I problemi della guerra civile. Conferenza di Trotsky tenuta alla Società delle scienze militari di Mosca (luglio 1924)

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Nota introduttiva

di Artale di Cea

Trotsky ha sempre messo in guardia il proletariato rivoluzionario contro due ostacoli conoscitivi-pratici  che hanno pesato negativamente in Germania nel 1923 e nell’evoluzione dell’Armata rossa determinata dal potere della casta burocratica usurpatrice: il fatalismo passivo sui problemi dell’insurrezione e il dottrinarismo e lo schematismo degli ufficiali dell’Armata sostenitori di una scienza militare proletaria che spianarono la strada alla sottomissione dell’esercito rivoluzionario agli interessi della casta burocratica. In  I problemi della guerra civile Trotsky espone cartesianamente e dialetticamente  i principi, il metodo e le argomentazione per eliminare quegli ostacoli conoscitivo-pratici.

Per questo fine va predisposto un regolamento della guerra civile che avrà al primo posto l’insurrezione in quanto fase suprema della rivoluzione. Il regolamento non sarà l’insieme delle norme dedotte da una “scienza militare proletaria” ma l’insieme delle generalizzazioni riunite e coordinate dei dati della guerra civile, delle analisi delle condizioni in cui avviene, dello studio degli errori.  Come la guerra è un’arte lo è pure l’insurrezione: <<La teoria della guerra è uno studio delle forze e dei mezzi di cui si dispone, della loro concentrazione in vista della vittoria. Allo stesso modo, l’insurrezione è un’arte>>.

Il fatalismo passivo  di “molti comunisti occidentali” e, di quelli tedeschi in particolari,  fu, insieme alla designazione di Radek a capo dell’insurrezione tedesca, il principale fattore del “fiasco” dell’ottobre del 1923. Uno degli effetti negativi di questa concezione fu la sottovalutazione della “fissazione dell’insurrezione”.  I comunisti tedeschi e Rosa Luxemburg vedevano solo “ l’irresistibile spinta delle masse” che travolgesse tutti le barriere e spezzasse le catene della burocrazia sindacale” non si posero la questione della specificità dell’insurrezione e della sua preparazione. Lo sciopero generale rivoluzionario è un momento della guerra civile che non è risolutivo per la conquista del potere . Risolutiva è l’insurrezione che si poggia sullo sciopero. Il fatalismo passivo fu riassunto da Trotsky in questa formula: <<La rivoluzione si avvicina, dicono, e porterà con sé l’insurrezione e ci darà il potere>>.

Il regolamento della guerra civile è lo strumento per passare alla pratica una volta che il partito coglie <<il momento in cui il proletariato dice a sé stesso: “non c’è più nulla da aspettarsi dagli scioperi, dalle manifestazioni e altre manifestazioni. Ora si tratta di battersi. Io sono pronto perché non c’è altra via d’uscita da questa situazione, ma poiché questa è la battaglia bisogna impegnarsi con tutte le forze e sotto una direzione sicura”>>. La fissazione dell’insurrezione è un momento spazio-temporale in cui sono indicati gli obiettivi da prendere in possesso e scalzarne il nemico privandolo della volontà.

Nella seconda metà degli anni settanta c’è stato il massimo della sottovalutazione della fissazione spazio-temporale dell’insurrezione sostituendole la “microfisica del potere”. Nell’espressione “volete conquistare il palazzo d’Inverno?” era l’espressione volgare di quella sostituzione. Energie sprecate e mandate allo sbaraglio!

Lo schematismo dottrinario che non è in grado di comprendere che a ognuna delle tre fasi della guerra corrisponde un lavoro militare specifico del partito. Particolarmente importante è il lavoro militare nella fase di preparazione rivoluzionaria in cui si combinano:

a)Il lavoro militare per “disaggregare l’armata nemica, a scompaginarla” dedicandogli i “nove decimi del lavoro militare del partito e un decimo a “raggruppare e a preparare le forze rivoluzionarie”;

b)e, quanto più siamo vicini al momento dell’insurrezione, si “deve intensificare il lavoro per la formazione delle organizzazioni di combattimento”.

Il lavoro militare nell’esercito ha il suo fondamento nella contraddizione immanente fra truppa e casta degli ufficiali e ciò che determina la “tendenza operai-soldati” che è riapparsa come ha sottolineato Altamira nella rivoluzione egiziana ma, pure, in Portogallo e in Grecia contro il direttorio di Bruxelles. A questa contraddizione non si è neppure sottratta la crisi della gendarmeria argentina dell’ottobre-novembre del 2012. Sulla politica rivoluzionaria in questa crisi si confrontarono il Partido de los Trabajadores Socialistas e il Partido Obrero. Per la sezione argentina del FIT i rivoluzionari dovevano astenersi dal prendere posizione e invece di una politica rivoluzionaria per quella crisi, rimandavano la questione della politica militare al futuro quando sarà costituita la Guardia Rossa. Tale posizione fu criticata dal Partido Obrero perché <<non si può attendere, per prendere posizione, l’arrivo dei momenti decisivi, quando i problemi verso di questi non esistono più perché sono arrivati alla piena maturità e al loro risultato. L’arte della politica socialista(e più esattamente, della strategia) consiste, di nuovo precisamente, nell’esaurire l’esperienza con tutte  di tutte le fasi della transizione politica, dallo stato attuale delle cose fino alla vittoria della classe operaia, per mezzo di un’attività concreta per conquistare una posizione dirigente in questo risultato. Conquistare una posizione organizzativa all’interno delle forze che si occupano in forma diretta della repressione statale, sulla base di una posizione classista, è tanto legittimo e necessario quanto ottenerlo in una istituzione parlamentare dello stesso stato….Parafrasando una famosa frase: nessuna crisi politica ci è estranea a noi socialisti>> (Norberto Calducci, Una crisi di stato e i socialisti- Prensa Obrera 11 ottobre 2012). Che cosa significhi una “posizione classista” lo spiegò Marcelo Ramal proponendo alla sinistra un’iniziativa politica per scardinare la proposta di sindacalizzazione della polizia del governo di Kirchner:  combinando la lotta contro il progetto di spionaggio contro il movimento popolare (Project X) con la proposta di un’unione sindacale dei poliziotti che abbia il diritto di sciopero e il potere di veto sugli ordini di attacco alla lotta di classe del movimento operaio e degli sfruttati>> (Marcelo Ramal, La crisi dei prefetti e dei gendarmi- Prensa Obrera 11 ottobre 2012). Ecco la differenza tra chi rimane impigliato nello schematismo e nel fatalismo passivo e chi si sforza di padroneggiare con  la dialettica la totalità  sociale in movimento.

Il regolamento per la guerra civile è “destinato in primo luogo ai quadri del partito, ai capi della rivoluzione….Naturalmente si dovranno volgarizzare alcuni capitoli, alcune questioni saranno riscritte per una cerchia più larga di lavoratori, ma prima di tutto è indirizzato ai capi della rivoluzione>>.

La prossima guerra pronosticava Trotsky in “una misura bel più ampia di quanto è avvenuto fino ad oggi, si combinerà con diverse forme di guerra civile”, oggi gli spasimi dell’agonia del capitalismo ci pongono di fronte alle stesse questioni affrontate in questo discorso di Trotsky. Le lezioni dell’esperienza delle guerre civili accumulata dal movimento operaio nel secolo passato e le generalizzazioni fatte da Trotsky non ci esimono dalla necessaria sperimentazione, ma la faremo con un patrimonio straordinario non saperlo usare equivale ad un tradimento


I problemi della guerra civile

di Lev Trotsky

E’ un fatto che, finora, nessuno si è preoccupato di fare la somma degli insegnamenti che provengono dall’esperienza della guerra civile, della nostra come quella degli altri paesi. Tuttavia, praticamente e ideologicamente, un lavoro del genere corrisponde ad un bisogno imperioso. In tutta la storia dell’umanità la guerra civile ha giocato un ruolo particolare. Dal 1871 al 1914, i riformisti s’immaginavano che per l’Europa occidentale quel ruolo era terminato. Ma la guerra imperialista ha rimesso la guerra civile all’ordine del giorno. Questo, noi lo sappiamo e lo comprendiamo. Noi l’abbiamo incluso nel nostro programma. Eppure, manchiamo quasi completamente di una concezione scientifica della guerra civile, delle sue fasi, dei suoi aspetti e dei suoi metodi. Constatiamo anche delle formidabili lacune nella semplice descrizione degli avvenimenti che si sono succeduti in quest’ambito nel corso degli ultimi dieci anni. Recentemente ho rimarcato che consacriamo molto tempo e sforzi allo studio della Comune di Parigi, ma trascuriamo completamente la lotta del proletariato tedesco, nondimeno, ricco di esperienze di guerra civile, e che noi ignoriamo completamente le lezioni dell’insurrezione bulgara del settembre del 1923. Ma la cosa più sorprendente è che sembra che l’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre sia stata relegata a lungo negli archivi. E tuttavia, nella Rivoluzione d’Ottobre, ci sono molte cose che possono essere utili ai tattici militari, perché non c’è dubbio che la prossima guerra, in una misura ben più ampia di quanto è avvenuto fino ad oggi, si combinerà con diverse forme di guerra civile.

