La quarta Conferenza euromediterranea di emergenza ha adottato numerose risoluzioni su questioni che vanno dagli obiettivi delle lotte nei Balcani alla solidarietà contro la repressione del movimento operaio del Kazakistan. Ma la risoluzione principale è stata naturalmente la Dichiarazione finale, che trattava le questioni mondiali e regionali in modo abbastanza completo. Pubblichiamo di seguito questo testo, adottato all’unanimità l’ultimo giorno della Conferenza.
La crisi capitalista mondiale, dopo dieci anni di stagnazione economica, devastazione sociale e convulsioni politiche, continua e si acuisce senza una soluzione in vista.
Tutte le misure straordinarie prese dai governi e dalle banche centrali dopo la debacle di Lehman Brothers, i fiumi di liquidità al sistema finanziario imploso con un gigantesco costo sociale sotto un regime permanente della più draconiana “austerità” sulle masse popolari, non sono riuscite a portare la fine della crisi mondiale, una Terza Grande Depressione nella storia del capitalismo mondiale. Al contrario, hanno prodotto le condizioni sociali, economiche e politiche per nuove esplosioni.
L’incapacità del sistema capitalista di trovare finora un’uscita da questa crisi dimostra il suo avanzato declino storico e il suo impasse strategico dopo il fallimento sia del keynesismo nei primi anni ’70 sia del neoliberismo nel 2007-2008.
Tutte le tendenze contraddittorie dell’ultimo decennio si stanno ora intensificando, lo scivolamento verso la barbarie ma anche la spinta delle masse povere a cercare una via d’uscita dalla crisi attraverso la resistenza, la ribellione e la rivoluzione.
La crisi sistemica strutturale del capitalismo globale sta disintegrando il tessuto sociale ovunque, immergendo l’immensa maggioranza dell’umanità nel baratro di sofferenze e miserie e spingendo il sistema stesso sull’orlo di un precipizio: una crisi con milioni di disoccupati e molti altri milioni in una schiavitù lavorativa sottopagata “flessibile” in Europa e in America; un inarrestabile tsunami di profughi disperati dal sud e dall’est al nord e all’ovest, alle porte dei centri imperialisti che in primo luogo hanno prodotto la loro miseria; crisi dei regimi, decadenza del parlamentarismo e passaggio al dominio autoritario, al collasso dei principali partiti della borghesia, ascesa dell’estrema destra e del fascismo, del razzismo, della xenofobia, dell’islamofobia e dell’antisemitismo in Europa e in America, e del reazionario oscurantista “takfirismo” in Medio Oriente e in Africa; interventi militari imperialisti o guerre per procura in Medio Oriente, Asia, Africa, nelle zone di confine orientali dell’Europa, con il confronto tra la NATO e Stati Uniti con Russia e Cina che minaccia di espandere la guerra imperialista a livello internazionale.
L’America, in quanto paese capitalista più potente al mondo, è il centro della crisi capitalista mondiale. L’Unione europea post-Brexit, in fase disintegrazione, è un obiettivo in prima linea molto vulnerabile, insieme a Cina e Iran, degli sforzi del capitalismo statunitense per esportare la propria crisi. L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca è al tempo stesso la massima manifestazione politica finora del decadimento e della crisi del sistema capitalista globale e un fattore potente e imprevedibile per la sua accelerazione. Il protezionismo, il nazionalismo economico e le politiche “prima l’America” sotto Trump sono mezzi per vincere il declino da un’offensiva internazionale su scala mondiale, rischiando, tra l’altro, una dislocazione dal mercato mondiale.
L’imminente crisi del regime negli Stati Uniti con lo scontro senza precedenti tra il governo personale dell’Amministrazione Trump e i servizi di intelligence dello stato – la peggiore crisi politica dallo scandalo Watergate che solleva nuovamente la questione dell’impeachment del Presidente – mostra una profonda spaccatura all’interno della classe dirigente statunitense; e questa crisi del potere politico si sta svolgendo in condizioni in cui milioni di persone si sono mobilitate contro Trump dal primo giorno della sua inaugurazione, intensificando i movimenti di massa già generati dalla crisi capitalista, i movimenti Occupy, Black Lives Matter, ed anche il sostegno di massa a Bernie Sanders prima della sua vergognosa capitolazione nella Convention democratica.
