DI MAIO E SALVINI: MATRIMONIO (E PROBABILE DIVORZIO) ALL’ITALIANA

Dopo circa 2 mesi d’ipotesi e tentativi al Presidente della Repubblica Mattarella, e alla borghesia che esso rappresenta e tutela, non gli resta che affidare la formazione del governo a Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Non che la borghesia sia ostile ai due partiti populisti (al contrario vede in essi un modo di garantire il proprio potere), ma la mancanza di elementi affidabili e organici nel governo la preoccupa. Detto questo, però, nulla è peggio di ritornare alle elezioni, con la stessa legge elettorale, e quindi una forte probabilità di ritornare ad una situazione di stallo dopo le nuove elezioni.

IL RAPPORTO TRA LA BORGHESIA E IL POPULISMO

Come si accennava pocanzi la borghesia ha un rapporto contraddittorio con il M5S e la Lega: da una parte non nutre fiducia in essi siccome il loro personale politico (parlamentari, senatori, dirigenti) non proviene direttamente dai suoi circoli, inoltre, considera negative alcune proposte elettorali perché ostili ai propri interessi (o per lo meno alla parte più importante della borghesia) come l’uscita dall’euro o una stretta all’immigrazione clandestina; dall’altra è consapevole che questi partiti rappresentano la penultima carta disponibile (l’ultima carta è il fascismo o il fronte popolare[1]) per garantire la propria governabilità, visto che i suoi partiti tradizionali (PD e Forza Italia) sono completamente in crisi, per conseguenza della crisi di consenso delle loro politiche (austerità e precarietà), ed, aspetto fondamentale, è fiduciosa che il proprio intervento e la propria pressione sociale e politica possa influire sulle scelte di governo (non a caso sia i 5 Stelle che la Lega non parlano più di uscire dall’Euro).

Per questi motivi la borghesia non è ostile e non boicotta i due partiti populisti, ma cerca in tutti i modi di controllarli e guidarli nella loro eventuale esperienza governativa. Un fattore importante in questo controllo sarebbe stato la presenza nel governo di un suo partito tradizionale (o il PD o Berlusconi). Ipotesi che si è dimostrata impraticabile. La cricca renziana ha posto i propri interessi di sopravvivenza (e quelli dello stesso PD) al di sopra degli interessi della borghesia rifiutando l’entrata al governo coi 5 Stelle, sperando che un fallimento degli avversari al governo (M5S e Centrodestra) gli possa ridare vitalità; mentre un governo Salvini–Berlusconi non può avere una maggioranza senza l’appoggio esterno dei 5 Stelle o del PD – azione che rappresenterebbe un suicidio politico in piena regola.

Come si vede l’unica ipotesi rimasta è un governo “giallo-verde”.

UN GOVERNO POSSIBILE E STABILE?

I problemi per la borghesia italiana non finiscono qua però. Non solo deve affidarsi a due partiti incerti, che rappresentano un male necessario, ma pur sempre un male; ma inoltre l’accordo politico di questi due partiti non è affatto scontato. Anche in caso di esito positivo della trattativa tra Di Maio e Salvini sul programma e il nome del Presidente del Consiglio, questo governo difficilmente sarà un governo stabile e che arriva a fine legislatura.

La trattativa sulla figura che dovrà ricoprire la carica di Presidente del Consiglio è impervia, e in nessun caso sarà indolore per entrambi. Nel caso sia una figura di spicco di una delle due forze – Di Maio o Di Battista per i pentastellati, Salvini, Giorgetti o Siri per la Lega – la forza rimasta esclusa, cioè che non ha espresso il nome del presidente, risulterebbe relegata ad un ruolo minore nel Governo e quindi soffrirebbe di uno smacco politico (evento che entrambi i leader vogliono evitare); invece, nel caso fosse una figura neutrale – come l’ipotizzato professor Conte o l’economista Sabelli – il governo avrebbe una parvenza “tecnica”, immagine che entrambi i partiti temono visto che hanno criticato fortemente il Governo Monti, cosa che ha contribuito alla loro crescita elettorale. Un accordo sul nome è fattibile, ma in ogni caso avrà delle conseguenze sulla popolarità dei due partiti.

