Trump – Kim Jong-un: la guerra con altri mezzi

Di Jorge Altamira

41998Il processo diplomatico tra le due Coree e gli Stati Uniti, soprattutto dopo i Giochi olimpici di Seul, sembra avere tutte le caratteristiche della quadratura del cerchio – e certamente dell’estorsione. Fino a poco prima dell’insolito viaggio della sorella di Kim Jong-un, il presidente della Corea del Nord, e di un paio di altri diplomatici in Corea del Sud, i titoli dei giornali internazionali hanno ripetutamente annunciato l’imminenza di un attacco americano alle strutture di lancio nucleari e missilistiche della Corea del Nord e il dispiegamento di portaerei statunitensi. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha votato all’unanimità severe sanzioni economiche contro la Corea del Nord. Questa posizione estrema, in modo contraddittorio, è l’antefatto della svolta delle successive relazioni diplomatiche, perché non è maturata una soluzione militare della crisi, né unilateralmente, da parte degli Stati Uniti, né congiuntamente da parte dell’ONU. L’impatto delle sanzioni sull’economia della Corea del Nord è oggetto di disaccordo tra gli osservatori: mentre alcuni sostengono che si tratta delle sanzioni più grandi e meglio applicate rispetto a tutte le precedenti, altri mostrano una crescita del PIL del paese in quel periodo, per sostenere il contrario.

 

Da un’impasse all’altra

La quadratura del cerchio che si trova ad affrontare la fase diplomatica appena iniziata è dimostrata dall’incompatibilità delle posizioni contrapposte. Il governo di Trump chiede la “denuclearizzazione” della Corea del Nord, oltre alla distruzione delle armi batteriologiche e allo smantellamento del suo arsenale missilistico. Kim Jong-un interpreta la “denuclearizzazione” in modo più ampio. Chiede pertanto la denuclearizzazione dell’intera penisola coreana e del Giappone e il ritiro delle truppe americane dalla regione. La maggioranza degli analisti prevede che la negoziazione di queste posizioni controverse sarà insolitamente lunga. Trump è condannato dal passato perché il libico Gheddafi non ha salvato il suo regime e la sua vita quando ha accettato di smantellare il suo arsenale nucleare in cambio di garanzie di sicurezza sulla carta, né l’Iran è riuscito a normalizzare le relazioni economiche internazionali dopo aver firmato un accordo di contenimento nucleare per più di un decennio con sei stati, tra cui Germania, Russia e Cina, oltre a Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, la banda che protegge coi bombardamenti i gruppi finanziati da Arabia Saudita e Turchia che operano in Siria. Né è sopravvissuta la garanzia di uno status di non allineamento e neutralità per l’Ucraina, che Bush senior promise a Gorbaciov – l’ex primo ministro della Russia.

Questa impasse nell’iniziare i negoziati diplomatici promessi tra tre parti (gli Stati Uniti e le due Coree) e una quarta in agguato (la Cina) impone una caratterizzazione più generale delle strategie in gioco. Ciò potrebbe potenzialmente emergere dopo un lungo processo negoziale, come è avvenuto in circa due decenni di negoziati tra gli Stati Uniti e la Cina. Oppure quelli più lunghi con Cuba, che sono stati interrotti più volte, e che ora si trovano in una relativa impasse.

 

Regione sismica

Una particolarità della situazione nel Nord-est asiatico è che la Corea del Nord non è stata trascinata, come nel caso del Vietnam e del resto dell’Indocina, nell’ondata di restaurazione capitalista iniziata dalla Cina e nella “normalizzazione” diplomatica con l'”Occidente”. Uno dei motivi era la resistenza a cadere nell’orbita di Pechino o la resistenza russa a tale possibilità. Una restaurazione capitalista su vasta scala da parte della Corea del Nord, sotto la guida dello Stato, avrebbe scatenato una forte concorrenza nella penisola coreana e con il Giappone, e la disputa per l’egemonia in un’unificazione delle due Coree. Questa è la considerazione strategica fondamentale che presiede al negoziato in corso, che alla fine del percorso propone una riorganizzazione della Corea del Nord in termini capitalistici. Le alternative presentate sono: una Corea del Nord di restauro capitalista, alleata della Cina; un’unificazione del Nord e del Sud, ma a quali condizioni; il posto degli Stati Uniti e del Giappone in questa ristrutturazione, che avrebbe un forte impatto sull’Asia centrale e sulla Russia. Trump ha già chiarito che la presenza militare statunitense in Giappone e Corea del Sud non è nemmeno sul tavolo.

Lungi dall’attenuare le contraddizioni e gli antagonismi, il tentativo di cambiare lo scenario politico nella regione suscita un’acutizzazione complessiva. Alla vigilia dei negoziati, Trump ha impedito a numerose società cinesi di entrare nel capitale di strategiche società tecnologiche statunitensi, ha avviato uno scontro commerciale e ha insistito per l’apertura dei mercati dei capitali cinesi. Ha rafforzato la pressione contro l’Iran e il sostegno alla politica di espulsione dello Stato sionista. Colpisce il fatto che Trump abbia riesaminato la sua uscita dal Trattato Trans-Pacifico, concepito per competere con la Cina, e abbia chiesto di rientrare. Il caso del Giappone è fondamentale, perché deve affrontare un’enorme battuta d’arresto e una crisi bancaria, nel contesto di un debito pubblico che è il più grande del mondo – il 300% del PIL. Le misure contro le grandi imprese russe sono state brutali – le ha escluse dal mercato mondiale, con la possibilità di fallire (la conglomerata d’alluminio RusAl e altri dodici monopoli). Qualsiasi accordo che la marginalizzi strategicamente non farebbe che accentuare un’enorme crisi interna che si profila. Qualcosa di simile si potrebbe dire per il futuro di Taiwan. Più in generale, è possibile vedere che una riorganizzazione strategica nella regione dovrà suscitare un enorme interesse politico tra i lavoratori di tutti i paesi coinvolti.

 

“Ultra-imperialismo” e guerra

Per alcuni studiosi, uno dei percorsi di questo processo potrebbe portare ad un grande accordo internazionale tra USA e Cina (Le Monde, 21/4), e servirebbe ad evitare una guerra mondiale. Alcuni economisti sostengono che le banche centrali americana e cinese hanno già concordato una politica monetaria comune – il “grande accoppiamento”. Assisteremmo ad una “rinascita” dell'”ultraimperialismo”, teorizzata dal revisionista tedesco Karl Kautsky. In realtà, a prevalere sono gli antagonismi, soprattutto in Asia centrale, che si sono appena manifestati con la crisi scoppiata in Armenia. Un ultra-accordo, impraticabile, tra gli Stati Uniti e la Cina scatenerebbe una crisi favolosa nell’Unione europea.

Per molti politologi nordamericani, la decisione diplomatica di Trump è poco meno di un’improvvisazione, motivata dalla necessità di deviare la crisi politica del suo governo, vessato da denunce giudiziarie di ogni genere. D’altro canto, contraddice la demagogia nazionalista con cui vuole consolidare la sua base sociale ed elettorale. La questione coreana, in breve, si gioca sul terreno della crisi capitalistica mondiale e delle guerre.

 

 

 

 

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