Questa impennata negli Stati Uniti che unisce, prima di tutto, gli strati più oppressi e ultrasfruttati – lavoratori, afroamericani, latini, donne, immigrati, altre minoranze e, per la prima volta, comunità musulmane ed ebraiche – è la manifestazione di una nuova potente ondata internazionale di lotte a livello mondiale che segue, dopo riflussi, capitolazioni e colpi ricevuti, la precedente prima ondata di mobilitazioni di massa prodotte dalla crisi mondiale nell’Europa meridionale, e dal Medio Oriente e Nord Africa (MENA), da Tahrir a Puerta del Sol , Syntagma e Taksim nel 2011-2013. Ora, l’ascesa dei movimenti popolari statunitensi segue la “primavera francese” del 2016 con gli scioperi generali, le occupazioni, le dimostrazioni di massa e le “Nuits Debout” nelle piazze contro la legge anti-lavoro, il movimento di una giovane generazione attorno a Jeremy Corbyn, la rivolta sociale senza sosta che torna nei vari paesi dei Balcani, le enormi mobilitazioni in Corea del Sud per abbattere il Presidente e lo sciopero generale di 100 milioni di lavoratori in India e l’ultima ondata di lotte e scioperi generali in Brasile.
La politica mondiale si muove in modo imprevedibile, non lineare, attraverso zig-zag febbrili a destra e a sinistra, ponendo sfide acute e urgenti alle masse degli sfruttati e degli oppressi, alle loro organizzazioni politiche e ai movimenti sociali, e alla stessa sinistra rivoluzionaria.
L’UE in crisi terminale?
L’UE in un processo di disintegrazione si incontra, interagisce e si compenetra con il caos in Medio Oriente e Nord Africa. Ciò si manifesta più chiaramente in due paesi in cui questi due processi si fondono: una Grecia già devastata dal diktat dell’UE e dal FMI, che vive una tragedia gemella, il suo stesso disastro umanitario combinato con la tragedia di migliaia di profughi intrappolati in condizioni spaventose in un paese distrutto; e la Turchia in profonda crisi, già coinvolta nelle guerre nella regione e con il popolo kurdo, in una guerra civile interne e di fronte al crescente dispotismo del regime di Erdogan.
Indubbiamente, l’Europa, il luogo di nascita del capitalismo ora in declino storico, diventerà un’arena di battaglie sociali che sostituirà tutto ciò che è accaduto nel suo passato storico, pieno di sangue e furia.
A 60 anni dal lancio dell’iniziativa da parte delle classi dirigenti in Europa della sua integrazione economica e politica, l’intero progetto si è rivelato un disastro in tutti i sensi:
- un disastro per la classe operaia e per i poveri strati popolari negli Stati membri di questa Unione imperialista, di fronte alla costante distruzione di posti di lavoro, salari, pensioni, servizi sanitari, istruzione, con uno “stato di eccezione” permanente.
- un disastro in particolare per la popolazione dell’Europa centro-orientale e dei Balcani, dove l’espansione verso est dell’UE e della NATO per ricolonizzare l’ex spazio sovietico e un restauro in stile mafioso dello sfruttamento capitalista ha portato alla deindustrializzazione, alla distruzione delle condizioni di vita della maggioranza assoluta, l’arricchimento di una piccola minoranza di oligarchi e politici corrotti, e l’immigrazione di massa delle persone impoverite.
- un disastro per la pace, sia in Europa, dal ruolo dell’UE nelle guerre jugoslave all’attuale debacle ucraina e l’espansione bellica della NATO fino ai confini della Russia, cosi come per la serie di aggressioni imperialiste europee in Libia, Siria, Medio Oriente e Africa.
- un disastro per milioni di rifugiati, vittime dell’imperialismo europeo e statunitense, che, alla ricerca di condizioni di vita decenti nella loro ricerca di sopravvivenza, affrontano una “Fortezza Europa”, una cinica UE che chiude la strada dei Balcani occidentali, firmando un infame accordo con la Turchia di Erdogan, condanna quindi i profughi ad affogare nel mezzo del Mediterraneo e nel Mar Egeo, o ad essere internati in nuovi campi di concentramento, o essere perseguitati da razzisti, fascisti, polizia e militari, o essere respinti a le loro terre distrutte.
