente piccolo borghese proveniente dalla vecchia sinistra riformista e movimentista che portò il PT ad avere un programma opportunista che ricercava “la democratizzazione della società” e “la rappresentanza dei settori maggioritari della società” omettendo che l’unico modo per garantire una società veramente democratica e senza alcuna forma d’oppressione è quello di espropriare i capitalisti; e l’unico soggetto sociale capace di fare ciò è la classe operaia.

La traduzione pratica di questa impostazione teorica è stato il continuo tentativo del PT di giungere ad un accordo con la borghesia brasiliana, che è stato raggiunto nel 2002 quando in un contesto di crisi rivoluzionaria del continente sudamericano (Argentinazo, Rivoluzione Boliviana, sconfitta del golpe contro Hugo Chavez) la borghesia brasiliana apre alla possibilità di un governo del PT per evitare lo scoppio di una ribellione operaia. Una volta che il PT firma un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel quale si impegna a pagare ossequiosamente il debito pubblico brasiliano, Lula ha la strada spianata verso la sua prima presidenza. Non a caso tutti i governi del PT hanno avuto il sostegno, fondamentale, dei partiti tradizionali della borghesia che gli permettevano di avere la maggioranza parlamentare (il PT da solo non ha mai superato il 18% dei voti).

Il fallimento del suo governo

La stabilità del governo del PT era figlia dell’aumento del prezzo delle materie prime e dell’afflusso di capitali speculativi dall’Europa e gli Stati Uniti. La grande domanda della Cina di risorse minerarie e di petrolio hanno permesso al Brasile di vivere un ciclo economico di crescita ed un saldo positivo della bilancia commerciale. Inoltre, il principale affare per tanti capitalisti dal 2008 in poi è stato quello di ricevere capitali dalle banche centrali della UE e degli USA con tassi d’interesse bassissimi ed investirli nel mercato brasiliano. Questo ha portato ad un aumento del credito alle imprese e alle famiglie e alla stabilità del Real – la moneta brasiliana – grazie all’entrata di dollari nel paese.  Grazie a questo durante il governo di Lula il Brasile ha vissuto una crescita media del PIL del 4%, la riduzione del debito pubblico ed un calo della disoccupazione (dal 10 al 5%). Oltre alla stabilita economica, le grandi risorse derivate dalla vendita del petrolio e di altre materie prime hanno permesso a Lula di avviare politiche assistenzialiste verso gli strati più poveri della popolazione che hanno permesso a 26 milioni di persone di uscire dalla povertà assoluta. Grazie a quest’ultime ed al ruolo dirigente del PT nelle organizzazioni del movimento operaio e popolare la borghesia ha goduto per decenni della cosiddetta “pace sociale”, ossia della cooptazione degli sfruttati per difendere gli interessi degli sfruttatori.

Caduti i prezzi delle materie prime ed in particolar modo del petrolio – una volta che la Cina ha diminuito la propria produzione per la crisi mondiale e che gli Stati Uniti con il fracking hanno diminuito la propria dipendenza dal greggio straniero – sono crollate le basi materiali del governo del PT. Non avendo promosso uno sviluppo industriale del paese, anzi la dipendenza dal settore primario è cresciuta, il crollo delle materie prime ha rappresentato un crollo dell’economia del Brasile, con il calo del 7% del PIL, la crescita della disoccupazione (11,2%) e la crisi della bilancia commerciale e dei bilanci pubblici. Con la crisi economica e la crisi della Petrobras, l’azienda petrolifera del Brasile per metà proprietà dello stato, i margini per fare politiche assistenzialiste sono scomparsi; questo ha portato a Dilma Roussef – leader del PT che ha succeduto Lula alla guida del Brasile – ad iniziare politiche di austerità diminuendo la spesa pubblica, compresa la spesa per sanità ed istruzione, l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici e la svalutazione del Real, che ha portato alla riduzione dei salari.

Le proteste popolari e le manifestazioni di massa contro il governo Dilma nel 2015 dimostrarono alla borghesia che il PT non era più un fattore di contenzione dei lavoratori, inoltre la crisi economica richiedeva misure di austerità e di attacco alle condizioni di vita e di lavoro dei proletari drastiche, cosa che il governo Dilma non era in grado di portare avanti, per questo nel 2016 la borghesia ha organizzato un colpo di stato per destituire il governo del PT, mettendo alla presidenza Temer ex alleato di Governo. Un golpe che la borghesia avrebbe potuto dare in qualsiasi momento dei 13 anni di governo del PT, essendo che questo ha sempre avuto meno dei due terzi dei seggi parlamentari (per varare un impeachment al presidente sono necessari due terzi dei voti parlamentari).