Il vero problema è rappresentato però da un altro ostacolo: il programma di governo. Mentre le insoddisfazioni sul nome del presidente del Governo possono essere superate, anche se con qualche problema minore. La natura del programma di governo ha dei limiti insuperabili e che minano inevitabilmente la stabilità politica del governo e dei partiti che, eventualmente, lo comporranno.

La Lega e i 5 Stelle hanno una cosa in comune, entrambe sono riuscite a crescere attraverso una proposta (o una serie di proposte) che hanno fatto breccia in settori di massa. La Lega oltre il tradizionale sfruttamento dei sentimenti xenofobi di alcuni settori della popolazione, è riuscita a conquistare il sostegno di parti consistenti della piccola borghesia attraverso la Flat Tax e della classe lavoratrice con la proposta di abolire la Riforma Fornero; mentre i 5 Stelle hanno sfondato (particolarmente al Sud) con la proposta di un reddito di cittadinanza di 780 euro. Nello stesso modo che le speranze riposte nei 2 partiti populisti hanno fatto da leva per la loro crescita politica, la loro disillusione può causarne il crollo. Per questo è di vitale importanza per entrambi mantenere (almeno in parte) le loro premesse elettorali. E qua subentra il problema dei problemi. Se è in dubbio la possibilità di eseguire una sola delle due riforme (o Flat Tax o reddito di cittadinanza) a causa del costo elevato – almeno 26 miliardi per la Flat Tax e 17 per il reddito, secondo le cifre moderate dei due partiti, circa 40 e 25 per centri studi più veritieri – è impossibile la loro applicazione congiunta – il programma annunciato del governo costerebbe almeno 65 MLD, con stime che arrivano ai 100.

L’insostenibilità economica del patto tra i 5 Stelle e la Lega ne segna il cammino: o tradiscono le aspirazioni del proprio elettorato, non mantenendo fede alle riforma promesse, e quindi marciano inevitabilmente ad una profonda crisi politica (similare alla crisi di Renzi dopo il boom delle Europee e degli 80 euro); o rinunciano al governo (o perché non lo formano, o perché lo fanno cadere dopo un periodo relativamente breve) per andare alle elezioni e sperare in un proprio governo autonomo.

CONCLUSIONI

Il vero assente in questa crisi politica è la classe operaia. Le sue organizzazioni sindacali hanno concertato con la borghesia e bloccato ogni espressione di rivolta contro la crisi e le politiche di austerità sociale. La sinistra politica è in una profonda crisi dopo le sue esperienza governative e i suoi tradimenti (voto alle guerre, alle leggi precarie e alla detassazione dei profitti delle imprese). I sindacati di base non sono riusciti a costruire un’alternativa di lotta alle burocrazie sindacali come conseguenza della loro politica settaria (rifiuto fronte unico e proselitismo tra un sindacato e l’altro). Le cosiddette forze rivoluzionarie si sono limitate a presentarsi ai congressi della CGIL o alle elezioni, senza alcun ruolo attivo nella lotta di classe. Come si vede c’è una crisi generale di tutte le forze del movimento operaio, la conseguenza è l’assenza della classe operaia come soggetto politico indipendente e il suo affidarsi a forze populiste.

Prospettiva Operaia pensa sia fondamentale ripartire dalla lotta per un salario ai disoccupati (e della riduzione dell’orario di lavoro per non ridursi all’assistenzialismo) e l’abolizione della Legge Fornero per mettere un argine alla demagogia populista; attraverso l’unità d’azione dei settori combattivi contro l’immobilismo delle burocrazie, e allo stesso tempo il fronte unico sindacale per scioperi di massa (e non solo di testimonianza). Per fare in modo che questo avvenga bisogna costruire un partito politico che abbia un ruolo attivo nella lotta di classe e che punti a costruire un’alternativa reale alle altre correnti del movimento operaio. Prospettiva Operaia ha questo obbiettivo.

Luca Solfrizzi

[1] La borghesia di fronte ad una ascesa rivoluzionaria della classe operaia ricorre al fascismo o al fronte popolare (ad esempio di fronte al Bienno Rosso ricorse a Mussolini e di fronte alla lotta partigiana ricorse al patto De Gasperi-Togliatti); mentre questi fenomeni populisti sono la risposta alla crisi di consensi della borghesia in una situazione non rivoluzionaria… Per questo il fascismo e il fronte popolare sono l’ultima carta e i partiti populisti la penultima

 

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