 

La preparazione, l’esperienza dell’insurrezione bulgara del settembre 1923 offrono egualmente un potente interesse. Noi abbiamo a nostra disposizione i mezzi necessari, poiché tanti compagni bulgari che hanno preso parte all’insurrezione risiedono ora in Russia, per impegnarci in uno studio serio di questi avvenimenti. E’ d’altronde facile farsi un’idea complessiva. Il paese che fu il teatro dell’insurrezione non è più grande di una provincia russa. E l’organizzazione delle forze combattenti, i raggruppamenti politici qui rivestono un carattere governativo. D’altra parte, per i paesi (e essi sono numerosi, la totalità dei paesi d’Oriente, in particolare) in cui predomina la popolazione contadina, l’esperienza dell’insurrezione bulgara ha una importanza capitale.

 Ma in che consiste il nostro compito? Redigere un manuale per la condotta delle operazioni rivoluzionaria, una teoria della rivoluzione, o un regolamento per la guerra civile? In tutti i casi, al primo posto dell’opera che noi dovremo mettere in piedi, si tratterà dell’insurrezione in quanto suprema fase della rivoluzione. Bisogna riunire e coordinare i dati dell’esperienza della guerra civile, analizzare le condizioni nelle quali essa ha luogo, studiare gli errori commessi, mettere in rilievo le operazioni riuscite meglio, e trarne le conclusioni necessarie. Facendo ciò di cosa ci arricchiremo: della scienza, vale a dire la conoscenza delle leggi dell’evoluzione storica, o dell’arte militare rivoluzionaria, considerata come l’insieme delle regole d’azione tratte dall’esperienza? Secondo me ci arricchiremo dell’una e dell’altra. Ma, praticamente, non avremo in vista che l’arte militare rivoluzionaria.

Comporre una qualche sorta di “regolamento della guerra civile” è un compito complicato. Prima di tutto, è necessario delineare una caratteristica delle condizioni essenziali della conquista del potere da parte del proletariato. Ma così, noi resteremo ancora nell’ambito della politica rivoluzionaria: ma l’insurrezione non è essa stessa, dopotutto, la continuazione della politica con altri mezzi? L’analisi delle condizioni essenziali per l’insurrezione dovrà essere adeguata alle differenti condizioni di ogni paese. Da un lato, ci sono paesi in cui il proletariato costituisce la maggioranza della popolazione e, dall’altro lato, i paesi dove il proletariato è una piccola minoranza in mezzo alla popolazione. Tra questi due estremi si trovano i paesi di tipo intermedio. Pertanto, dobbiamo basarci per il nostro studio su tre tipi di paesi: industrializzati, agrari e intermedi. Allo stesso modo nel capitolo introduttivo consacrato ai postulati ed alle condizioni necessarie alla presa del potere, saranno descritte le caratteristiche delle particolarità di ciascun di questi tipi di paese dal punto di vista della guerra civile.

Noi esamineremo l’insurrezione in due modi: in primo luogo come una specifica fase del processo storico, come una rifrazione delle leggi oggettive della lotta di classe; in seguito, da un punto di vista oggettivo e pratico, cioè: in quale modo preparare ed eseguire l’insurrezione per garantirci al massimo il successo. La guerra ci offre una sorprendente analogia. Perché essa è, anche, il prodotto di alcune condizioni storiche, il risultato di uno scontro fra interessi. Allo stesso tempo, la guerra è un’arte. La teoria della guerra è uno studio delle forze e dei mezzi di cui si dispone, della loro concentrazione e del loro impiego in vista della vittoria. Allo stesso modo, l’insurrezione è un’arte. In un senso strettamente pratico, cioè quasi secondo taluni regolamenti militari, si può e si deve produrre una teoria dell’insurrezione.

Ovviamente, ci si scontrerà con le probabili incomprensioni e le critiche di coloro che non mancheranno di dire che l’idea di scrivere il regolamento dell’insurrezione, ed, a maggior ragione, quello della guerra civile, è pura utopia burocratica. E’ probabile che si dirà che vogliamo militarizzare la storia, che il processo rivoluzionario non si regolamenta, che, in ogni paese, la rivoluzione ha le sue particolarità, la sua originalità, che in tempi di rivoluzione, la situazione si modifica in ogni momento e che non è realistico preparare dei canovacci in serie per la condotta delle rivoluzioni o di comporre, alla maniera di un aiutante militare, un mucchio di prescrizioni intoccabili e d’imporne la stretta osservanza.

Ora, se qualcuno pretendesse di stabilire qualcosa di simile, sarebbe semplicemente ridicolo. Ma, in fondo, si potrebbe affermarlo anche per i nostri regolamenti militari. Ogni guerra si sviluppa in situazioni ed in condizioni che non possono essere previste anticipatamente. Tuttavia, senza l’aiuto dei regolamenti che unificano i dati dell’esperienza militare, è puerile voler guidare un esercito, sia in tempi di pace sia in tempi di guerra. Il vecchio adagio, “ non attaccarsi ai regolamenti, come un cieco ad un muro” non diminuisce per nulla l’importanza dei regolamenti militari, così come la dialettica non annulla l’importanza della logica formale o delle regole dell’aritmetica. Non vi è dubbio che nella guerra civile, gli elementi necessari alla preparazione di un piano, all’organizzazione, alle disposizioni da prendere, sono più rare che nelle guerre tra eserciti “nazionali”. Nella guerra civile, la politica si combina con le azioni militari, più strettamente, intimamente che nella guerra “nazionale”. Così, sarebbe inutile trasporre gli stessi metodi da un ambito all’altro. Ma non ne consegue che è vietato affidarsi sull’esperienza acquisita per trarne i metodi, i procedimenti, le indicazioni, le direttive, i suggerimenti che possiedono un significato preciso e di convertirli in regole suscettibili di prendere il posto in un regolamento della guerra civile.

Ovviamente, tra queste regole, si menzionerà la necessità di subordinare le azioni puramente militari alla linea politica generale, di tener conto rigorosamente dell’insieme della situazione e dello stato d’animo delle masse. In tutti i casi, prima di accusare di utopismo un’opera del genere, è necessario decidere, dopo un esame approfondito della questione, se esistono delle regole generali che condizionano o facilitano la vittoria in un periodo di guerra civile ed in che consistono. E’, solo, nel corso di un esame di questo genere che si potrà stabilire dove terminano le indicazioni precise, utili, che disciplinano il lavoro da fare e dove inizia la fantasia burocratica. 

Cerchiamo un approccio alla rivoluzione partendo da questo punto di vista. Lo stadio supremo della rivoluzione è l’insurrezione, che decide il potere. L’insurrezione è sempre preceduta da un periodo d’organizzazione e di preparazione sulla base di una campagna politica determinata. In generale, il momento dell’insurrezione è molto breve, ma è un momento decisivo nel corso della rivoluzione. Se la vittoria è stata ottenuta, ad essa segue un periodo che comprende il consolidamento della rivoluzione schiacciando le forze nemiche ancora in piedi e organizzando il nuovo potere e le forze rivoluzionarie incaricate della difesa della rivoluzione. In queste condizioni il regolamento della guerra civile dovrà comporsi di almeno tre capitoli: la preparazione dell’insurrezione, l’insurrezione ed il consolidamento della vittoria. Così, oltre l’introduzione del principio di cui  abbiamo parlato in precedenza per caratterizzare in forma abbreviata o in forma di direttive, i postulati e le condizioni rivoluzionarie, il nostro manuale della guerra civile dovrà contenere tre capitoli che inglobano in ordine di successione le tre fasi principali della guerra civile. Questa sarà l’architettura strategica dell’opera .

Il problema strategico che noi dobbiamo risolvere è proprio quello di combinare logicamente tutte le forze ed i mezzi rivoluzionari in vista dell’obiettivo principale: la presa e la difesa del potere. E’ evidente che ogni aspetto della strategia della guerra civile solleva molti problemi tattici particolari quali la formazione delle centurie di fabbrica, l’organizzazione dei posti di comando nelle città e nelle ferrovie e la preparazione minuziosa dei mezzi per impadronirsi dei punti vitali nelle città. Questi problemi tattici saranno esposti nel nostro regolamento della guerra civile, i primi nel secondo capitolo relativo all’insurrezione, i secondi nel terzo capitolo che abbraccerà il periodo di annientamento del nemico ed il consolidamento del potere rivoluzionario.