- un disastro per l’ambiente e per tutte le condizioni di vita distrutte dall’avidità capitalista
- un disastro per gli stessi capitalisti poiché la crisi capitalista mondiale, ha dato un colpo fatale alla zona euro, ha portato ad una bancarotta non dichiarata non solo in Grecia, ma l’intero sistema bancario europeo, tra cui Deutsche Bank, la più grande banca del continente, ha acceso il nazionalismo velenoso , la xenofobia, il fascismo e l’odio razzista, ha alimentato tutti gli antagonismi nazionali e imperialisti e rafforzato le forze centrifughe di disintegrazione, a partire dalla Brexit.
Dobbiamo organizzare, resistere, combattere e vincere!
L’acuirsi di tutte queste contraddizioni produce condizioni – nonostante il prevalente pessimismo, in particolare tra la sinistra frammentata, confusa e in ritirata – per nuovi scontri di classe, persino sviluppi rivoluzionari nel continente europeo.
Ma per combattere e vincere, dobbiamo trarre insegnamenti da esperienze strategiche recenti e passate, in particolare da Grecia, Spagna, Portogallo, Francia e Italia.
Gli enormi movimenti di massa radicalizzati nell’Europa meridionale nel 2010-12 hanno spinto, con qualche naturale ritardo, verso il potere governativo, formazioni della sinistra riformista come Syriza in Grecia o movimenti come Podemos in Spagna, oltre a soffiare il vento sulle vele di altri come il blocco di sinistra in Portogallo, l’IRA in Irlanda e, più recentemente, la France insoumise di Mélenchon in Francia. Syriza, è stata celebrata, in particolare da una sinistra internazionale liberale disfattista, come paradigma di un ” anticapitalismo radicale ” per un cambiamento sociale, oltre la “vecchia” dicotomia tra riforma e rivoluzione, attraverso l’elezione parlamentare dei “governi di sinistra” sostenuti da movimenti sociali extraparlamentari di massa. Ma Syriza, accettando fin dall’inizio la struttura dell’UE e del capitalismo, cercando disperatamente un compromesso di classe e la pace di classe in condizioni di guerra di classe, con l’UE, il FMI e le classi dominanti dell’Europa e della Grecia, ha capitolato senza sorpresa a queste forze nel luglio 2015, tradendo le aspettative popolari e la volontà popolare espressa nel referendum sull’ultimatum della troika e la minaccia per una Grexit. Dal Memorandum 2015 in poi e ora di nuovo nel 2017 con quello nuovo legato alla seconda revisione del cosiddetto “programma di salvataggio”, Syriza ha attuato le più dure misure di “austerità” che nemmeno la Destra avrebbe potuto imporre senza affrontare il pericolo di un rovesciamento rivoluzionario. Una simile traiettoria di destra è seguita da Podemos in Spagna. In Portogallo, il governo social-liberista e pro-UE del Partito socialista è al potere, attuando misure di austerità grazie al sostegno del Blocco di sinistra e del Partito comunista.
La lezione è chiara: non esiste una via di mezzo o uno spazio per il compromesso di classe e la collaborazione di classe con la classe capitalista e l’Unione imperialista! Il risultato è qui per essere visto da tutti: il collasso politico di quasi tutta la Sinistra tradizionale in Europa, sia apertamente riformista che la nuova finta “anticapitalista”, in Grecia, in Francia, in Italia e altrove. L’indipendenza politica della classe operaia come forza egemonica di tutte le classi subalterne contro la classe dominante è il prerequisito per evitare la catastrofe sociale, sconfiggere i demagoghi dell’estrema destra e del fascismo e per un esito vittorioso e socialista della crisi. E questa indipendenza ed egemonia non può essere raggiunta né dal puro sindacalismo combattivo, come ha dimostrato l’esperienza della lotta contro la legge di El Khomri in Francia, né da un’azione diretta dispersa, spontanea, disorganizzata, di minoranza, né ancora da alcun “movimento” “E ancor meno dissolvendosi nei cosiddetti” movimenti ampi “attorno a una personalità carismatica come il riformista nazionalista di sinistra Mélenchon. Ciò di cui c’è urgente bisogno è un’organizzazione politica rivoluzionaria, in altre parole, partiti rivoluzionari internazionalisti e antiburocratici della classe operaia e una Internazionale rivoluzionaria.
