Crisi politica in Armenia: l’unica soluzione possibile è operaia e socialista

Redazione “Prospettiva Operaia”

 

Lunedì 23 aprile, dopo 11 giorni di proteste via via sempre più estese, si è dimesso il presidente armeno Serzh Sargsyan, accusato di aver realizzato una manovra per prolungare il suo potere: dopo aver raggiunto il limite di due mandati da presidente, aveva promosso un referendum per trasformare il paese in una repubblica parlamentare, per poi farsi nominare primo ministro. Le sue dimissioni sono avvenute dopo un breve colloquio, avvenuto davanti alle telecamere, col capo del partito d’opposizione “Contratto Civile” Nikol Pashinian, durante il quale quest’ultimo ha comunicato al presidente che non era in discussione alcuna trattativa ma solo i termini delle dimissioni dalla carica di presidente. Il presidente Sargsyan era considerato filo-russo, l’unico nella tumultuosa regione caucasica. Le sue dimissioni avvengono in un contesto di forte crisi economica e di crescenti mobilitazioni popolari contro un regime giustamente considerato corrotto e violento. Nel 2013 l’Armenia ha rinunciato ad un accordo economico con l’UE preferendogli l’adesione all’Unione Eurasiatica con Russia, Bielorussia e Kazakistan, con l’ovvio dissenso dell’opposizione liberale. La Russia è l’unico paese che ha sostenuto e tuttora sostiene l’Armenia nel conflitto “a bassa intensità” che la vede opposta all’Azerbaijan nel controllo del Nagorno-Karabakh. Sebbene si siano tuffati in questa mobilitazione i partiti “liberali” filoccidentali (i quali però come ricordava Sargsyan nel confronto davanti ai media, hanno l’8 % in parlamento), sembrerebbe però una mobilitazione diversa da quella ucraina che terminò con il golpe della NATO e l’instaurazione del governo di Poroshenko. Lunedì hanno manifestato nella capitale Yerevan più di 200 mila persone in un paese che non arriva a tre milioni, con una minoritaria ma significativa presenza di operai e studenti. La mobilitazione per chiedere la liberazione di Pashinian, invece, non ha superato i 10mila. Le mobilitazioni tra l’altro hanno visto un’adesione da parte di un settore dell’esercito, maggioritariamente composto dalla truppa. Il pacifico passaggio di consegne tra il presidente e il vicepresidente avviene in questo contesto di frammentazione del consenso presidenziale tra le forze armate. Si apre una fase di transizione politica che presenta una stridente contraddizione tra gli interessi della maggioranza dei manifestanti e la direzione politica del movimento. L’occidente, nella sua strategia di accerchiamento della Russia (e della Cina), tenterà ovviamente di rafforzare il carattere filo-UE della mobilitazione e di marginalizzare qualunque tentativo di indipendenza del proletariato armeno. Per evitare che la mobilitazione diventi una nuova Euromaidan occorre, con urgenza, che la classe operaia armena si mobiliti in maniera indipendente dalla frazione filoeuropea della borghesia, demarcandosi sia da Pashinian che da Sargsyan. L’unica soluzione alla crisi politica armena è la rivoluzione socialista, in Armenia e in tutto il Caucaso e la costruzione di una federazione rivoluzionaria di repubbliche socialiste del Caucaso.ev-1.jpg

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