Se noi adottiamo un simile piano di lavoro, avremo l’opportunità di affrontare il nostro lavoro da più lati contemporaneamente. Così si incaricherà un gruppo di compagni di alcune questioni tattiche relative alla guerra civile. Altri stabiliranno il piano generale dell’introduzione del principio e così di seguito. Nello stesso tempo sarà necessario esaminare, nei termini della guerra civile, i materiali storici raccolti, perché è chiaro che la nostra intenzione non è di produrre un manuale che sia un semplice prodotto dello spirito, ma un manuale ispirato dall’esperienza, chiarito e arricchito, da un lato, dalle teorie marxiste e, dall’altro lato, dai dati della scienza militare. Si sa che i manuali militari, non trattano che il metodo, in altri termini non danno altro che delle direttive generali senza appoggiarle su degli esempi specifici o spiegazioni dettagliate. Potremo adottare lo stesso metodo per esporre un manuale della guerra civile? No di certo. E’ molto probabile che noi saremo costretti a citare, come esempio, nel regolamento stesso o in un capitolo allegato un certo numero di fatti storici o, almeno, farvi riferimento. Ciò può essere un modo eccellente per evitare un eccesso di schematismo.

 

                              L’insurrezione e la fissazione del “momento”

 

Di che si tratta? Di un regolamento della guerra civile o di un regolamento dell’insurrezione? Io penso, tuttavia, che se si adotta un regolamento, si tratta prima di tutto di un regolamento della guerra civile.

Alcuni compagni, si dice, hanno sollevato delle obiezioni in proposito e hanno dato l’impressione che essi confondano la guerra civile con la lotta di classe e l’insurrezione con la guerra civile. La verità è che la guerra civile costituisce una tappa determinata della lotta di classe, quando questa rompe col quadro della legalità e, conseguentemente, si pone sul piano di uno scontro pubblico e fisico delle forze in campo. Concepita in questo modo, la guerra civile abbraccia insurrezioni spontanee provocate da cause locali, le azioni sanguinarie delle orde controrivoluzionarie, lo sciopero generale rivoluzionario, l’insurrezione per la presa del potere e il periodo della liquidazione dei tentativi di sollevazione controrivoluzionaria. Tutto ciò s’inquadra nella nozione della guerra civile, tutto ciò è più ampio dell’insurrezione e tutto infinitamente più ristretto della nozione della lotta di classe che si svolge in tutta la storia dell’Umanità. Se si parla dell’insurrezione come un compito da realizzare, bisogna trattarla consapevolmente e non deformandola come si fa correntemente confondendola con la rivoluzione. Noi dobbiamo liberare gli altri da questa confusione e iniziare a liberarcene noi stessi.

L’insurrezione pone sempre e in ogni luogo un compito chiaro da realizzare. Per questo fine dividiamo i ruoli, affidiamo a ciascuno la sua missione, distribuiamo le armi, scegliamo il momento, diamo colpi e prendiamo il potere, se non ci schiacciano prima. L’insurrezione deve essere attuata secondo un piano preparato in anticipo. Essa è una tappa specifica della rivoluzione. La presa del potere non ferma la guerra civile, essa non fa che cambiarne le caratteristiche. Così è evidente che si tratta di un regolamento della guerra civile e non solamente di un manuale dell’insurrezione.

 

Abbiamo già accennato ai rischi dello schematismo. Vediamo alla luce di un esempio in cosa possono consistere. Ho avuto l’occasione di osservare frequentemente una delle più pericolose manifestazioni di schematismo nel modo in cui i nostri giovani ufficiali dello stato-maggiore affrontano le questioni militari della rivoluzione. Se noi prendiamo le tre tappe che abbiamo distinto nella guerra civile, vediamo che il lavoro militare del partito rivoluzionario assume, in ognuna delle tra fasi, un carattere particolare. Nel periodo di preparazione rivoluzionaria noi ci scontreremo inevitabilmente con le forze armate della classe dominante (polizia, esercito). I nove decimi del lavoro militare del partito consistono in questo momento a disaggregare l’armata nemica, a scompaginarla e per un decimo a raggruppare e a preparare le forze rivoluzionarie. Ovviamente i rapporti aritmetici che ho indicato sono scelti arbitrariamente, ma essi danno un’idea di quello che dovrebbe essere il lavoro militare illegale del partito. Quanto più ci avviciniamo al momento dell’insurrezione, tanto più si deve intensificare il lavoro per la formazione delle organizzazioni di combattimento. E in questo momento che si deve avere paura errori dello schematismo. E’ evidente che le formazioni di combattimento con l’aiuto delle quali il partito si accinge a compiere l’insurrezione non possono avere una fisionomia molto netta, a maggior ragione non possono corrispondere a delle unità militari come la brigata, la divisione o il corpo d’armata. Ciò non dispensa coloro che hanno l’incarico di dirigere l’insurrezione di farvi penetrare l’ordine ed il metodo. Ma il piano dell’insurrezione non si fonda su una direzione centralizzata delle truppe della rivoluzione, ma al contrario sulla più grande iniziativa di ogni distaccamento al quale è stato assegnato in anticipo con il massimo di precisione il compito che gli spetta. L’insorto  combatte, di solito, con i metodi della ‘piccola guerra’, cioè con distaccamenti partigiani o semi-partigiani cementati molto di più dalla disciplina politica e dalla chiara coscienza dell’unità del fine da raggiungere che da qualsiasi disciplina gerarchica. Dopo la presa del potere la situazione si modifica completamente. La lotta della rivoluzione vittoriosa per assicurare la difesa ed il suo sviluppo si trasforma subito in lotta per l’organizzazione dell’apparato del governo centralizzato. I distaccamenti  partigiani, la cui apparizione nel momento della presa del potere è tanto inevitabile quanto  necessaria, possono essere, dopo la conquista del potere, causa di gravi pericoli tali da fare vacillare lo stato operaio in formazione. In questo momento si deve procedere all’organizzazione di un’armata rossa regolare.

 

La fissazione del momento dell’insurrezione è in rapporto stretto con le misure che dovranno essere prese. E’ ovvio che non è il caso di designare arbitrariamente, al di sopra degli avvenimenti, la data fissa ed irrevocabile dell’insurrezione. Sarebbe, veramente, farsi un’idea troppo semplicistica del carattere della rivoluzione e del suo sviluppo. Noi marxisti dobbiamo sapere e comprendere che non è sufficiente volere l’insurrezione per realizzarla. Quando le condizioni obiettive la rendono possibile bisogna farla perché essa non si fa da sé. Perciò lo stato maggiore rivoluzionario deve avere in testa il piano dell’insurrezione prima di scatenarla. Il piano dell’insurrezione darà l’orientamento sul tempo ed sul luogo. Si terrà conto  in modo minuzioso di tutti i fattori e di tutti gli elementi dell’insurrezione, si avrà il colpo d’occhio giusto per determinare le loro dinamiche, per definire la distanza che l’avanguardia rivoluzionaria deve mantenere tra essa e la classe operaia per non rimanere isolata e allo stesso tempo si deciderà per il salto decisivo. La fissazione della data è uno degli elementi necessari di questo orientamento. Essa sarà fissata in anticipo, non appena la situazione mostri chiaramente gli indizi del tempo maturo per scatenare l’insurrezione. E’ ovvio che la data dell’insurrezione non sarà divulgata al primo che capita, al contrario, la si dissimulerà il più possibile al nemico,  tuttavia, senza indurre in errore il proprio partito e le masse che lo seguiranno. Il lavoro del partito in tutti i settori sarà subordinato alla scadenza dell’insurrezione e tutto dovrà essere pronto per la data fissata. Se sono stati fatti degli errori nei calcoli il momento dell’insurrezione potrà essere rinviato, anche se è un’eventualità che comporta sempre dei gravi inconvenienti e molti pericoli.

 

Bisogna riconoscere che la scadenza per l’insurrezione è considerata di scarsa importanza da molti comunisti occidentali che non si sono mai sbarazzati dalla loro maniera fatalista e passiva di affrontare i principali problemi della rivoluzione. Rosa Luxemburg è ancora il tipo di militante più riflessivo e più ricco di talento. Psicologicamente lo si comprende con facilità. Lei si era formata, per così dire, nella lotta contro l’apparato burocratico della socialdemocrazia e dei sindacati tedeschi. Instancabilmente aveva dimostrato che quell’apparato soffocava l’iniziativa delle masse. Per questa situazione lei non vedeva alcuna salvezza e via d’uscita se non l’irresistibile spinta delle masse che spazzasse via tutte le barriere e le difese costruite dalla burocrazia socialdemocratica. Lo sciopero generale che straboccava da tutte le rive della società borghese era diventato per Rosa Luxemburg il sinonimo della rivoluzione proletaria. Pertanto, quale che sia la sua potenza, lo sciopero generale non risolve il problema del potere,  non fa altro che porlo . Per impadronirsi del potere bisogna, appoggiandosi sullo sciopero generale, organizzare l’insurrezione. Tutta l’evoluzione di Rosa Luxemburg fa pensare che avrebbe finito per ammetterlo. Ma quando fu strappata alla lotta, non aveva ancora detto né l’ultima né la penultima parola. Ma, recentemente, c’è ancora nel partito comunista tedesco una corrente molto forte incline al fatalismo rivoluzionario. La rivoluzione si avvicina, dicono, e porterà con sé l’insurrezione e ci darà il potere. Quanto al partito, il suo ruolo è in questo momento quello di fare l’agitazione rivoluzionaria e di attenderne gli effetti. In tali condizioni, porre schiettamente la questione della scadenza dell’insurrezione, significa sradicare dal partito la passività ed il fatalismo, metterlo di fronte ai principali problemi della rivoluzione, in particolare all’organizzazione cosciente dell’insurrezione per cacciare il nemico dal potere.