La borghesia europea ha storicamente dimostrato la sua assoluta incapacità di unificare il continente sia con la guerra sia con un processo economico “pacifico”. L’UE in decadenza ora sta minacciando tutte le masse povere d’Europa di affamarle e di seppellirle sotto le sue rovine. L’appello dei nazionalisti di destra -o di “sinistra” – per il ritorno alla camicia di forza dello Stato nazionale borghese è una ricetta per il disastro. L’avvelenamento della vita economica con il nazionalismo porta al fascismo ed è condannato a fallire nel superamento della crisi capitalista. Nessun compromesso, nessuna concessione ma una guerra dichiarata contro qualsiasi manifestazione di razzismo, discriminazione contro gli immigrati, i rifugiati o qualsiasi comunità oppressa a causa della sua origine nazionale, etnica, religiosa o sessuale. Nessun confine, unità nella lotta tra tutti gli oppressi e gli sfruttati!
Solo la classe operaia – “nativa”, migrante o rifugiata, occupata o disoccupata e il vasto proletariato nomade che si muove tra posizioni di lavoro “flessibili” e sottopagate – può ed è costretta a porre fine alla crisi espropriando gli espropriatori, tutte le banche e i settori strategici dell’economia, riorganizzandola su nuove basi socialiste, un’economia pianificata democraticamente sotto il controllo dei lavoratori e la gestione dei lavoratori. Per unificare il continente, sulle rovine dell’Unione europea imperialista, negli Stati uniti socialisti d’Europa.
I lavoratori e i poveri in Europa non possono emanciparsi senza solidarietà e una lotta comune insieme a tutti gli oppressi contro ogni forma di discriminazione di genere, origine etnica nazionale, religione o orientamento sessuale. È necessaria una lotta comune con gli immigrati e i rifugiati, così come con tutti i popoli del Medio Oriente, dell’Asia, dell’Africa o dell’America Latina oppressi dall’imperialismo.
Europa centrale e orientale e Balcani
L’Europa centro-orientale (ECO) e gli impoveriti Balcani sono stati trasformati in una polveriera dall’imperialismo, dagli Stati Uniti e dall’UE, nella loro ricerca dell’accerchiamento della Russia. I paesi dei Balcani si stanno progressivamente preparando per “l’adesione” a un’Unione Europea che è in sé stessa in contraddizioni insormontabili e quindi mantiene molti paesi nell’anticamera. L’integrazione” della regione con l’UE è stata trasformata da una condanna a un incubo. Per tutto il tempo, l’esca di una futura “adesione” viene utilizzata per mantenere i Balcani sotto l’egemonia dell’UE. Per questa ragione, la regione viene persino derubata della sua storia, e l’appellativo “Balcani” viene sostituito dall’inoffensivo “Europa sud-orientale”.
La regione è scossa da continui disordini, conflitti nazionali, l’ascesa di governi di estrema destra in Ungheria e Polonia – ma anche ricorrenti ribellioni sociali in Romania, Moldavia, Bulgaria, Slovenia, Montenegro, Macedonia, Kosovo, Serbia e Bosnia. Persino in Polonia, sempre più sotto il controllo di un dispotico governo di PiS, un vittorioso “sciopero nero” di donne ha avuto luogo contro l’estensione della legge antiaborto da parte del regime ultraconservatore. Ci rifiutiamo di capitolare sia agli interventi e le manipolazioni dell’UE / NATO che all’odio nazionale-etnico. Anche qui l’internazionalismo in azione è indispensabile per la sopravvivenza e l’uscita dall’inferno. Cacciare via l’imperialismo UE / USA / NATO, le loro basi militari e le loro marionette dall’Europa centro-orientale e dai Balcani! Espropriare tutti gli oligarchi, reindustrializzare sotto il controllo e la gestione dei lavoratori sulla base di un’economia democraticamente pianificata in base alle necessità sociali e in linea con la preoccupazione per l’ambiente! Abbasso lo sciovinismo; solidarietà attiva tra i popoli, per una Federazione socialista ECO-balcanica!
