No ad un altro massacro in Siria

Di Jorge Altamira

Il governo di Bashar al-Assad ha riconquistato il territorio siriano con l’aiuto di forniture e aviazione dalla Russia e con la partecipazione della Guardia rivoluzionaria iraniana e delle milizie di Hezbollah. Ora si appresta a rilevare la provincia di Iblid (dove vivono tre milioni di persone), nella Siria nord-occidentale, con l’intervento dell’aviazione russa e la certezza che causerà un enorme massacro nella popolazione. L’intervento della Russia in Siria, fondamentalmente dalla metà del 2015 in poi, è stato spinto dalla preoccupazione che la Siria non finisse dominata dalla NATO e smembrata strada facendo, e anche dalla preoccupazione di impedire alle organizzazioni terroristiche islamiche di creare una base per un ulteriore accerchiamento della periferia musulmana russa, che fu parte dell’ex Unione Sovietica. L’Iran e Hezbollah, in senso opposto, non hanno nascosto l’intenzione di creare una zona di protezione fino al Mediterraneo, di fronte a Israele.

Guerra Internazionale

L’irruzione della Russia nella guerra siriana è stata chiaramente tollerata dalla NATO e soprattutto dagli Stati Uniti, come dimostra la acquiescenza di Obama nei confronti di quell’intervento, e poi dopo di Trump, e persino di parte dello stato sionista. Gli stati maggiori delle potenze imperialiste supponevano, e continuano a farlo, che la guerra avrebbe intrappolato la Russia in un conflitto senza fine, e d’altra parte intendevano allontanarsi da un intervento diretto dopo il loro stesso impantanamento in Iraq e Libia e soprattutto in Afghanistan – oltre a non voler aggravare la crisi politica che la tragedia umanitaria di milioni di rifugiati ha provocato nell’Unione Europea.

È un dato di fatto che l’intervento militare in Siria rappresenta un onere economico insopportabile, nel caso dell’Iran e della Russia. Negli sconvolgimenti popolari in Iran dall’inizio dell’anno, a causa della crescente crisi sociale, si sono sviluppate rivendicazioni contro la partecipazione alla guerra siriana. Le guerre in Medio Oriente hanno per l’imperialismo mondiale, inutile dirlo, una portata strategica, che è l’impossessamento delle grandi riserve petrolifere da parte dei monopoli internazionali e l’accerchiamento della Russia, che oltre alle sue ricchezze minerali continua ad essere una potenza in termini di tecnologia. Nel frattempo, una sorta di sistema di allerta unifica tutti gli attori antagonisti sulla scena siriana, per evitare lo scoppio di una guerra internazionale – in una sorta di guerra concertata.

L’ingerenza nel conflitto da parte della Turchia, la più importante potenza vicina, ha introdotto un ulteriore fattore esplosivo nella guerra. Da un lato, la Turchia ha dovuto accogliere precariamente milioni di rifugiati; dall’altro, in questa guerra lotta con la presenza della nazione curda, la cui popolazione è concentrata principalmente nella stessa Turchia e anche presso i confini con l’Iraq e la Siria. Il nazionalismo curdo ha rinunciato alla creazione di uno stato proprio in tutto quel territorio contiguo, ma non all’autonomia politica all’interno degli stati in cui sono ospitati. Il governo Erdogan in Siria sta conducendo una guerra di sottomissione dei curdi, compreso il condizionamento politico negli stati al di fuori della Turchia.

Oltre a questo punto di attrito internazionale, la Turchia è entrata in conflitto con diversi stati della regione (principalmente Arabia Saudita, Egitto e Israele), che hanno scatenato una repressione al limite del massacro contro l’islamismo politico (‘razionale’ in gergo macrista) che la Turchia voleva usare per estendere la sua influenza economica e politica nel territorio ex ottomano. La sconfitta delle rivoluzioni arabe nel 2011 ha bloccato una soluzione popolare ai conflitti storici della regione e quindi ha acuito il quadro delle crescenti guerre. Il sostegno del Pentagono alle milizie curde in Siria e in Iraq, prima nell’invasione che ha rovesciato Saddam Hussein in Iraq e poi nella lotta armata contro lo Stato islamico, ha creato una fessura strategica tra il regime turco e gli Stati Uniti (sia Obama che Trump), cristallizzata in un colpo di stato pro-yankee nel 2016, e in uno spettacolare ribaltamento delle alleanze della Turchia – che si è allineata con la Russia e i suoi partner. Sede della più grande base NATO, la Turchia ha appena acquistato 400 missili antiaerei dalle forze armate russe.