Per questo motivo la questione del momento dell’insurrezione deve essere trattata nel regolamento della guerra civile. Così noi faciliteremo la preparazione del partito all’insurrezione o almeno la preparazione dei suoi quadri.

Bisogna considerare che il salto più difficile che un partito comunista dovrà fare sarà il passaggio dalla preparazione rivoluzionaria, necessariamente lungo, alla lotta diretta per la presa del potere. Questo passaggio non avverrà senza crisi e delle crisi gravi. Il solo mezzo per indebolirne la portata e di facilitare il raggruppamento degli elementi dirigenti più risoluti consiste nel condurre i quadri del partito a meditare e ad approfondire prima le questioni che scaturiscono dall’insurrezione rivoluzionaria e ciò tanto più concretamente quanto più gli eventi si avvicinano.  A questo proposito lo studio della rivoluzione d’Ottobre e specialmente gli insegnamenti militari rivoluzionari che ne sono scaturiti. Bisognerà seguire passo a passo tutte le tappe della preparazione rivoluzionaria che va da marzo ad ottobre, il modo con cui si è sviluppata l’insurrezione d’Ottobre su i punti più significativi, poi la lotta per il consolidamento del potere.

A chi destineremo il nostro manuale sulla guerra civile? Agli operai, hanno risposto certi compagni, affinchè ciascuno sappia come comportarsi. Ovviamente non ci si potrebbe non vantare se ‘ogni’ operaio conoscesse il proprio compito. Ma si porrebbe la questione su un livello troppo esteso e di conseguenza sarebbe non realistico. In ogni modo non è da questo verso che bisogna iniziare. Il manuale deve essere destinato in primo luogo ai quadri del partito, ai capi della rivoluzione. Naturalmente si dovranno volgarizzare alcuni capitoli, alcune questioni saranno riscritte per una cerchia più larga di lavoratori, ma prima di tutto è indirizzata ai capi della rivoluzione.

Per primo dobbiamo raccogliere per noi stessi la nostra propria esperienza e le nostre idee, formularle nel modo più chiaro possibile, verificarle minuziosamente e, per quanto è possibile, sistematizzarle. Prima della guerra imperialista alcuni scrittori di questioni militari si lamentavano che le guerre fossero divenute troppo rare a causa della buona istruzione degli ufficiali. Per la stessa ragione, si può dire che la rarità delle rivoluzioni ostacola l’educazione dei rivoluzionari. A questo proposito la nostra ragione non ha che da lamentarsi. Noi abbiamo avuto il tempo di fare la rivoluzione del 1905 e di vivere abbastanza per ricoprire un ruolo dirigente nella rivoluzione del 1917. Ma non c’è bisogno di dire che l’esperienza rivoluzionaria quotidiana si dissipa rapidamente. E dopo nuovi problemi! Noi non siamo obbligati oggi a discutere delle questioni come la fabbricazione dei tessuti, la costruzione di una centrale elettrica a Nolkoff e tanti altri problemi economici piuttosto che il modo con cui si fa l’insurrezione. Ma rassicuratevi, quest’ultima questione è lontana dall’esaurirsi. Più di una volta la storia chiederà che le si rispon

 

                                                     In quale momento si deve cominciare

La catastrofe tedesca del 1923 ha condotto L’Internazionale Comunista a occuparsi dei metodi d’organizzazione della rivoluzione e specialmente dell’insurrezione rivoluzionaria. A questo proposito, la fissazione del momento dell’insurrezione ha acquistato un’importanza fondamentale poiché è diventato evidente che questa questione è lo scoglio in cui s’imbattono i problemi relativi all’organizzazione della rivoluzione. La socialdemocrazia ha adottato nei confronti della rivoluzione l’atteggiamento proprio della borghesia liberale nel suo periodo di lotta per il potere contro il feudalesimo e l’assolutismo. La borghesia liberale speculava sulla rivoluzione, ma si guardava bene dall’assumersi le sue responsabilità. Nel momento propizio, essa gettava nella bilancia la sua ricchezza, la sua istruzione e gli altri mezzi d’influenza della sua classe per fare man bassa del potere. Nel 1918 la socialdemocrazia tedesca ha giocato un ruolo del genere. Fondamentalmente, ha costituito l’apparato politico che trasmesso il potere politico decaduto degli Hohenzollern alla borghesia. Una tale politica di speculazione passiva è assolutamente incompatibile con il comunismo in quanto si da come fine la conquista del potere in nome e nell’interesse del proletariato.

La rivoluzione proletaria è una rivoluzione di masse non organizzate nel loro insieme. La spinta cieca delle masse gioca nel movimento un ruolo considerevole. La vittoria non può essere ottenuta che da un partito comunista che si da come obiettivo preciso la presa del potere, che, con cura minuziosa medita, forgia, raggruppa i mezzi per raggiungere il fine perseguito e che, appoggiandosi sull’insurrezione delle masse, realizza i suoi progetti. Con la sua centralizzazione, la sua risoluzione, il suo modo metodico di per affrontare l’insurrezione, il partito comunista arreca al proletariato nella lotta per il potere i vantaggi che la borghesia detiene per il fatto stesso della sua posizione economica. Sotto questo aspetto, la questione del momento dell’insurrezione non è semplicemente un dettaglio tecnico, essa dimostra al contrario nel modo più netto e più preciso in quale misura si è preparato ad affrontare l’insurrezione con tutte le regole dell’arte militare.

E’ ovvio che non ci si può basare sui propri calcoli quando si tratta di fissare il momento dell’insurrezione, sull’esperienza puramente militare. Disponendo di forze armate sufficienti, uno stato può, a sua discrezione, scatenare la guerra. D’altra parte, durante la guerra è l’alto comando che decide l’offensiva dopo aver pesato tutti i dati situazione. Ma è più facile analizzare una situazione militare che una situazione rivoluzionaria. Lo stato maggiore ha a che fare con delle unità combattenti organizzate la cui connessione tra esse è stata attentamente studiata e combinata in anticipo grazie al quale il comando tiene, per così dire, le sue armate nelle proprie mani. E’ evidente che la stessa cosa non vale nella rivoluzione. Le formazioni di combattimento qui non sono separate dalle masse operaie, esse non possono neanche accrescere la violenza dello scontro che esse devono dare se non con la connessione con il movimento offensivo delle masse. Pertanto, incombe allo stato maggiore rivoluzionario di afferrare il ritmo del movimento per fissare a colpo sicuro il momento in cui deve aver luogo l’offensiva decisiva. Come si è visto la fissazione del momento dell’insurrezione pone un problema difficile. Può anche accadere che la situazione sia di una tale nettezza che la direzione del partito non abbia più alcun dubbio sull’opportunità dell’azione. Ma se tale valutazione della situazione si verifica 24 ore prima il momento decisivo, il segnale rischia di arrivare tropo tardi, il partito, colto all’improvviso, è messo nell’impossibilità di dirigere il movimento che, in questo caso, può risolversi in una disfatta. Di qui la necessità di prevedere per quanto ciò sia possibile in anticipo l’approccio del momento decisivo o, in altri termini, di fissare la data del’insurrezione basandosi sulla marcia generale del movimento e sull’insieme della situazione del paese.

Se per esempio, il termine fissato cade in un mese o due, il Comitato Centrale o la Direzione del Partito approfitta di questa dilazione per iniziare ad affrontare tutte le questioni che si pongono, attraverso l’aumento della propaganda, d’una preparazione e d’una organizzazione appropriata e di una scelta giudiziosa degli elementi più combattivi per l’esecuzione di operazioni determinate. Va da sé che un termine fissato in uno, due mesi e a maggior ragione tre o quattro mesi d’anticipo, non dovrebbe essere irrevocabile, ma la tattica deve consistere nel verificare, lungo tutto il tempo disponibile, l’esattezza del momento fissato. Facciamo un esempio: i postulati politici indispensabili per il successo dell’insurrezione risiedono nel far vacillare la macchina governativa e nell’appoggio che la maggioranza dei lavoratori dei principali centri e regioni del paese dà all’avanguardia rivoluzionaria.