Il Golpe

Il golpe ha assunto le vesti di impeachment, dove un parlamento con il 60% di deputati processati prevalentemente per casi di corruzioni ma anche per accuse di omicidio condanna la presidente eletta democraticamente “per aver modificato i bilanci statali per garantirsi la rielezione”. Non c’è alcun dubbio che il PT abbia montato un regime di corruzione per garantire il proprio governo (oltre che per vantaggi personali) infatti lo scandalo del “mansalao” ha dimostrato come Lula e la Roussef abbiano utilizzato le risorse della Petrobras per corrompere deputati e senatori per mantenere la maggioranza nel Parlamento; e curioso però che gli stessi alleati di governo e i parlamentari che hanno beneficiato della corruzione promuovano la destituzione della Presidente Dilma Roussef. Questo golpe parlamentario anche se non ha visto la partecipazione diretta ed evidente dell’esercito è stato orchestrato da quest’ultimo; infatti l’esercito ha fatto pressioni per la destituzione di Dilma e, successivamente, per l’arresto di Lula come dimostrano i twitt di Eduardo Vilas Boas, massimo comandante dell’esercito, minacciando la corte costituzionale che l’esercito “non tollererà l’impunità” al momento di giudicare Lula – ovviamente per gli omicidi che perpetuano le forze di repressione sulla popolazione brasiliano l’impunità è più che gradita. Più in generale una volta che scoppia uno scontro tra esecutivo e parlamento l’ago della bilancia viene determinato dall’esercito come dimostrano i casi del Perù e del Venezuela dove in scontri analoghi è stato l’esecutivo a sciogliere il parlamento grazie al sostegno dell’esercito.

Il governo Temer, prodotto del Golpe, ha portato avanti un programma di guerra nei confronti della classe lavoratrice brasiliana. La riforma delle pensioni (con effetti similari alla riforma Fornero), la riforma del lavoro dove oltre a precarizzare i lavoratori, abolire i contratti nazionali, si è introdotto la giornata di 10 ore (un arretramento secolare nei diritti degli operai). Queste riforme sono passate però, non tanto per il sostegno delle forze armate e quindi grazie alla repressione statale, ma con la complicità del PT e la CUT, la principale confederazione sindacale. Questa complicità consiste nel non aver mobilitato i milioni di operai iscritti alla CUT (che è diretta da dirigenti del PT) contro le riforme del governo golpista; invece di proclamare lo sciopero ad oltranza fino al ritiro delle riforme e la caduta del governo – che avrebbe rappresentato la sconfitta del golpe – la CUT si è limitata a far sfogare la propria base con scioperi generali di un solo giorno e senza prospettiva. Questa complicità non è figlia semplicemente di una scarsa combattività della CUT ma del tentativo del PT di arrivare ad un accordo con la borghesia golpista dimostrando il proprio essere “responsabile” e la propria capacità nel frenare le lotte del movimento operaio.

Bolsonaro

La vittoria di Bolsonaro, con i suoi 55 milioni di voti, è la naturale conseguenza dello scenario politico creatosi dal Golpe in poi. Non si spiega altrimenti come un degenerato che per decenni è stato una scheggia impazzita all’interno del parlamento possa essere diventato il presidente del Brasile. Gli inneggiamenti alla dittatura militare, alla tortura, rivendicare di farla finita “con i rossi e le organizzazioni sociali” e promettere che con la sua presidenza il PT e i suoi militanti dovranno scegliere “o l’esilio o il carcere” sono stati legittimati ed hanno ottenuto contesto da una scena politica in cui i militari sono sempre più presenti. La conquista del 70% dei voti nei quartieri operai di San Paolo – dove storicamente nacque il PT – dimostrano che il tradimento del PT e della CUT nella lotta contro il golpe sono stati un fattore di demoralizzazione della classe operaia, che una volta sentitasi sola si è affidata ad un esponente che promette un cambio radicale della società in Brasile.

Bolsonaro è senza alcun dubbio l’espressione del fascismo brasiliano, non si tratta semplicemente di un candidato con posizioni xenofobe o reazionarie, ma un profilo politico che punta alla distruzione fisica delle organizzazioni del movimento operaio. Il periodo che si apre con la recente vittoria alle presidenziali è un periodo di transizione nel quale Bolsonaro cercherà di stabilizzare il proprio governo e riunire le condizioni per realizzare apertamente le proprie aspirazioni politiche – l’instaurazione di un regime totalitario. Per adesso il fascismo di Bolsonaro è di uno stampo particolare, non potendo, ancora, contare sulla mobilitazione della piccola borghesia – come è stato storicamente per il fascismo italiano e tedescho – affida alle forze armate il proprio potere di scontro con il movimento operaio. Per questo siamo di fronte di un fascismo di stampo “gorillista”.

Trattandosi di un periodo di transizione il risultato di questo processo non è per nulla scontato. Bolsonaro dovrà superare delle grandi contraddizioni all’interno del proprio blocco. Innanzittuto lo scontro per il potere sarà segnato dalle differenze tra il proprio Bolsonaro, e i suoi 55 milioni di voti, e l’esercito che lo ha utilizzato per aumentare il proprio controllo sull’apparato statale; un regime totalitario per definizione difficilmente può avere più padroni. Inoltre la crisi capitalista che ha portato alla crisi del PT e all’ascesa di Bolsonaro non è per nulla finita, il programma economico e sociale di Bolsonaro entrerà in aperto scontro con la propria base elettorale: deforestare l’amazzonia, inasprire le riforme contro i diritti dei lavoratori e dei pensionati, “privatizzare il Brasile”, non saranno misure che aumenteranno i consensi del governo. Il tutto sarà inasprito dalla guerra commerciale e monetaria in atto, in un paese che ha come principale partner commerciale la Cina, un candidato che ha il sostegno dell’imperialismo americano vedrà scatenarsi un forte crisi geopolitica; Trump pretenderà lo spostamento dell’asse economico e commerciale verso gli Stati Uniti (come già sta cercando di fare con l’Argentina di Macri), cosa che potrà aumentare la crisi dell’industria e delle esportazioni di materie prime del Brasile.