Fallimento della de-escalation

Il regime di Erdogan affronta una crisi enorme in questo conflitto, nel quale entrò per mano degli yankee per rovesciare Bashar al-Assad e trasformare la Siria in un protettorato parziale, per poi finire alleato di quest’ultimo quando l’intervento russo ha invertito il corso della guerra. L’assedio della regione di Iblid da parte del regime siriano e dell’aviazione russa pone un conflitto monumentale per la Turchia, perché questa provincia è stata presa, dall’inizio della guerra, da forze islamiche organizzate dalla stessa Turchia. Si trova ad affrontare una crisi con i suoi alleati dell’ultimo momento, Russia, Iran e Siria, mentre non può ancora riprendere quella che aveva con gli Stati Uniti. Negli accordi “dei quattro” affinché Bashar riprendesse il controllo della Siria, era stato stabilito il metodo della “de-escalation”, cioè la progressiva cessione dei territori occupati e la possibilità che la popolazione potesse ritirarsi pacificamente dalle città. La contropartita era ammettere una zona d’influenza per la Turchia. Questa de-escalation ha funzionato male nelle città riconquistate negli ultimi mesi, Aleppo e Ghouta, e rischia di essere peggiore a Idlib. Trump ha approfittato di questa crisi per annunciare che gli Stati Uniti potrebbero intervenire militarmente. Trump ha rotto l’accordo di controllo nucleare firmato da sei potenze con l’Iran e ha annunciato sanzioni contro questo paese per provocare quello che lui chiama “cambio di regime”. Ha il pieno sostegno del governo sionista, anche se con questo avvertimento: Netanyahu ha raggiunto un accordo con Putin per allontanare l’Iran dalla Siria, che è visto come un passo verso l’accettazione da parte dell’Iran a negoziare con Trump una modifica di quell’accordo nucleare – che anche l’Unione Europea sta chiedendo.

Si può concludere questa caratterizzazione del conflitto dicendo che in territorio siriano combattono potenze reazionarie per la spartizione di aree di influenza in Medio Oriente. Bashar al-Assad sostiene di lottare per una Siria autonoma e indipendente, ma è il suo regime che ha rinunciato a qualsiasi forma di autonomia, che non potrà mai riconquistare; il suo destino è deciso al tavolo delle trattative di altri conflitti: Ucraina, Crimea, controversie sui giacimenti di gas, guerra economica. L’oligarchia russa, così come i capitali e le imprese statali cinesi stanno conducendo una lotta economica sul mercato internazionale, nel quadro di un intreccio definitivo con il capitale mondiale.

No ad un altro massacro

Il bombardamento e il massacro della popolazione civile sono incompatibili con qualsiasi posizione che si autogiustifichi invocando una lotta anti-imperialista o rivoluzionaria, perché l’unica che può fare una rivoluzione è la popolazione lavoratrice minacciata da questo massacro.

Questa posizione anti-imperialista non è presente in nessuno dei due fronti in disputa. Lo stesso vale per quanto riguarda l’espulsione della popolazione dalle loro case e dalle loro città. Putin ha invitato gli Stati imperialisti a partecipare ad una “ricostruzione della Siria”, ossia ad un’immensa trattativa, un PPP [partenariato pubblico-privato, N.d.T.] macrista internazionale, non appena raggiunta la “normalizzazione politica”. Questa “normalizzazione” non riguarda la popolazione che è fuggita dalla guerra, le cui proprietà sono confiscate. L’opposizione a un altro massacro civile deve essere accompagnata dalla richiesta che tutte le potenze straniere si ritirino dalla Siria, che si ponga fine al boicottaggio dell’Iran, che Israele restituisca ai palestinesi i beni e il territorio confiscati e ci sia il diritto al ritorno; che cessino le esecuzioni in Egitto e che si rovesci la sua dittatura militare; che tutti i popoli del Medio Oriente esercitino liberamente il diritto all’autodeterminazione nazionale.

Impedire un altro massacro è nell’interesse di tutti i lavoratori del mondo che lottano contro gli attacchi capitalisti, perché ogni massacro è un’estorsione affinché la classe operaia del mondo intero rinunci a combattere.

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