Ammettiamo che le cose non siano ancora arrivate al punto cruciale, ma sono vicine ad arrivarci. Le forze del partito rivoluzionario crescono rapidamente, ma è difficile constatare se dietro di lui ci sia una maggioranza sufficiente di lavoratori. Nel frattempo, la situazione diventa sempre più grave, la questione dell’insurrezione si pone praticamente. Cosa deve fare la Direzione del Partito? Essa può, per esempio, ragionare nel modo seguente:

  • Dal momento che nel corso delle ultime settimane l’influenza del partito è accresciuta rapidamente, è ragionevole ritenere che in questi o quei principali centri del paese la maggioranza dei lavoratori è sul punto di seguirci. In queste condizioni, concentreremo su questi punti decisivi le migliori forze del partito e calcoleremo che ci vorrà un mese per conquistare la maggioranza;
  • Dal momento che, la maggior parte dei principali centri del paese sono con noi, noi possiamo chiamare i lavoratori a dar vita ai soviet dei deputati operai, a condizione ben inteso che si prosegua la disorganizzazione dell’apparato governativo. Calcoleremo che la costituzione dei soviet nei principali centri e regioni del paese esige ancora due settimane;
  • Dal momento che nelle principali città regioni del paese i soviet sono in via d’organizzazione sotto la direzione del partito, ne segue naturalmente che s’impone la convocazione di un congresso nazionale dei soviet. Ma prima che si tenga, possono trascorrere tre o quattro settimane. Ora è evidente anche che in una tale situazione il congresso dei soviet non può, a meno di esporsi alla repressione, che consacrare la presa del potere. Detto altrimenti, il potere di fatto deve essere nelle mani del proletariato al momento della riunione del congresso. Così due mesi o due mesi e mezzo sono l’intervallo di tempo che si stabilirà per preparare l’insurrezione. Questo lasso di tempo che deriva dall’analisi generale della situazione politica e del suo sviluppo ulteriore, definisce il carattere e l’andamento che si deve dare al lavoro militare rivoluzionario in vista della disorganizzazione dell’armata borghese, del controllo delle reti ferroviarie, della formazione e dell’armamento dei distaccamenti operai e così via. Assegniamo al comando clandestino della città  da conquistare un compito ben definito: prendere questa e quella misura durante le prime quattro settimane, messa a punto di ogni disposizione e intensificazione dei preparativi nel corso delle due settimane seguenti in modo che, nei quindici giorni che seguono, tutto sia pronto per l’azione. In questo modo, con la realizzazione dei compiti a carattere limitato ma nettamente definiti, il lavoro militare rivoluzionario è stato eseguito nei limiti dell’intervallo temporale fissato. Così si eviterà  di cadere nel disordine e nella passività che possono essere fatali e si otterrà, invece, la fusione necessaria degli sforzi e della risoluzione di tutti i capi del movimento. In questo momento il lavoro politico deve essere spinto al massimo. La rivoluzione segue il suo corso logico. Un mese dopo  saremo già in grado di verificare se il partito è riuscito realmente a conquistare la maggioranza degli operai nei principali centri del paese. Questa verifica può essere fatta attraverso un qualsiasi referendum, da un’azione sindacale, da delle manifestazioni di piazza, con una combinazione di tutti questi mezzi.

 

Se acquisiremo la certezza che la prima tappa che noi abbiamo tracciato sarà stata superata come noi l’avevamo previsto, il termine fissato per l’insurrezione è notevolmente rafforzato. Invece, se si verifica che quale che sia la crescita nel corso del mese passato, noi non abbiamo ancora la maggioranza degli operai dietro di noi, è più prudente aggiornare il momento dell’insurrezione. Nello stesso tempo noi avremo numerose occasione per verificare fino a che punto la classe dirigente ha perso la testa, fino a che punto l’esercito è smobilitato e l’apparato statale indebolito. Attraverso queste constatazioni ci renderemo conto della natura della fuga di notizie che si sono verificate nel nostro lavoro clandestino di preparazione rivoluzionaria. L’organizzazione dei soviet sarà di conseguenza uno strumento eventuale per verificare i rapporti di forza e, perciò, di stabilire se le condizioni sono adeguate allo scatenamento dell’insurrezione. Ovviamente non sarà sempre possibile, in ogni tempo ed in ogni luogo, costituire dei soviet prima dell’insurrezione. Bisogna anche aspettarsi che i soviet non possono che costituirsi nel corso dell’azione. Ma ovunque, sotto la direzione del partito comunista, si avrà la possibilità di organizzarli prima del rovesciamento del regime borghese, essi appariranno come il preludio della prossima insurrezione. E il termine sarà più facile da fissarsi.

Il comitato centrale del partito verificherà il lavoro della sua organizzazione militare, e si renderà conto dei risultati ottenuti in ogni settore e nella misura in cui la situazione lo esigerà  darà a questo lavoro l’impulso necessario. Bisogna aspettarsi che l’organizzazione militare, basandosi non sull’analisi generale della situazione e sui rapporti di forza presenti ma sulla valutazione dei risultati conseguiti nell’ambito della sua preparazione, si considereranno  sempre come insufficientemente preparati. Ma  va da sé che ciò che decide in questi momenti è la valutazione che si fa della situazione e dei rispettivi rapporti di forza, particolarmente delle truppe d’assalto del nemico e di quelle nostre. In questo modo, la scadenza che sarà stata fissata due, tre o quattro mesi di anticipo, potrà avere un effetto incomparabile sull’organizzazione dell’insurrezione, anche se dovremo essere costretti di conseguenza a spostarla in avanti o a ritardarla di qualche giorno.

E’ evidente che l’esempio che è stato fatto è puramente ipotetico, ma è un’eccellente esposizione dell’idea che ci si deve fare della preparazione dell’insurrezione. Non si tratta di giocare alla cieca con le date, ma di determinare il momento dell’insurrezione basandosi sulla marcia degli avvenimenti, di verificarne la giustezza nel corso delle tappe successive del movimento e di fissare il termine al quale tutto il lavoro di preparazione rivoluzionaria dovrà essere subordinato.

 

Ripeto che oltre questo aspetto si devono studiare nel modo più attento le lezioni della Rivoluzione d’Ottobre, dell’unica rivoluzione che fino ad oggi il proletariato ha fatto vittoriosamente. Bisogna esporre come gli avvenimenti si sono sviluppati ondata dopo ondata, quali sono state le ripercussioni dentro il partito, nei soviet, nel comitato centrale e nell’organizzazione militare del partito. Quale fu il senso delle esitazioni che si produssero nel partito? Che peso ha avuto l’insieme degli eventi? Quale fu il ruolo dell’organizzazione militare? Questo è un lavoro di inestimabile importanza. Il suo rinvio sarebbe una colpa imperdonabile