La sinistra

Questo periodo di transizione deve essere sfruttato dalla sinistra per costruire un opposizione a Bolsonaro ed un’alternativa politica dei lavoratori, indipendente dal PT responsabile di questo disastro. Ovviamente per opporsi a Bolsonaro è necessario il più ampio fronte unico delle organizzazioni operaie e della sinistra. Un fronte che punti ad uno sciopero generale contro le politiche del governo; e alla auto difesa delle organizzazioni popolari contro la violenza delle forze repressive dello stato. Ma per fare questo è necessario l’assoluta demarcazione dalle politiche rinunciatarie del PT che tuttora ricerca un dialogo con Bolsonaro e durante tutta la campagna elettorale non si è mobilitato contro il suo fascismo – mobilitazione che ha portato avanti solo il movimento delle donne sotto la parola d’ordine di “Ele nao!” (Lui No!).

Il grosso della sinistra brasiliana è riunita nel PSOL, “Partito del socialismo e della libertà”, un partito nato nel 2005 da alcuni dirigenti in rottura col PT. Questo partito è diretto da una maggioranza piccolo borghese che ha governato in varie città del Brasile in nome del capitale finanziario, in continuità con la politica del PT. Nell’ultimo periodo ha riposto le proprie speranze di crescita facendo codismo al PT, speculazioni sul PT delle origini e candidando alle presidenziali un riconosciuto dirigente “lulista” sperando che la mancanza di Lula alle elezioni e la candidatura di Haddad, esponente della destra del PT, avesse favorito un proprio exploit elettorale; inutile dire che il fallimento del PT si è portato con se il disastro elettorale della sua “copia” (il PSOL ha preso lo 0,7% dei voti). La partecipazione di una miriade di gruppi troskisti in questo partito in nome dell’entrismo è il principale freno al costituirsi di un partito rivoluzionario. Non permette a questi partiti di avere una fisionomia politica propria e li rende subalterni ad un partito liberale di sinistra. Giustificare questa subalternità con la tattica dell’entrismo è uno sproposito perchè non siamo in presenza di un partito con un peso – più o meno forte – nel movimento operaio (a differenza dei partiti della sinistra negli anni 30).

L’unico partito che meritevolmente si è mantenuto indipendente dal PSOL è il PSTU, “Partito Socialista dei Lavoratori Uniti” che però ha avuto una posizione settaria ed opportunista allo stesso tempo. Invece di lottare contro il golpe da una posizione indipendente rispetto al PT, ha definito l’impeachment contro Dilma un semplice scontro parlamentare tra due blocchi borghesi. Un esempio di banalizzazione dell’analisi estranea al marxismo. Non solo non era un semplice scontro parlamentare, ma un scontro tra esecutivo e parlamento nel quale ha avuto un ruolo fondamentale l’esercito; ma tutto ciò è stato funzionale a cambiare i rapporti di forza tra borghesia e proletariato,ed imporre alla classe lavoratrice misure di macelleria sociale. Allo stesso tempo in cui ci si dichiarava neutrale in questo marasma politico si limitava la propria azione politica in un sindacalismo economicista nel quale si limitava la costruzione del PSTU nel solo sforzo di costruire una propria centrale sindacale – tra l’altro coltivando un proprio orticello minoritario con la costruzione di un piccolo sindacato di base isolato dai sindacati maggioritari. La conseguenza è stata la crisi del partito con la rottura di metà della sua base.

Conclusioni

La sinistra brasiliana si è trovata impreparata di fronte alla crisi politica in Brasile. Mentre la crisi capitalista distruggeva le basi del PT e del suo governo, nessuna forza politica di sinistra si è potuta candidare ad essere un’alternativa reale al Lulismo. Bolsonaro si avvantaggia di tutto ciò. Costruire una nuova sinistra indipendente dal PT, elaborando una strategia alternativa al codismo del PSOL (e della miriade di gruppi troskisti al suo seguito) e al sindacalismo settario del PSTU che hanno fallito completamente a questo compito.

La presenza nella prossima conferenza latinoamericana del Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale (CRQI) di importanti dirigenti sindacali, che hanno fatto un bilancio critico della sinistra brasiliana, e sono interessati ad una discussione con le forze del CRQI (inclusa la sua piccola sezione brasiliana, Tribuna Classista) su come costruire un’alternativa dei lavoratori in Brasile e sconfiggere il fascismo di Bolsonaro è un buon segnale di questo cambio politico nel seno della sinistra rivoluzionaria.

Michele Amura

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