Argentina: una storia che si ripete

Un déjà-vu collettivo sta segnando l’Argentina. Il paese sudamericano sta ritornando a passi da gigante al “defol” (default) del 2001. La crisi è scoppiata pochi giorni fa, quando la Federal Reserve americana ha alzato i tassi d’interesse sul debito e sulle obbligazioni degli Stati Uniti, causando una fuga di capitali mondiale verso gli USA – visto che un tasso d’interesse maggiore garantisce un tasso di profitto elevato.

Questa fuga al dollaro – che è parte della guerra commerciale e monetaria che Trump ha lanciato alle altre potenze mondiali, in primis la Cina, per rafforzare il primato americano nel mondo – ha lasciato il peso (cioè la moneta argentina) in mutande; quando solo un anno fa per acquistare un dollaro bastavano 15 pesos, ora ne servono 23, una svalutazione del 50% della moneta. Svalutazione che è figlia della fuga dei capitali verso il dollaro, e che allo stesso tempo causa un ulteriore fuga di capitali dall’Argentina, visto che i capitalisti e i risparmiatori, impauriti dalla crisi e dalle sue possibili conseguenze sul sistema bancario, esportano i capitali in paesi (e banche) più sicuri. Se in Argentina questo fenomeno internazionale (l’aumento dei tassi d’interesse americano) ha causato una crisi straordinaria è perché il paese già fortemente in crisi: con un aumento del debito pubblico e del deficit fiscale, con il disavanzo commerciale (differenza tra le importazioni e le esportazioni) più grande della storia (18 MLD di dollari) e l’inflazione al 30%.

Per contrastare questa crisi finanziaria il governo Macri (governo di centrodestra che governa l’Argentina da 2 anni e mezzo) ha alzato a sua volta i tassi d’interesse al 40%. Azione che rende però insostenibile il debito pubblico argentino, che negli ultimi 2 anni è in forte aumento – è arrivato al 60% del PIL (stesso livello del 2001) e ha un deficit fiscale del 7% – e che tuttavia non ha fermato la crisi in atto (svalutazione peso e fuga di capitali). Non a caso Macri ha chiesto successivamente l’intervento del Fondo Monetario Internazionale per fermare la svalutazione del peso e la crisi del debito pubblico, mediante un prestito di 30 miliardi di dollari.

Le conseguenze politiche

L’intervento del FMI, come sempre, non sarà indolore. Tanto per il governo Macri, che probabilmente dovrà affrontare un rinnovo dei ministri, tanto per i ceti popolari e la classe lavoratrice che dovranno affrontare riforme anti-operaie. Infatti il FMI ha già chiesto in cambio degli aiuti una riforma delle pensioni (età pensionabile a 70 anni), una riforma precarizzatrice del mercato del lavoro e un forte taglio alla spesa pubblica. Riforme anti operaie che si sommeranno ai “tarifazos”, cioè gli aumenti delle tariffe del trasporto pubblico e dei servizi (acqua, gas e luce) e all’inflazione del 30% (l’aumento dei prezzi delle merci).

Macri è riuscito a far passare i “tarifazos” (non le richieste del FMI) e, nonostante questo, a vincere le elezioni di medio termine (in Argentina vige un sistema elettorale simile al sistema americano) perché affermava che erano sacrifici necessari per non finire come il Venezuela, cioè con una crisi iper-inflazionaria e un debito pubblico insostenibile; la recente crisi del peso e le sue conseguenze economiche stanno portando l’Argentina direttamente a Caracas. Da questo fattore nasce una crisi politica del macrismo.

Allo stesso tempo che il macrismo entra in crisi, l’opposizione kirchnerista – movimento politico di centro sinistra, che ha governato per un decennio in Argentina, avendo una politica di assistenzialismo e contenzione del movimento operaio – non gode di ottima salute, avendo una forte di crisi di consensi per la sua esperienza di governo e gli scandali di corruzione. Inoltre si è corresponsabilizzata con il governo Macri, votandogli molti progetti di legge, tra cui la legge di bilancio di fine anno.

Questa crisi apre al movimento operaio e alla sinistra una prospettiva enorme e senza precedenti. Da una parte il macrismo deve portare avanti un attacco frontale alle condizioni di vita dei lavoratori, senza avere i mezzi politici per affrontare questa lotta; dall’altra l’opposizione kirchnerista in crisi avrà una difficoltà maggiore a contenere il movimento di lotta contro le politiche del FMI, anche se, la burocrazia sindacale, alleata del kirchnerismo, punta a bloccare il movimento e non lancia lo sciopero generale per il ritiro del pacchetto del FMI e la caduta del governo.

È in questo contesto generale (crisi del macrismo e del kirchnerismo, ed immobilismo della burocrazia sindacale) che la sinistra in Argentina può avere un ruolo inimmaginabile per la sinistra rivoluzionaria mondiale, a patto che riesca a mantenersi indipendente dal kirchnerismo e che punti a costruire un’alternativa all’immobilismo della burocrazia sindacale. Va in questo senso la campagna politica del Partido Obrero che promuove mobilitazioni contro le misure del FMI, con una campagna di propaganda e agitazione per far sì che la classe operaia si ponga alla testa delle mobilitazioni, con un programma proprio (nazionalizzazione delle banche, controllo operaio, monopolio del commercio esterno) e un piano di azione (scioperi, picchetti, etc…) elaborati da una assemblea nazionale di delegati eletti nei posti di lavoro.

Questa campagna politica non è una astrazione propagandista perché viene fatta da una forza politica minoritaria, ma che ha radici profonde nel movimento operaio e popolare (il PO dirige sindacati nazionali e locali, la federazione universitaria di Buenos Aires e ha vari parlamentari nel congresso nazionale e in quelli regionali), in un contesto di profonda convulsione politica, sociale ed economica; come dice il dirigente del PO Jorge Altamira “L’azione storica delle masse appare spesso come un’aspirazione impossibile finché non diventa inevitabile”.

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Lezioni per l’Italia

 

L’esperienza argentina ha delle importanti lezioni per i militanti della sinistra e del movimento operaio italiano. Innanzitutto lo scenario economico argentino segna il cammino dell’Italia.

Un paese fortemente indebitato (132% del PIL e il 3° debito pubblico al mondo), con un sistema bancario che rischia il fallimento (il 20% dei propri crediti insolventi); che ha una flebile crescita economica (l’1,5% del PIL, la più bassa di Europa) dopo aver vissuto una dura crisi (perso il 10% di PIL in 10 anni e il 25% della produzione industriale) – e con l’aggravante che la recuperazione economica è basata sulle politiche espansive della BCE, che hanno permesso un risparmio straordinario di 43 miliardi sul pagamento degli interessi.

È evidente che un paese con queste condizioni economiche corre il rischio di dichiarare default, con una esposizione ancora maggiore dopo la guerra monetaria di Trump e lo scoppio del caso argentino.

Questa crisi economica sicuramente sfocerà in una crisi politica e sociale (come in Argentina).Costruire oggi un partito che difenda l’indipendenza politica del movimento operaio, che intervenga attivamente nelle lotte degli operai e degli oppressi, che punti al coordinamento dei settori combattivi della classe operaia per costruire un’alternativa alla burocrazia sindacale (contro chi si limita a presentarsi ai congressi della CGIL o alla politica settaria dei sindacati di base) darà la possibilità di intervenire con un ruolo importante nelle crisi politiche e sociali di un domani.

Questa è l’esperienza del Partido Obrero argentino che Prospettiva Operaia vuole fare propria.

 

Luca Solfrizzi

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