                                                        La calma prima della tempesta

C’è ancora una questione di notevole valore per la comprensione dello sviluppo della guerra civile, che in un modo o nell’altro, dovrà essere trattata nel nostro futuro manuale. Colui che è informato sulle discussioni che sono seguite agli avvenimenti tedeschi del 1923  ha notato  sicuramente la spiegazione che è stata data della disfatta: “la principale causa della disfatta, si dice, è che al momento decisivo il proletariato mancò totalmente di spirito combattivo; le masse no vollero battersi, la migliore prova è che non reagirono in nessun modo all’offensiva fascista; in presenza di questo atteggiamento delle masse che cosa poteva fare il partito?”. Questa era la posizione di Brandler, di Talheimer e altri. In un primo momento l’argomento sembra inconfutabile. Tuttavia il ‘momento decisivo’ del 1923 non è stato formato dall’oggi al domani. Fu il risultato di tutto il precedente periodo di lotte la cui violenza andò sviluppandosi costantemente. L’anno del 1923 è caratterizzato da un capo all’altro dalle battaglie che il proletariato tedesco ha dovuto sostenere. Ora, com’è possibile che il proletariato tedesco alla vigilia del suo Ottobre abbia perso tutto d’un colpo la sua combattività? Ciò non si spiega. Come pure è legittimo se è giusto dire che gli operai tedeschi non abbiano voluto combattere. Questa domanda ci riporta alla nostra propria esperienza d’Ottobre. Se si rileggono i giornali, come quelli del nostro partito,        del periodo che precede la Rivoluzione d’Ottobre, noi vediamo i compagni, che combattevano l’idea dell’insurrezione, dedurre precisamente la scarsa disponibilità delle masse operaie russe alla battaglia. Oggi ciò può sembrare a malapena credibile, tuttavia tale era il principale argomento che essi invocavano. Così noi oggi ci troviamo in una situazione analoga: durante il 1917 il proletariato russo era stato sulla breccia, eppure quando si pose la questione della presa del potere delle voci si elevarono per affermare che le masse operaie non volevano battersi. E effettivamente, alla vigilia d’ottobre il movimento si era rallentato un poco. E’ stato l’effetto del caso? O piuttosto bisogna vedervi una qualche “legge” storica? Secondo me non c’è dubbio che un fenomeno del genere deve avere certe cause generali. In natura questo fenomeno si chiama la calma prima della tempesta. Sono convinto che nel momento della rivoluzione questo fenomeno non abbia che questo senso. Nel corso di un determinato periodo la combattività del proletariato cresce, prende forme diverse: scioperi, manifestazioni, scontri con la polizia. In questo momento le masse cominciano a prendere coscienza della loro forza. L’ampiezza crescente del movimento è già sufficiente a dargli una soddisfazione politica. Ogni nuova manifestazione, ogni successo nell’ambito politico ed economico accresce l loro entusiasmo. Ma questo periodo s’esaurisce rapidamente. L’esperienza delle masse cresce contemporaneamente allo sviluppo della sua organizzazione. Nel campo opposto il nemico mostra che non è disposto a cedere senza lottare. Ne consegue che lo stato d’animo rivoluzionario delle masse si fa più critico, più profondo, più angosciato. Le masse cercano, soprattutto se hanno constato degli errori e subito dei rovesci , una direzione sicura, esse vogliono avere la certezza che si va a combattere e che si saprà guidarle e che nella battaglia decisiva esse possono dare per scontata la vittoria. Ora, è questo passaggio dall’ottimismo quasi cieco a una coscienza più chiara delle difficoltà da superare che genera questo momento di stasi rivoluzionaria che corrisponde in una certa a una crisi dello stato d’animo delle masse. A condizione che il resto della situazione sia adeguata, questa crisi non potrà essere risolta che dal partito politico e soprattutto dall’impressione che lui darà di essere veramente deciso a prendere la direzione dell’insurrezione. Nel frattempo la grandezza del fine da raggiungere (si tratta della presa del potere) suscita inevitabili esitazioni perfino nel partito, specialmente fra i dirigenti su cui si concentra proprio in questo momento la responsabilità del movimento. Così, l’introspezione delle masse prima della battaglia e le esitazioni dei capi sono due fenomeni che, ben lungi dall’essere equivalenti, non sono di meno simultanei. Ecco perché si sente dire che le masse non cercano la battaglia, che il loro atteggiamento è al contrario piuttosto passivo e che in queste condizioni spingerle all’insurrezione non è altro che un’avventura. E’ ovvio che quando un tale stato d’animo prevale la rivoluzione può essere solo sconfitta. E dopo la sconfitta, provocata dallo stesso partito, nulla impedisce di raccontare a tutti che l’insurrezione era impossibile per la ragione che le masse non la volevano. Questa questione deve essere esaminata a fondo. Fondandosi sull’esperienza acquisita, bisogna imparare a cogliere il momento in cui il proletariato dice a se stesso: “ Non c’è più nulla da aspettarsi dagli scioperi, dalle manifestazioni e altre manifestazioni. Ora si tratta di battersi. Io  sono pronto perché non c’è altra via d’uscita da questa situazione, ma poiché questa è la battaglia bisogna impegnarsi con tutte le nostre forze e sotto una direzione sicura”. In questo momento la situazione arriva ad una tensione estrema. Lo squilibrio è completo: una palla sulla punta di un cono. Il minimo shock può farla cadere da un lato o dall’altro. In Russia, grazie alla fermezza ed alla risoluzione della Direzione del partito, la palla ha seguito la linea che ha portato alla vittoria. In Germania, la politica del partito ha spinto la palla nella direzione della disfatta.

                                        La politica e l’azione militare

Quale carattere, un carattere politico o un carattere militare, daremo al nostro manuale? Noi lo faremo partire dal punto in cui la politica diventa una questione d’azione militare e sotto quest’ottica sarà presa in considerazione la politica. A prima vista ciò può sembrare una contraddizione, poiché non è la politica che è al servizio dell’insurrezione ma l’insurrezione che è al servizio della politica. In realtà, niente in ciò si contraddice. L’insurrezione nel suo insieme serve evidentemente gli scopi principali della politica proletaria. Solamente quando l’insurrezione è scatenata, è la politica del momento che, tutta intera, deve esserle subordinata.

Il passaggio dalla politica all’azione militare e la congiunzione di queste due alternative creano generalmente delle grandi difficoltà. Noi sappiamo tutti che il punto di congiunzione è sempre il più debole. Anche qui stiamo accorti. Un compagno ha dimostrato, con un metodo a contrario, quanto è difficile combinare la politica e l’azione militare. Un altro compagno in seguito ha aggravato l’errore del suo predecessore. Se si crede al primo di questi compagni, Lenin avrebbe contestato nel 1918 l’importanza dell’armata rossa sotto il pretesto che la lotta che opponeva i due imperialismi giocava a nostro favore. Per il secondo noi avremo giocato “il ruolo del terzo rapinatore”. Ora mai Lenin ha usato e mai avrebbe usato questo linguaggio. E’ certo che se noi avessimo avuto a che fare, al momento della Rivoluzione d’Ottobre con una Germania vittoriosa e che la pace fosse stata conclusa, la Germania non avrebbe mancato di schiacciarci anche se noi avessimo avuto a disposizione un esercito di tre milioni di uomini, perché né nel 1918, né nel 1919, noi non avremo potuto trovare le forze capaci per misurarci con degli eserciti tedeschi trionfanti. In queste condizioni la lotta tra i due campi imperialisti fu la nostra principale linea di protezione. Ma nel quadro di questa lotta noi avremo potuto trovare la morte cento volte nel 1918 se non avessimo avuto il nostro embrione di armata rossa. E’ forse perché l’Inghilterra e la Francia hanno paralizzato la Germania che il problema del Kazan è stato risolto? Se i nostri soldati rossi non avessero difeso Kazan, se essi avessero aperto la strada di Mosca ai mercenari dell’armata bianca, ci saremmo dovuti tagliare la gola con ragione. In quel momento avremmo fatto la figura del “terzo ladrone” con…la gola tagliata. Quando Lenin diceva: “ Militanti che lavorate nel’armata, non esagerate la vostra importanza; voi rappresentate un fattore nel complesso delle forze, ma voi non siete né il nostro unico, né la nostra principale forza; in realtà noi ci manteniamo grazie alla guerra europea, che paralizza i due imperialismi rivali”, egli si poneva dal punto di vista politico. Ma non ne consegue che contestasse “l’importanza dell’armata rossa”. Se noi applichiamo questo metodo di ragionamento ai problemi interni della rivoluzione, si finisce in conclusioni molto curiose. Prendiamo in considerazione, specialmente, la questione dell’organizzazione delle formazioni di combattimento. Un partito comunista la cui esistenza è più o meno illegale incarica la sua organizzazione militare clandestina di formare le centurie.  In fondo cosa rappresentano qualche dozzina di centurie in rapporto alla presa del potere? Se ci si pone da un punto di vista sociale, storico, la questione del potere è determinata dalla composizione della società, dal ruolo del proletariato nella produzione, dalla sua maturità politica, dal grado di disorganizzazione dello stato borghese e così via. In realtà, tutti questi fattori giocano il loro ruolo in ultima istanza, mentre il risultato della lotta può dipendere direttamente dall’esistenza di qualche dozzina di centurie. Le condizioni sociali e politiche favorevoli alla presa del potere sono una costituiscono una condizione probabile di sucesso, ma esse non garantiscono automaticamente la vittoria, esse permettono di andare fino al punto in cui la politica cede il passo all’insurrezione.

Ancora una volta la guerra civile non è che la continuazione violenta della lotta di classe. Quanto all’insurrezione non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi. La ragione è data dal fatto che non la si può comprendere che dal punto di vista dei suoi mezzi. Non è possibile misurare la politica col metro della guerra, così come non è possibile misurare la guerra nei termini della sola politica, se non sotto un rapporto temporale.  Si tratta di una questione specifica che merita di essere trattata rigorosamente nel nostro manuale della guerra civile. Nel periodo della preparazione rivoluzionaria noi misuriamo il tempo col metro della politica, cioè secondo anni, mesi, settimane. Nel tempo dell’insurrezione misuriamo il tempo con le ore ed i giorni. Non per nulla si dice che in tempo di guerra un mese, talvolta, anche, una sola giornata, contano come un anno. Nell’aprile del 1917 Lenin diceva: “Pazientemente, infaticabilmente, spiegate agli operai….” E alla fine d’ottobre non restava più tempo per dare delle spiegazioni a quelli che non avevano ancora capito; bisognava passare all’offensiva guidando tutti coloro che avevano capito. In ottobre la perdita di una sola giornata avrebbe annientato il lavoro di più mesi e, anche, di anni di preparazione rivoluzionaria.