L’ex spazio sovietico – Ucraina e Russia e Transcaucasia
Sin dalla fase iniziale dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, divenne chiaro che la restaurazione capitalista era interconnessa con i piani imperialisti USA e UE per frammentare e ricolonizzare lo spazio ex sovietico sfruttando le sue risorse sotto regimi oligarchici sottilmente mascherati da “democrazie” borghesi. Mentre le contraddizioni del processo di restaurazione capitalista erano acuite e diventavano sempre più insolubili, in particolare dopo l’eruzione della crisi capitalista mondiale, questo sforzo imperialista di ricolonizzazione sotto regimi burattinai semi-dittatoriali locali si è intensificato. Un esempio chiaro e chiaro è quello che è accaduto con il crollo economico-politico dell’Ucraina in un “buco nero”, il progetto del partenariato orientale dell’UE fallito e l’intervento aperto da parte della NATO e dell’imperialismo statunitense che istituisce un regime fantoccio di oligarchi e seguaci fascisti di Stepan Bandera a Kiev, lancia una guerra contro la resistenza nei centri operai del Ucraina meridionale industrializzata della regione russofona del Donbass.
Come la seconda Conferenza euromediterranea dei lavoratori del 2014 e il relativo Appello avevano sottolineato: “L’aggressione sponsorizzata dalla NATO nell’Ucraina del sud-est minaccia non solo il popolo ucraino di una sanguinosa guerra civile generalizzata e i popoli dell’Ucraina e della Russia con una guerra fratricida, ma anche tutti i popoli della regione, dell’Europa, dell’Est e dell’Ovest e della pace mondiale. Dobbiamo fermarli con una mobilitazione internazionale degli operai e dei movimenti popolari!
Nessuna fiducia può essere posta nella diplomazia segreta tra i governanti di Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Ucraina, che funge da cortina di fumo per giochi geopolitici e trattative tra imperialisti e oligarchi in competizione a spese dei popoli stessi in Ucraina, Russia, Est e l’Europa occidentale e in tutto il mondo. “
Tre anni dopo la situazione resta un disastro. È persino peggiorata a causa dei cosiddetti “accordi di Minsk”, delle sanzioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti contro la Russia e della diplomazia segreta tra il Cremlino e l’Occidente per un reciproco “grande patto”.
Opponendoci all’intervento imperialista e alla guerra nel Donbass, opponendoci senza compromessi sia ai fascisti ucraini di Bandera che al nazionalismo grande -russo, ci schieriamo fermamente sulle basi politiche internazionaliste della precedente Conferenza euromediterranea dei lavoratori: cacciare via l’imperialismo e il fascismo dall’Ucraina! La finta Verkhovna Rada delle mafie oligarchiche deve essere immediatamente dissolta. I consigli dei lavoratori devono essere formati ovunque ed eleggere i delegati in una nuova Verkhovna Rada, in un’Ucraina unita, indipendente, socialista, governata dai consigli dei suoi lavoratori e del popolo e non dai gangster pagati da Washington, Berlino o Bruxelles.
In Transcaucasia, sotto il vento trasversale della pressione dell’imperialismo e della Russia, l’ex burocrazia si è vestita della veste di parvenu borghese e sta spingendo lo sfruttamento del proletariato ai suoi limiti, prolungando la giornata lavorativa, tenendo bassi i salari, e privando la classe lavoratrice delle sue conquiste sociali in settori come l’istruzione, la sanità e l’alloggio. Questa nuova borghesia è impegnata a distogliere l’attenzione delle masse dallo sfruttamento e dalla miseria agitando le tensioni etniche, in particolare nel caso del Nagorno Karabagh che contrappone i popoli dell’Armenia e dell’Azerbaigian l’uno all’altro, e la chiusura del confine a L’Armenia dalla Turchia, che blocca il commercio dall’Armenia e condanna ulteriormente quel paese già in gravi difficoltà economiche per l’ulteriore povertà. Il regime di Aliev in Azerbaigian è un copione del regime di Erdoğan in Turchia. Per quanto riguarda la Georgia, dal 2009 il paese ha pagato un prezzo elevato per il lavoro sporco, il suo ex presidente, Saakashvili, ha giocato a favore degli Stati Uniti nei confronti della Russia. Quel malvagio uomo politico ha abbandonato il suo stesso paese per ricevere l’equivoco onore di essere nominato governatore di una regione nell’Ucraina federale, una vera impresa nel mondo moderno, sebbene non sconosciuta negli ambienti reali dell’Europa medievale.
Cacciare via l’imperialismo dal Medio Oriente e fermare la carneficina settaria!