 

Mi ricordo di un tema di manovra che avevamo dato qualche tempo fa nella nostra Accademia militare. Si trattava di decidere se noi dovevamo evacuare subito la regione di Bielostok, dato che la sua posizione la rendeva insostenibile, o di mantenerla nella speranza che Bielostok, centro operaio, insorgesse? Ovviamente non si può risolvere rigorosamente una questione del genere che sulla base di dati precisi e reali. La manovra militare non aveva a disposizione dei dati perché era puramente ipotetica. Ma in linea di principio la controversia si riduceva a due misure del tempo relative l’una alla guerra, l’altra alla politica rivoluzionaria. Ora, qual è la misura che, a pari condizioni, vince la guerra? Quella della guerra. In altri termini, non era certo che Bielostok si sollevasse nello spazio di qualche giorno e anche ammettendo che il sollevamento avesse luogo, rimaneva da sapere cosa avrebbe fatto il proletariato insorto senza armi e senza preparazione militare, mentre era fortemente possibile che in due o tre giorni, due o tre divisioni fossero decimate rimanendo su delle posizioni insostenibili nell’attesa di una insurrezione che, nel caso in cui accadesse non avrebbe potuto modificare Radicalmente la situazione militare. Brest-litowsk ci da un esempio classico di giusta applicazione delle misure del tempo politico e di quello militare. Si sa che la maggioranza del comitato centrale del partito comunista russo, ed o ero nel numero, aveva preso la decisione contro la minoranza alla testa della quale c’era Lenin, di non concludere la pace, benché si corresse il rischio di vedere i tedeschi passare all’offensiva. Qual’era il senso di questa decisione? Alcuni compagni speravano utopicamente in una guerra rivoluzionaria. Altri, fra me compreso, reputavano opportuno sondare l’operaio tedesco al fine di sapere se si sarebbero opposti al kaiser nel caso in cui quest’ultimo avesse attaccato la rivoluzione. In che consisteva l’errore che commettevamo? Nel rischio eccessivo che correvamo. Per scuotere l’apatia del lavoratore tedesco ci sarebbero volute settimane, anche dei mesi, mentre in quel momento le armate tedesche non avevano bisogno che di qualche giorno per avanzare fino a Dwinsk, Minsk e Mosca. La misura della politica rivoluzionaria è lunga, mentre la misura della guerra è corta. Colui che arriva a questa verità dopo aver precedentemente studiato, meditato, approfondito l’esperienza passata, corre il rischio, a causa della combinazione della politica rivoluzionaria e dell’azione militare, cioè di ciò che ci conferisce maggiore superiorità rispetto al nemico, di commettere errori su errori.

Necessità di porre i problemi della guerra civile con il massimo di chiarezza

Un compagno ha posto la questione su quale genere di manuale dobbiamo mettere in piedi: un manuale dell’insurrezione o un manuale della guerra civile. Noi non dobbiamo, ha detto questo compagno, guardare troppo lontano, altrimenti il nostro compito, in generale, coinciderà coi compiti dell’Internazionale Comunista. Non è così.  Colui che ha questo linguaggio dimostra di confondere la guerra civile, nell’accezione propria del termine, con la lotta di classe. Se noi prendiamo come oggetto di studio la Germania, noi, per esempio, possiamo cominciare con profitto con l’esaminare gli eventi del 1921. Subito dopo viene il lungo periodo di raggruppamento di forze, sotto la parola d’ordine del fronte unito. E’ evidente che nessun manuale di guerra civile è adeguato a questo periodo. A partire dal gennaio 1923 e dall’occupazione della Ruhr, appare di nuovo una situazione rivoluzionaria che s’aggrava bruscamente nel giugno 1923, allorchè collassa la politica di resistenza passiva praticata dalla borghesia tedesca e  tutto l’apparato statale borghese si riempie di crepe. E’ questo periodo che noi dobbiamo studiare minuziosamente, perché ci offre da un lato un esempio classico del modo in cui si sviluppa e matura una situazione rivoluzionaria e dall’altro lato un esempio non meno classico di una rivoluzione fallita.

Nel 1923, la Germania ebbe la sua guerra civile, ma l’insurrezione che doveva coronarla e darle una soluzione non vinse. Il risultato fu una situazione rivoluzionaria, veramente eccezionale, irrimediabilmente compromessa e una borghesia coi nervi a pezzi, che riacquista sicurezza e rafforza il potere. Perché? Perché in quel momento propizio , la politica non fu sviluppata con i mezzi insurrezionali che s’imponevano logicamente. E’ evidente che la ripresa del regime borghese che seguì in Germania all’aborto della rivoluzione proletaria ha avuto una stabilizzazione molto discutibile. Rassicuratevi, noi avremo in Germania, più o meno a lungo termine, una nuova situazione rivoluzionaria. Ma è chiaro che il mese d’agosto del 1924 sarà ben differente dal mese di agosto del 1923. E se noi chiudiamo gli occhi sull’esperienza che emerge da questi avvenimenti, se noi non la metteremo a profitto  per istruirci, se noi saremo passivi davanti agli errori come coloro che gli hanno commessi, noi potremo aspettarci di veder ripetersi la catastrofe tedesca del 1923 e il pericolo che ne risulterebbe per il movimento operaio sarà immenso.

Ecco perché, in quest’ambito meno che in altri , non possiamo tollerare la deformazione delle nozioni essenziali. Noi abbiamo visto dei compagni cercare di muoverci delle obiezioni con uno scetticismo incoerente a proposito del momento dell’insurrezione. Questi compagni non fanno altro che dimostrare così che non sanno porre da marxisti la questione dell’insurrezione sul piano militare. A sostegno delle loro tesi, essi invocano come argomento che, nella confusione di una situazione estremamente complessa e variabile, è impossibile vincolarsi prima ad una decisione presa anticipatamente. Ma, se si dovesse tener conto di questi luoghi comuni, bisognerebbe rinunciare ai piani ed alle date per le operazioni militari, perché durante la guerra, succede, anche, che la situazione cambia bruscamente e inopinatamente. Un piano d’operazioni militari non si realizza mai nella proporzione del 100%, bisogna essere fortunati se, nel corso della sua esecuzione, si realizza al 25%. Ma un capo militare che si appoggiasse su quest’argomentazione per negare in termini generali l’utilità della pianificazione militare meriterebbe una camicia di forza. In tutti i casi, io raccomando di attenersi a questo metodo come il più giusto ed il più logico: formuliamo prima le regole generali del nostro manuale della guerra civile e vediamo successivamente ciò che si può eliminare o ciò su cui abbiamo delle riserve. Ma se noi cominciamo con delle soppressioni, delle riserve, delle deviazioni, dei dubbi, delle esitazioni, noi non arriveremo mai a delle conclusioni.

Un compagno ha contestato ‘osservazione che ho fatto a proposito dell’evoluzione dell’organizzazione militare del partito nel periodo della preparazione militare, durante l’insurrezione e dopo la presa del potere. Secondo questo compagno non dovrebbe essere l’esistenza di distaccamenti partigiani, ma sarebbero necessarie solamente delle formazioni militari regolari. I distaccamenti partigiani, ci ha detto, sono delle organizzazioni caotiche. Ascoltando queste parole, ero vicino alla disperazione. A che punto vuole arrivare questa arroganza dottrinaria? Se i distaccamenti partigiani sono delle organizzazioni, bisogna allora riconoscere che, da questo punto di vista puramente formale, la rivoluzione è un caos. Tuttavia, nel primo periodo della rivoluzione, si è costretti ad usare soltanto formazioni partigiane. Ci si obietta che questi distaccamenti devono essere costituiti come formazioni militari regolari.  Se si vuole dire con ciò che, nella guerra partigiana, non si deve trascurare alcun elemento d’ordine e di metodo adatto a questo tipo di guerra, noi siamo d’accordo. Ma se voi sognate un’organizzazione militare gerarchizzata, centralizzata e costituita prima dell’insurrezione abbia avuto luogo, ciò è un’utopia che, se volessimo darle un corpo, rischierebbe di essere fatale. Se, con l’aiuto di un’organizzazione militare clandestina, dovessi impadronirmi di una città( obiettivo parziale dell’insieme di un piano per la conquista del potere nel paese), io ripartisco il mio compito in obiettivi particolari (occupazione di edifici governativi, stazioni, edifici postali e telegrafici, tipografie) e affido l’esecuzione di ognuna di queste missioni ai capi di piccoli distaccamenti partigiani educati ai loro compiti che gli sono stati assegnati. Ogni distaccamento non deve che contare che su lui stesso; deve avere la sua indipendenza, altrimenti sarebbe possibile che dopo essersi impadronito delle poste, per esempio rimanga privo di viveri. Ogni tentativo di centralizzare e gerarchizzare questi distaccamenti condurrebbe inevitabilmente alla burocratizzazione, che, in tempo di guerra, è doppiamente terrificante: 1) perché farebbe credere erroneamente ai capi dei distaccamenti che qualcuno deve comandarli forzatamente, mentre, al contrario, bisogna inculcargli la certezza che essi dispongono della più grande libertà di movimento e della più grande iniziativa; 2) perché la burocratizzazione, legata al sistema gerarchico, priverebbe i distaccamenti dei loro migliori elementi per i bisogni di ogni sorta di stato-maggiore. Dal primo momento dell’insurrezione, questi stati-maggiori resterebbero sospesi tra il cielo e la terra, mentre i distaccamenti, nell’attesa di ordini superiori, sarebbero votati alla passività e a della perdita di tempo che renderebbe certo l’insuccesso dell’insurrezione.  Tali sono le ragioni per le quali il disprezzo dei militari professionisti per le organizzazioni “caotiche” dei partigiani deve essere condannata come un pregiudizio antirealista, antiscientifico e antimarxista.