La rivoluzione araba, in particolare in Egitto e in Tunisia, ha rovesciato decenni di dittature, ha messo fine a una lunga era durante la quale non vi è stata una rivoluzione vittoriosa a livello internazionale. La rivoluzione egiziana in particolare è stata una delle più potenti sollevazioni di massa nella storia moderna, combattendo successivamente tre diverse strutture di potere. Due di questi sono riusciti a far cadere, ma alla fine è stato fermato dal colpo di stato militare e dal regime bonapartista del generale al Sisi a metà del 2013. La recente liberazione di Hosni Mubarak dalla prigione è un affronto all’eroica lotta del popolo egiziano e dimostra che la rivoluzione è stata temporaneamente battuta. La rivoluzione tunisina e più marcatamente le rivoluzioni egiziane avevano un chiaro carattere operaio, ma i compiti rivoluzionari che derivavano da questa dimensione non sono stati raggiunti perché non è stata stabilita l’indipendenza politica della classe lavoratrice dalle borghesi nazionaliste e liberali. Così ha perso la possibilità di diventare la forza egemonica nella rivoluzione che lo ha portato alla vittoria finale. Uno dei motivi principali per questo e la conseguente sconfitta della rivoluzione è l’assenza di un partito proletario rivoluzionario, la cui creazione è una questione scottante in tutti i nostri paesi.
L’imperialismo è intervenuto e ha diffuso il caos in Medio Oriente per fermare la rivoluzione araba: l’inferno in Siria e in Libia, la dittatura al Sisi in Egitto, le atrocità nello Yemen. Il cosiddetto “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, ISIL o Daesh, è un mostro di Frankenstein creato dall’imperialismo stesso e dai suoi alleati regionali, l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia di Erdogan in prima linea, nella loro ricerca per trasformare la rivolta popolare siriana del 15 marzo 2011 in una guerra civile su basi settarie, che ha lanciato i sunniti contro gli Alauiti (e regionalmente contro gli sciiti). Miseria sociale in Medio Oriente e Nord Africa (MENA), razzismo e discriminazione nei confronti delle popolazioni emarginate musulmane e arabe nelle metropoli dell’imperialismo, tutto questo aggravato dalla crisi economica che crea grandi sacche di disoccupazione e povertà nei centri metropolitani, finiscono per gettare i giovani musulmani tra le braccia del barbarico Daesh.
Come risultato diretto dell’intervento imperialista, non meno di tre paesi in Medio Oriente (Siria, Iraq e Yemen) e uno in Nord Africa (Libia) sono in preda a guerre su molti fronti che colpiscono una moltitudine di attori ognuno contro ciascuno altro, risultante in un bagno di sangue difficilmente comprensibile per i popoli del mondo. Solo in Siria sono in guerra, circa 65 paesi, la maggior parte dei quali seguaci docili della cosiddetta Coalizione guidata dagli Stati Uniti, e molte organizzazioni non statali. La cosiddetta “rivoluzione siriana” è da tempo morta. Vive nell’immaginazione dei movimenti di sinistra fuori dal contatto con le realtà del paese. Il crogiolo siriano è il precursore di una terza guerra mondiale nella quale il capitalismo senile sta minacciando di gettare l’intero mondo. I rifugiati sono senza il minimo dubbio le vittime di queste politiche imperialiste, ma sono trattati come i nuovi paria del mondo e spinti oltre i confini dell’Europa sulla base di un accordo sporco tra l’UE e la Turchia di Erdoğan.
L’eroico popolo kurdo, l’unica forza che ha resistito vittoriosamente a Daesh in Rojava, nel Kurdistan siriano, affronta nuovi pericoli derivanti dagli intrighi dell’imperialismo USA, della diplomazia segreta e dall’intransigente negazione dei diritti curdi anche oltre i suoi confini da parte dello stato turco. La sua recente posizione come forze di terra degli Stati Uniti nella sua lotta contro Daesh, sul punto di trasformarsi in un’alleanza strategica con l’imperialismo, minaccia il carattere di emancipazione della lotta decennale del popolo curdo.
La nuova amministrazione Trump intensificherà l’orrore. Copre il governo Netanyahu d’estrema destra in Israele, espandendo la costruzione di colonie in terra palestinese e persino pianificando l’annessione della Cisgiordania, per completare la Nakbah (distruzione) del popolo palestinese. Sono anche in corso piani per lo sfruttamento del gas naturale al largo delle coste della Palestina, il che implica che il popolo palestinese sarà derubato di una risorsa redditizia che gli appartiene legittimamente. Quest’anno è il Centenario della Dichiarazione di Balfour, quella sinistra profession de foi da parte dell’imperialismo britannico che ha fornito al sionismo l’opportunità di stabilire una “casa ebraica” in Palestina, stabilendo così le basi storiche dell’asservimento del popolo palestinese. Alziamoci per difendere i diritti di questo popolo perseguitato al fine di rendere possibile la sua autodeterminazione. La questione palestinese può essere risolta solo attraverso la sconfitta del sionismo, la piena attuazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, incluso il diritto al ritorno dei rifugiati e l’istituzione di una Repubblica libera, laica, unita, socialista sul territorio storico della Palestina sulla base della convivenza tra ebrei e arabi.
Inoltre, la strategia dell’amministrazione Trump è quella di sfruttare la divisione reazionaria sunnita-sciita per formare un’alleanza di guerra dei regimi arabi oligarchici nella regione, sotto la guida dell’Arabia Saudita e la complicità della dittatura di al Sisi in Egitto, con i guerrafondai in Israele, per uno scontro con l’Iran e i suoi alleati regionali. Questo passerà per le mani del regno saudita, probabilmente lo stato più reazionario sulla faccia della terra oggi governato da una banda di rentiers, nella sua ricerca di conquistare fonti sempre maggiori di combustibili fossili, e il governo dell’AKP in Turchia, nel suo sforzo ossessivo per rendere il suo leader Erdogan il “Rais” dell’intero mondo sunnita.
Tutto dimostra che qualsiasi soluzione ai mali della regione MENA è basata sulla cacciata delle forze imperialiste dalla regione. Solo quando l’imperialismo sarà espulso, i popoli della regione potranno iniziare a curare le loro ferite e superare le loro differenze. Le dinamiche velenose di una guerra settaria sunnita-sciita sulla scala del Medio Oriente e oltre minacciano non solo le popolazioni ma anche la secolare civiltà della regione. Questa tendenza si sta ora unendo con l’imperialismo e il sionismo. La carneficina può essere fermata solo da un ampio fronte di forze antimperialiste e antisioniste che combattono anche contro i regimi reazionari nei loro paesi. Solo una Federazione socialista del Medio Oriente e del Nord Africa fornirà la soluzione finale a tutti i mali della regione.
Risposta urgente necessaria per una situazione urgente
La spinta a generalizzare la guerra imperialista è più pericolosa che mai, minaccia tutti i popoli del mondo – e dobbiamo combattere ovunque per sconfiggere l’imperialismo e la guerra. Anche prima dell’avvento di Trump, l’imperialismo statunitense in collusione con i suoi alleati europei stava operando febbrilmente attraverso tutti i mezzi disponibili per l’accerchiamento di Russia e Cina allo scopo di metterli in ginocchio quando le circostanze l’avrebbero permesso. Questa politica ostinata, accompagnata dalla spinta a controllare il Medio Oriente a causa delle sue risorse energetiche, porterà, con tutta probabilità, il mondo alla catastrofe di una Terza Guerra Mondiale, prima o poi. L’alternativa drammatica proposta da Rosa Luxemburg durante la Prima guerra mondiale è più attuale che mai: socialismo o barbarie.
La 4ª Conferenza euromediterranea dei lavoratori di emergenza ad Atene, in Grecia, dal 26 al 28 maggio 2017, fa appello a tutte le forze del movimento internazionale della classe operaia che sono fedeli alle idee rivoluzionarie del marxismo, a tutti i veri comunisti, a tutti coloro che lottano per l’emancipazione degli oppressi, a tutti i combattenti per la libertà, di riunire le nostre forze per fermare questa deriva verso la barbarie.
Questo è l’anno del Centenario della Grande Rivoluzione d’Ottobre, che ha creato il primo stato operaio duraturo della storia. Tutto il resto delle rivoluzioni e altri tipi di transizione verso l’abolizione del capitalismo nel 20 ° secolo erano, in larga misura, la progenie di questa fonte. Prendiamo ispirazione dalla Rivoluzione d’Ottobre, impegniamoci a creare un nuovo movimento internazionale che guiderà tutte le lotte per l’emancipazione, eviterà gli errori del passato e creerà le basi di una società senza classi su scala internazionale che eliminerà per sempre la barbarie in cui il capitalismo in declino ci sta spingendo ancora una volta.
Votato all’unanimità, 28 maggio 2017