Allo stesso modo dopo la presa del potere nei principali centri del paese, le formazioni partigiane possono giocare in campo aperto un ruolo estremamente efficace. E’ sufficiente ricordare l’appoggio delle formazioni partigiane portarono all’armata rossa e alla rivoluzione, operando dietro le truppe tedesche in Ucraina e dietro le truppe di Koltchak in Siberia. Tuttavia resta definitivamente acquisita come regola che il potere rivoluzionario si mette immediatamente all’opera per incorporare i migliori distaccamenti partigiani e i loro elementi più sicuri nel sistema di una organizzazione militare regolare. Altrimenti, questi distaccamenti di partigiani diventerebbero indubbiamente dei fattori di disordine suscettibili di degenerare in bande armate al servizio di elementi piccolo-borghesi anarchicheggianti che insorgerebbero contro lo stato proletario. Abbiamo un bel paio di esempi: E’ vero che, fra i partigiani ribelli all’organizzazione militare regolare, c’erano degli eroi. Si è citato il nome di Siverss (III) e di Kikvidsé (IV). Io potrei nominarne molti altri ancora: Siverss e Kikvidsé combatterono e morirono da eroi: E oggi, alla luce dei loro immensi meriti, nei confronti della rivoluzione, impallidiscono al punto di scomparire questo o quell’altro aspetto negativo delle loro azioni partigiane. Ma in quel momento, era indispensabile combattere tutto ciò di negativo che c’era in loro. A questo prezzo, solamente, possiamo arrivare a organizzare l’armata rossa ed essere in grado di ottenere vittorie decisive.

Ancora una volta, io metto in guardia contro una grande confusione sulla terminologia, perché, essa nasconde una grande confusione concettuale. Allo stesso modo, metto in guardia contro gli errori che si possono commettere quando ci si rifiuta di porre la questione dell’insurrezione in modo netto e coraggioso, con  il pretesto che la situazione varia e si modifica continuamente. Esteriormente, ciò ricorda stranamente la dialettica; in ogni modo, la si prende per tale. Ma, in realtà non è niente. Il pensiero dialettico è come  una molla, e le molle sono fatte di acciaio temprato. I dubbi e le riserve non decidono e non insegnano nulla di tutto ciò.  Quando l’idea essenziale è messa luminosamente in rilievo, le riserve e le restrizioni possono essere raggruppate logicamente intorno ad esse. Se ci si attiene unicamente alle riserve, il risultato nella teoria sarà confusione e nella pratica il caos. Ora, confusione e caos non hanno niente di comune con la dialettica. In realtà, una pseudo-dialettica di questo genere nasconde più spesso dei sentimenti socialdemocratici o stupidi di fronte alla rivoluzione, come qualcosa che avviene al di fuori di noi. In queste condizioni, non c’è altro modo di concepire l’insurrezione come un’arte. Pertanto, è precisamente la teoria di quest’arte che noi vogliamo studiare.

Tutte le questioni che noi abbiamo sollevato devono essere meditate, lavorate, formulate. Esse devono diventare parte integrante della nostra istruzione ed educazione militare. Il rapporto di queste questioni con i problemi della difesa della Repubblica dei Soviet è indiscutibile. I nostri nemici continuano a ripetere che l’armata rossa avrebbe come compito quello di provocare artificialmente dei movimenti rivoluzionari negli altri paesi al fine di portarli al successo con la forza delle baionette. Inutile dire che questa caricatura non ha niente in comune con la politica che noi perseguiamo. Noi siamo soprattutto interessati al mantenimento della pace, noi l’abbiamo provato con il nostro atteggiamento attraverso le concessioni che noi abbiamo fatto nei trattati e con la riduzione progressiva degli effettivi della nostra armata. Ma noi siamo sufficientemente impregnati di realismo rivoluzionario per renderci conto chiaramente che i nostri nemici cercheranno ancora di sondarci con le loro armi. E se noi siamo lontano dall’idea di forzare, con delle misure militari artificiali, lo sviluppo della Rivoluzione, noi siamo sicuri, tuttavia, che la guerra degli stati capitalisti contro l’Unione Sovietica sarà seguita da violenti sconvolgimenti sociali, primizie della guerra civile, nei paesi dei nostri nemici.

Noi dobbiamo saper combinare la guerra difensiva che sarà imposta alla nostra armata rossa con la guerra civile nel campo nemico. A tal fine, il manuale della guerra civile deve diventare uno degli elementi necessari uno degli elementi necessari di un tipo superiore di manuale militare rivoluzionario.

(trad. Gian Franco Camboni)

 

Note dell’edizione francese di Archivio Marxista Internet

[i] Brandler, Heinrich (1867-1967) – di origine operaia (muratore). Vecchio militante del partito socialdemocratico tedesco. Durante la prima guerra mondiale imperialista ha adottato la posizione di sinistra, aderendo alla frazione di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht. Fu uno dei principali organizzatori e dei capi del Partito Comunista Tedesco (KPD). A causa degli avvenimenti del marzo 1921 fu condannato a cinque anni di prigione, ma riuscì a fuggire in Unione Sovietica: Dopo l’amnistia del 1922, rientrò in Germania e divenne il principale dirigente del KPD, che diresse fino alla disfatta della rivoluzione tedesca nell’autunno del 12923. Agli inizi del 1924, durante il congresso del Partito a Francoforte, la tattica praticata da Brandler e dei suoi compagni nel corso degli avvenimenti rivoluzionari del 1923, subì la critica acerba della sinistra del KPD, che era sempre stata in opposizione al comitato centrale del Partito, alla testa del quale si trovava Brandler. La tattica del vecchio comitato centrale del Partito Comunista Tedesco fu anche esaminata durante il V congresso dell’IC.

[ii] Talheimer Auguste – come Brandler, uno dei militanti più vicini a Rosa Luxemburg e fra i fondatori del movimento Spartachista. Insieme a Brandler fu l’organizzatore del KPD e il suo principale teorico e redattore della rivista Rote Fahne, nel 1924 dirige la sezione della propaganda dell’IC.

[iii] Siverss – l’organizzatore dei distaccamenti partigiani, alla testa dei quali condusse una lotta infaticabile di guerriglia contro le armate bianche del sud. Nel novembre 1918 fu ferito mortalmente durante la battaglia di Balachov ( sulle imprese di Siverrs consultare l’opera di Antonv-Ovseenko “ Note sulla guerra civile”)

[iv] La VI divisione, in seguito, chiamata Divisione Kikvidzé fu formata il 6 marzo 1918 sotto la direzione del comandante Kikvidzé. Questa divisione ha realizzato numerosi fatti d’arme. Lottò contro Petliura [capo nazionalista ucraino responsabile dei pogrom], i tedeschi e contro le truppe di Krasnov[ ataman del Don, filotedesco ha combattuto nelle armate controrivoluzionarie. Scappò in Francia, diventato sostenitore di Hitler e nel 1943 organizzò una divisione polacca. Catturato dall’esercito inglese fu consegnato all’URSS e impiccato nel 1947. Dopo essere stato cremato le sue ceneri furono disperse in una fossa comune]. Il compagno Kikvidzé fu ucciso l’11 gennaio del 1919 nella fattoria Zoubrilovo, nel Don. Qualche tempo doto la divisione venne dedicata al comandante. [ Nota complementare di Trotsky]. Dopo la morte del compagno Kikvidzé la divisione continuò a prendere parte, con successoi, nella guerra del fronte sud. La divisione ha mantenuto la sua capacità di combattimento durante l’offensiva di Denikin. Durante le battaglie dell’autunno 1919-1920 vinse grandi unità nemiche nei dintorni di Davidovka, Lougansk, Litzki e altrove. Nell’inverno del 1919-1920 essa lottò contro il nemico a Bataisk e a Olginsk. Il  2 marzo 1920  la divisione prese Bataisk: Durante la ritirata di Denikin, una brigata di questa divisione fu la prima ad entrare a Novorossiisk, perciò fu decorata dell’Ordine della Bandiera Rossa. Nel maggio del 1920 fu trasferita sul fronte occidentale: prese parte all’intervento rivoluzionario sul fronte polacco nel luglio del 1920 e alla marcia su Varsavia. Quando fu fatta la pace con la Polonia si trovava nella regione di Minsk.

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